Il guaio, quando cominci a vedere spettacoli di maggior spessore, è lo stesso che accade quando inizi a bere vino decente. Ti fai il palato e quello "medio/mediocre" non ti piace più.
Eccoci al Teatro Nazionale, in un piovoso pomeriggio di aprile, domenica, non lontanissimo dal mio precedente posto di lavoro (si può chiamare così se non ti pagano?).
Il Nazionale è bello, mi piace.
Con le sue poltroncine blu elettrico e verde mela, così neoclassico posticcio fuori e new wave dentro.
Sul palco abbiamo una versione nazionalpopolare del film Full Monthy.
Invece dei disoccupati minatori britannici abbiamo i disoccupati operai dell'auto torinesi. Il succo non cambia, mancano i soldi e arriva l'idea di organizzare uno spogliarello integrale per far fronte alle drammatiche esigenze quotidiane.
La compagnia è formata da un'accozzaglia di uomini più o meno presentabili, e tra ammiccamenti, vergogne, caratterizzazioni un po' grezze e banali, melassa in dosi da diabete, dove tutte le mogli amano gli squattrinati falliti alla follia "per loro stessi" e i figli credono e amano ciecamente i padri medesimi, arriva il momento dello spettacolo.Decoroso, dove, lo ammetto, Muniz fa una degnissima figura (avercene).
Intorno, una marea di donne dai 5 agli X anni.
E facevano pure i coretti e gli urlettini, ma si può.
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