Questo è quello che mi sono chiesta leggendo un riassunto dello studio del centro studi di confindustria riportato oggi dagli organi di stampa.
I dati sono impressionanti: 700 mila posti di lavoro persi dal 2007 ai primi giorni del 2013, la pressione fiscale supera oggi il 53% e il Prodotto interno lordo italiano è scivolato dell'1,9% nell'ultimo trimestre.
In pratica un bilancio di guerra, e la ripresa, tanto invocata, è ancora avvolta nella nebbia.
Anzi, viene posticipata sempre più: ora siamo all'ultimo quarto del 2013, fino a poco tempo fa era la seconda metà di quest'anno l'epoca della rinascita.
L'economia reale, ovvero tutto ciò che attiene alla produzione, compreso il lavoro quindi, è sempre l'ultimo anello di trasmissione della catena economica, davanti ovviamente, a quella finanziaria.
Si sa, è oggi e scontato.
Quindi, non è detto che la disoccupazione non possa salire più di quanto sia cresciuta in questo periodo. Un esempio è la Spagna, e anche il Portogallo.
Non basta che le banche tornino ad aprire i rubinetti del credito.
A chi faranno credito? Di questo passo, con la morìa di negozi e di attività industriali si faranno credito da sole, dato che notoriamente i morti non necessitano più di medicine.
Ma quando e se la crisi sarà passata, cosa ci lascerà?
Non ci lascerà un Paese più organizzato e riformato. Ci lascerà, al contrario, un Paese in cui le riforme si fanno "alla buona" in modo raffazzonato e sempre di fretta.
Questo costante stato di emergenza debito partorisce riforme che, se non si trattasse della vita di centinaia di persona, sarebbero ridicole nella loro artigianalità (un tipico esempio la riforma Fornero, in cui si sono dimenticati di alcuni esodati, caduti in un buco nero, senza pensione e senza lavoro).
Un repentino cambio di rotta, insomma, per un Paese in cui pare impossibile fare progetti a lungo termine, e dove, invece, si pasticcia in fretta e furia per salvare la casa che brucia dalle fiamme.
Tra allarmi, come sempre, di matrice anglosassone, di possibili buchi nei conti italiani (si produrranno almeno dieci report allarmistici la settimana, da parte delle banche d'affari Usa o inglesi) si va avanti.
Verso cosa, non si sa.
Il timore è che si sia persa un'occasione per fare, per una volta, le cose con cognizione per farle "all'italiana".
Come sempre.
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