lunedì 3 giugno 2013

Lavorare a Milano, posso farne a meno?

Non avrei mai voluto lavorare a Milano.
Soffro, in pratica, della stessa sindrome da antipatia milanese di cui soffriva mio padre.
In sintesi, detesto quella che è una città provinciale con manie di grandezza e tanto, tanto ingiustificato casino. Detesto l'abitudine di iniziare tardi, e di manifestare l'importanza e l'attaccamento al lavoro bivaccando oziosamente fino a tardi in ufficio.
Detesto l'abitudine a esibire, a enfatizzare, a gonfiare.
 
Forse risento di una discreta dose di piemontesità unita al fatto di venire da un piccolo posto, dove le balle sono immediatamente scovate e certi atteggiamenti non sono certo amati a meno di non poterci ridere sopra.
 
Ho cercato di farne a meno, vivendo la provincia come un punto di partenza e un luogo di appartenenza. Ma questo non è stato possibile, dato che qui il lavoro non c'è.
 
A distanza di anni, potrei fare a meno di lavorare a Milano?
Potrei ritornare senza danno nella provincina piccola piccola?
Tutte le persone che hanno compiuto il percorso all'inverso mi hanno manifestato la difficoltà del riadattarsi a un universo minuto in cui i particolari spesso contano più del complesso, in cui le persone contano certamente più del lavoro che svolgono, il cui il passato è a volte insuperabile (anche quello della famiglia tua!).
 
Cosa mi ha dato Milano?
Mi ha costretta ad abituarmi a un melting pot spesso poco gradito, cosa che mi ha permesso di non avere effetti da shock nei vari viaggi qua e là per il mondo. Mi ha obbligata a imparare a usare i mezzi pubblici e a cogliere il lato ludico del lungo tragitto. Mi ha offerto una piccola finestra sul mondo, sui tanti eventi culturali, sulla vita nei posti dove c'è vita. Anche se non ho potuto approfittarne appieno, dal momento che faccio la pendolare, ho potuto capire cosa significa il concetto di "opportunità", sia essa culturale che sociale.
Mi ha certo resa meno provinciale, anche perché costretta ad avere a che fare con tante persone diverse e non tutte gradite, più sbrigativa e meno impressionabile. Al ventesimo questuante, diciamocelo chiaramente, sei stufo marcio. E se devi arrivare al lavoro per tempo non puoi arretrare davanti a una metro strapiena. Mi ha resa più informale, per apparenza e per modi (ma sono indecisa sul fatto che sia un bene). Mi ha tolto tante paure e qualcuna, invece, l'ha confermata. Milano mi ha dato la libertà di non essere come "gli altri", ovvero ciò che ci si aspetta, socialmente parlando, che tu sia.
 
Cosa mi ha tolto?
Se, a volte, Milano è una boccata d'aria se rapportata alla piccineria di determinati contesti, altre è portatrice di un certo modo superficiale di trattare le cose, tutte, indistintamente, frettolosamente e con indifferenza. Luogo di un certo pensiero veloce, il passo da veloce e produttivo a immane castroneria è spesso breve, così come quello tra stile e volgarità. Tante volte è una città piccolina che gioca a fare la grande, e, nonostante le possibilità che indubbiamente ha, evoca una certa immaturità.
Milano è anche maleducata, con un modo di fare che stride in provincia e non è apprezzato. Una folla anonima, in qualche modo, sprona verso un comportamento meno educato, con la sua spinta spersonalizzante. Inoltre, se tanta gente può significare tante occasioni di incontro, può anche non significarne nessuna, in un non luogo dove nessuno ti conosce e spesso nessuno ti vede.
 
Anche se giudico piuttosto irrespirabile l'atmosfera dei piccoli centri e un controllo sociale esasperato, oltre che una noia devastante, ogni tanto va "abbandonato" per tornare a contatto con... la parte più concreta di sé!
 
E in pratica, se di lavorare potrei fare a meno volentieri, di Milano non sono certa (ma è Torino da sempre nel mio cuore ;.)
 
 
 

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