Bartleby, the scrivener è un racconto di Melville, forse il migliore.
Parla di un'impiegato di Wall Street che, lentamente, cede al vuoto del suo lavoro e si annulla, interiormente, fino a scomparire per sempre nel vero senso del termine nell'archivio dello studio notarile presso cui lavora. Metafora dell'alienazione da lavoro, merita di essere letto.
Anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo il nostro Bartleby.
Danilo.
E' arrivato nella primavera del 2005, sbarbato, tiratissimo in un completo Merril Lynch style, con tanto di cravatta rosso agnelli. Sorriso berlusconico, risata impostata e frequente (l'unica cosa che ha mantenuto) e tanta, tanta ambizione.
Le ragazzine della mia generazione hanno subìto la fascinazione per le boy band, lui per le banche d'affari e per il mondo all'apparenza dorato della finanza.
Certo che questo posto sarebbe stato una breve parentesi tra un lavoro e un altro, un trampolino di lancio, insomma, verso una miglior collocazione. In sintesi quello che pensavamo tutti, ignari del futuro e della grande crisi infinita che ci ha inghiottiti.
Forte del suo inglese con imitazione accento incorporato, il nostro brindisino ha subito cercato altri lidi. Però, purtroppo, si sono manifestati subito i primi guai. Non ha la patente e questo lo penalizza molto in alcuni colloqui.
Passano i mesi, le stagioni. Trovare un lavoro è sempre più difficile, ma almeno ha la compagnia del fratello, che studia qui a Milano. Piano piano, questa pesantezza e pochezza umana che avvolge la nostra aria in questo ufficio lo invade.
L'abito rimane nell'armadio, il fratello emigra in Irlanda per lavoro. Lui sì che trova in una banca d'affari, rappresentando ai suoi occhi la realizzazione del suo mito personale. In cambio gli lascia un mucchio di maglioni pesanti e una casa in affitto in centro, più una bicocca che un appartamento.
Senza lavatrice, con pavimento patchwork. senza forno, e in nero, a 920 euro al mese tranne spese, da cui non riusciamo a convincerlo a schiodarsi.
Piano piano la sua vita si restringe, così come il suo orizzonte.
Si riducono drasticamente le sue disponibilità finanziarie, tanto da rendere indispensabile l'apporto economico dei buoni pasto per fare la spesa. Si riduce anche il suo spazio vitale, tra amici che vanno e che vengono, che si sposano e fanno figli, che mandano a monte matrimoni.
Sempre più disincantato e stanco, emotivamente e mentalmente stanco.
Bivacca in ufficio fino a tardi tutti i giorni.
Lo dice chiaramente, non sapendo che fare altrimenti.
Soffre di una grave solitudine, legata al fatto di non avere un confronto umano esterno all'ufficio costante. Il suo (cattivo) umore dipende dagli alti e bassi di ciccio, e questi pochi metri quadri e idiote vicende sono il fulcro della sua vita.
E' un progressivo, lento disfacimento, in cui il nostro protagonista, ormai, canterella come un juke box e tra vocine e urletti e parole ripetute ossessivamente "rallegra" le nostre giornate, combattendo a modo suo con l'assenza assoluta di soddisfazioni.
Tra un po' credo che passeremo con il piumino a spolverarlo... è arrivato al paradosso di rifiutare ogni cambiamento, opponendo un no in anticipo a ogni modifica, anche piccola, a ogni miglioramento anche piccolo nella sua vita per timore di ulteriori delusioni.
Tra sospiri e tristezze è lo specchio della nostra povera generazione ammaccata, che, oggi, si trova da un lato a ringraziare per il fatto di avere un lavoro, e dall'altro a maledirlo, questa prigione economica e di basso livello.
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