mercoledì 3 luglio 2013

Punto e a capo

Tutto accade in un tardo pomeriggio di mezza estate, mentre, accaldata e stanca, dopo aver fatto più della metà del viaggio, in piedi, su un treno strapieno e ansimante, parcheggio la mia bollente auto nel posto davanti a casa.
 
Mi sento sfibrata, più che dalla discussione del giorno, da tutto quanto non ho detto o non ho potuto dire per diplomazia, amor di sé e buona educazione. A pesarmi è tutto quello che ho trattenuto in anni, e non quello che ho o non ho fatto. A pesarmi come un macigno è la mia signorilità, infine,
 
Il trillo di un messaggio mi distoglie dai miei pensieri. Come in passato è sempre accaduto, il nostro codardo tenta l'affondo con "giro acrobatico di frittata" attraverso sms. La tattica è la stessa, accusare di un comportamento "sbagliato", lamentarsi e bacchettare sempre per iscritto. Il testo è "tradizionale" nel suo stile, in cui si tirano in ballo i concetti di correttezza e di opportunità delle sue scelte. Arriviamo all'assurdo, in cui il tipo in questione sostiene come sempre di aver agito per il bene suo e mio evitando, con il suo comportamento assennato (codardo dal mio punto di vista, e non solo dal mio) dio infliggere ulteriori sofferenze.
 
Mi sono sentita come se il coperchio della pentola delle mie emozioni, già incrinato nel pomeriggio, fosse saltato per aria. Ho provato un rifiuto assoluto, fortissimo e irrevocabile verso questi mezzucci e verso questa personcina squallida, piccola e stupida che non ha mai il coraggio di prendersi nessuna colpa o responsabilità neppure per sbaglio.
 
Credo di non aver mai risposto in maniera tanto dura e diretta in tanti anni.
A irritarmi, l'offesa all'amor proprio e all'intelligenza. Il meccanismo, trito e ritrito, è sempre quello, sintonizzato sull'immaturità permanente.
Ho rinviato al mittente le accuse, e, in sintesi, tutte le sue bugie.
Ho scritto che, di certo, a lui aveva risparmiato esperienze tragiche, ma a me le aveva procurate. E che la sua coscienza era sana e salva, dietro un paravento. Ho proseguito scrivendo che le persone che volevo frequentare non affrontavano le questioni importanti parlandone di persona, e non per sms, per timore di reazioni poco gradite. Mi sono sentita la necessità di spedire un terzo messaggio scrivendo a chiare lettere, per essere chiari, non voglio più ricevere messaggi di questo tenore.
 
Questo ha scatenato il solito meccanismo, invece di una presa di coscienza, l'accusa (tanto per cambiare) di essere falsamente amica.
 
Mi sono trovata, da un lato fremente di rabbia, ma dall'altro ho cominciato a essere vagamente consapevole di questo meccanismo odioso di accusa-ricatto-mistificazione in cui io, cattiva, sono al centro e lui, corretto e incompreso, ai margini.
E così ho semplicemente detto quello che penso, e di cui sono ogni momento più convinta, ovvero che faccia apposta a farmi del male.
 
Perché ci sono tanti modi per far male a una persona. Anche la violenza psicologica è una di queste, e qui ci siamo in pieno.
 
E' così credo che finiscono in malo modo le coppie. Devono sentirsi così i divorziandi, con la consapevolezza pesante di avere un muro davanti, attraverso cui le parole e le idee non filtrano più, e vivono solo recriminazioni e piccoli dispetti poveri.
 
Pensavo di riuscire a gestire in maniera civile questa faccenda, ma pare che non sia possibile.
Tutto questo perché l'altra persona non è civile. Questo è un dato di fatto. Si tratta di uno che minaccia, accusa, critica e mistifica la realtà, fingendo e plasmandola a sua volontà.
 
Così costruisce la sua realtà. Peccato che io veda la mia di realtà, e veda molto bene il grosso problema che lui ha con la verità a cui si sottrae costantemente.
 
Ieri sera ho mangiato tranquillamente e poco, senza buttarmi sui carboidrati per affogare la tristezza e ho dormito benissimo, anzi, ho faticato ad alzarmi.
Perché tristezza e malessere sono scomparsi. 
 
Punto e a capo, quindi.

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