Ennesima puntata della saga albanese.
Mi trovo alla finestra con il nostro cavaliere bianco, arruffato, capello, sporco, la stessa t-shirt di ieri, lo stesso pantalone troppo grande e sbracato, e terribili sandali alla tedesca. Mi chiama e ricorre a me, come al solito, come a una via di mezzo tra un bidone della spazzatura (raccolta indifferenziata, of course) e un oracolo.
Interrompo il solito confuso, surreale, a tratti ridicolo racconto delle peripezie di questi furbi straccioni in preda a uno stato di trance. Vedo questo quarantenne goffo, problematico e ingenuo, con la supponenza degli immaturi fuori tempo massimo, che con fare petulante rintuzza le mie parole.
Mi racconta di quello che fa o non fa uno dei bambini ammaestrati, e si ribella, l'ingenuo, alle mie affermazioni. Crede nell'innocenza dei bambini, nel loro affetto spassionato per loro, dimentico di quanto i bambini siano prosaici nel definire le proprie affezioni, per certi aspetti terribilmente razionali e facilmente indirizzabili. Mi viene spontaneo dirgli, irritata da questo fesso saccente: - Non credo che tu possa insegnarmi nulla in materia.-.
Tutta questa sicumera, da parte di una persona che, oggettivamente, ha vissuto pochissimo e non ha fatto esperienze di nessun tipo mi stufa. Ha l'atteggiamento tipico di chi non ha imparato nulla e nemmeno ha l'umiltà di volerlo fare.
Gli dico: - Sai, sei una delle poche persone che conosco che non ha mai avuto problemi o dispiaceri (e ne ha inflitti a iosa), una delle poche che non a avuto esperienze negative. - Lui disquisisce vaneggiando, e io gli rispondo: - Io so, perché ne sono consapevole, che tu non puoi capire quello che ti sto dicendo, ma prima o poi lo comprenderai. Ti ci vuole un bel dispiacere, che ti riguardi in prima persona, un bel lutto. Allora potrai capire. Ecco, mi spiace, ti toccherà maturare, prima o poi.-.
Si offende, fa il muso, da quel bambino che è rimasto.
Com'è brutto un infante raggrinzito sotto il peso dell'età.
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