Perdonare è donarsi la libertà, o, almeno, parte di essa, la libertà di non sentirsi più vittime.
La libertà di chiudere una porta, ma dopo aver svuotato la stanza intera, ripulito pavimento e pareti, e spento la luce.
Nella mia stanza c'è ancora molto dolore.
E molta stanchezza.
Ripenso a tutti i grandi dispiaceri, ai lutti.
Ripenso a quanto peso ho portato, da sola, sulle mie spalle.
Mentre con fatica sovrumana tentavo di ricomporre la mia esistenza dopo la morte di mio padre, cercando con tutte le mie forze di adolescente di sottrarre mia mamma alla deriva e di gestire mia nonna privata innanzitempo del figlio, non c'era nessuno di loro accanto a me.
Mentre cercavo di capire quale direzione nella vita prendere e di sottrarmi ai desideri coercitivi altrui, non c'era nessuno di loro accanto a me.
Nessuno e nessun aiuto, mentre a mala pena sopravvivevamo con la piccola pensione di mio papà, morto giovane, così, da un giorno all'altro. In quel periodo loro, invece, attraversavano un momento florido economicamente, avevano parecchio denaro e gli affari giravano bene.
Eppure, eppure non hanno mai esitato a sfruttare la bontà e la generosità di mia mamma, la cui dignità enorme ha sempre impedito di chiedere qualsiasi aiuto.
Il denaro, tutto ruota intorno alla terribile avidità che li anima. Non gli basterà mai, mai, per tutte le spese inutili e folli che fanno e per sopperire a una cronica mancanza di voglia di lavorare.
Il denaro, che muove il mondo e annulla ogni forma di ritegno, di vergogna, di etica morale.
Quello che davvero mi fa soffrire, ancora, è il sapere che, in tutti quegli anni in cui ci hanno fatte correre su e giù per far loro la spesa, stirare, portare e andare a prendere i panni stirati, aiutare in negozio, in cui si sono fatti comprare i vestiti, hanno accettato regali su regali, di ogni genere, muovendoci a compassione loro sapevano quello che avevano fatto.
Dopo aver succhiato denaro a tutti i parenti per anni, avevano il loro bel foglietto falso nel cassetto, e magari si divertivano pure a vederci così impegnate ad aiutarli, così ansiose di stabilire un legame.
E' questo a ferirmi, ancora oggi, di più. Il fatto che abbiano approfittato fino all'ultimo secondo del nostro bisogno di calore, affetto e protezione, oltre che di riferimento, della nostra debolezza, per trarre il più possibile.
Che alla fine ci hanno usato, senza alcun riguardo e per due soldi, in definitiva.
E lo sapevano benissimo, l'hanno fatto a nostro danno e alle nostre spalle.
Ora, tutta questa massa di dispiacere, per una cosa di cui sono vittima e che non posso cancellare, rischia di punirmi due volte.
Non è bastata l'ansia, la preoccupazione, la sofferenza, il senso di impotenza, che, insieme a un'altra brutta storia, mi ha scippato questi anni.
Potrebbe condizionare anche il mio futuro e minare il mio presente.
Potrebbe paralizzare la mia esistenza di nuovo.
Non voglio che la paura e la sfiducia dominino la mia vita.
Non voglio che venga fatto altro male.
Non voglio che la fragilità della vittima, che spesso si sente trascinata innocente sul banco degli imputati, mi derubi ancora del mio presente.
Spesso, in questi anni, ho dovuto farmi forza solo pensando a tutte le persone che mi sono amiche, all'affetto e alla comprensione che hanno avuto nei miei confronti.
Se permetto al timore complottistico, a un misto di timore, vergogna e paura di fermarmi, allora avrò perso di nuovo.
E stavolta sul serio: ho fatto tutto il possibile e anche l'impossibile per superare al meglio questa brutta prova. E ora, manca una sola cosa, fare in modo che il passato sia davvero passato.
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