Vi racconto una storia che mi ha lasciato davvero perplessa oggi.
Viaggio in treno con compagnie variabili, che dipendono dal treno stesso. Tra queste abbiamo anche Grazia, una signora dai modi diretti e spicci, che ho faticato un po' ad addomesticare, conosciuta attraverso compagnie comuni.
Nel tempo ci siamo trovate spesso insieme sul treno. Lei lavora, sulla carta part time, in un centro che fa analisi mediche ed è tecnico di laboratorio. A parte il fatto che non è possibile che tu, adulto, pagato per 6 ore al giorno ce ne passi tutti i giorni almeno 8 e che ti metta nella situazione di dover chiedere permesso quando esci al tuo orario.
In ogni caso, mi raccontava oggi una conoscente comune che lei, separata (malamente, a giudicare dagli improperi che lancia all'ex in continuazione coram populo) da 20 e dico 20 anni, usi ancora il cognome del marito e porti la fede (!). Del tipo, prenoti in pizzeria con il cognome di lui, oppure ti dichiari sposata perché il matrimonio per te è un legame insolubile.
Salvo poi precisare che tuo marito non vive con te...
Questo per me è semplicemente non fare i conti con la realtà.
Perché se per te il matrimonio è indissolubile, per la legge italiana non lo è, e non ha senso negarlo.
La verità spesso non è bella e non fa piacere.
La verità induce spesso alla fuga.
La verità necessita di piccole correzioni.
La verità necessita di socchiudere gli occhi.
Queste cose le so.
Ma raccontarsi un'altra storia non ha senso, quando uno torna a casa e la trova vuota.
Insomma, dopo vent'anni, pare chiaro che lui non tornerà.
Negare questo fatto porta con sé la mancanza di riflessione assoluta sul perché questo è successo.
Sulle responsabilità condivise, sugli errori fatti.
Ma soprattutto è l'accettazione degli errori, e l'andare avanti che manca.
Mentre, tutto questo, io lo recepisco come un rifiuto totale.
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