venerdì 31 gennaio 2014

Epitaffio di Seikilos (il più antico esempio di musica)

Questo è l'epitaffio di Sicilo, o meglio, di Seikilos.
E' il più antico esempio di musica greca completa di parole e note e risale a un'epoca compresa tra il I e il II secolo dopo Cristo.

E' composto di 12 righe, 6 delle quali sono corredate di note scritte secondo la tradizione musicale frigia. E' stato ritrovato nel 1883, scolpito su marmo, su una tomba dell'Anatolia.

Diversi (potete cercare su youtube) hanno cercato di riprodurre la melodia, che risulta essere una lagna monocorde (è mononota, non ha inventato niente Elio) per le nostre orecchie moderne.

Perchè ve ne parlo?

Perchè è stata una meravigliosa scoperta, questo che è un inno alla vita in tutte le sua forme, in un venerdì mattina di ordinaria tristezza sul treno per Milano.
 
Ancor prima dell'alba sono inciampata in Seikilos, così come sono inciampati quelli che hanno trovato la pietra, per effetto di una domanda quasi imbarazzante da parte di un'amica per cui i miei studi classici mi trasformano automaticamente in una profonda conoscitrice di tutto quello che puzza di greco antico.
 
E così, supposizione dopo supposizione, ho effettivamente azzeccato.
Ho pensato, o politica o musica (perchè almeno di filosofia e letteratura sono abbastanza ferrata).
E infatti era musica, che per altro non avevo mai sentito nominare.
 
Eccovelo quindi nella sua bellissima seconda parte.
Imparate, gente.
 
Εἰκὼν ἡ λίθος εἰμί. Τίθησί με Σείκιλος ἔνθα μνήμης ἀθανάτου σῆμα πολυχρόνιον.

«Io, pietra, sono un’immagine. Qui mi pose Sicilo come segno duraturo di memoria immortale».
 
Il testo dell’epitaffio:

Ὅσον ζῇς, φαίνου,
μηδὲν ὅλως σὺ λυποῦ·
πρὸς ὀλίγον ἐστὶ τὸ ζῆν,
τὸ τέλος ὁ xρόνος ἀπαιτεῖ.

«Finché vivi, splendi.
Non ti affliggere troppo per nessuna cosa:
la vita dura poco,
il tempo reclama la sua fine».

 




 

giovedì 30 gennaio 2014

Bridget perdi tutto

Ovvero, io.
Scelgo proprio la giornata adatte per decidermi ad andare dal parrucchiere.
Oggi, giorno in cui le cateratte dell'inverno paiono aprirsi sulla mia testa, con neve e pioggia gelata a gogò.
Però, ho deciso. Oltretutto, penso, troverò poca gente. Chi vuoi che vada a pagare per farsi fare una piega in un giorno in cui, nell'ordine: piove, tira vento e nevica insieme. E le previsioni per domani sono le stesse....
 
Ho le punte rovinate, mi sento sciatta, mi vedo una codina di topo in fondo, misera misera e mi si formano i nodi, sintomo che ci vuole una sforbiciata.
 
Possono dire quel che vogliono, ma i capelli dritti come spaghetti, come i mie, li tagliano bene solo i cinesi. E io, parbleau, ho il mio cinese di fiducia.
Uno di quei negozi in cui c'è un via vai di vecchiette, di cinesi dall'incomprensibile parentela tra loro.
Taglio e piega 9 euro, niente appuntamento, niente cerimonie.
 
Scendo dall'autobus sotto la pioggia. Il negozio è esattamente a metà tra una fermata e quella successiva. Mentre mi avvicino alla vetrina noto una tizia che sta letteralmente correndo sotto la pioggia, attraversa pericolosamente e si infila nel mio negozio esattamente un attimo prima di me.
Entriamo quasi in contemporanea, e lei, infagottata in un ampio piumino grigio, mi soffia letteralmente il posto, caracollando goffa per precedermi, dopo avermi individuata e guardata con risentimento.
Poco male, sono veloci e mi servono dopo poco.
 
Sono seduta su un divanetto, mentre a lei stanno lavando i capelli.
Si propone già come la classica cliente che non vorresti avere. Chiede di fare tre (e dico tre) shampoo. Poi chiede, o meglio pretende, un massaggio alla testa, salvo poi lamentarsi della poca grazia con cui le viene eseguito (così non mi serve a niente, mi tiri solo i capelli. Io le avrei tirato qualcosa in testa).
 
Chiede una piega mossa. Intanto vengo servita da un ragazzo molto gentile. Dalla mia postazione non riesco a vedere bene la tizia in questione. Quando è entrata non mi è sembrata così raffinata ed elegante da essere abitualmente oggetto di mille attenzioni. Intanto io vengo spiumata, piegata (fa quasi ridete, far la piega ai miei spaghettoni). Ho quasi finito quando la tizia in questione innesca una discussione, l'ennesima, con la povera signora che la sta servendo.
Li vuole più mossi, più mossi, e le "chiede" diciamo di usare il ferro per i boccoli (eh, piove, altrimenti non dura niente. Ma non ci arriva a capire che quanto piove l'unica cosa è metterci del cemento armato per farli tenere?). Sono tutti esasperati. Alla fine anche il capo si intromette per protestare contro le continue richieste, a piega già finita per altro.
 
Io ho concluso l'opera.
Detesto il parrucchiere e vengo qui per la precisione del taglio e per la velocità.
Mentre mi alzo la guardo.
E la mia impressione era giusta.
Una sciattona sovrappeso con un trucco vistoso e di vecchio gusto.
Avrà la mia età, parla sguaiatamente con un marcato accento napoletano e ha un'espressione proprio malmostosa e antipatica.
 
Esco e sono così fortunata da beccare subito il tram. 
 
Mentre penso alla malmostosa, carica di borse che non posso appoggiare perché bagnato, non rinuncio a rovistare nella mia borsetta strapiena alla ricerca di cellulare e cuffie. Non rinuncio neppure a timbrare l'abbonamento. Mi hanno spiegato che in mancanza di timbro e in caso di incidente l'assicurazione può far storie.
 
Arrivo, sotto il nevischio, a Lanza.
Scendo in metropolitana e... panico. La tasca del giubbotto aperta, l'abbonamento non c'è.
Frugo più e più volte nella borsa, facendo le evoluzioni per barcamenarmi tra ombrello, borsetta del pranzo. Dal mio bauletto esce di tutto, cavi su cavi, per caricare il cellulare, il Kindle, e che altro ancora. Chiavi, tessere fogli.... Una vistosa pochette trucco!
 
Mi maledico e stramaledico.
Lo penso sempre e lo dicono tutte le mamme non mettere le cose in tasca perché le perdi.
 
Che fare?
Già mi vedo in coda sotto la neve all'ATM point di Duomo o Cadorna a denunciare la perdita della tessera. Perdere tutti i treni e tronare sommersa dalla neve. E ho già rinnovato l'abbonamento integrato per il prossimo mese.... E mannaggia  ame, non ho neppure una fotocopia della tessera!
 
Mi viene un lampo, magari l'ho perso sul tram, magari riesco a beccarlo la capolinea una fermata più in là, li tengono un po' fermi prima di ricominciare il giro.
 
Torno indietro, e mentre aspetto, sempre sotto la pioggia, dei foglietti attraggono la mia attenzione, foglietto inutile,  ricarica, cartaccia... E poi, in un cono d'ombra, più in là, il mio tesserino in una pozza d'acqua!
 
Mi pare un miracolo, ed esulto di gioia!
 
Scendo di corsa, non so come, correndo a perdifiato, ma per un minuto uno riesco a prendere il treno.
 
Olé.
 
 
 

martedì 28 gennaio 2014

Ristoranti off limits per bambini

Una buona idea o meno?

Qui in ufficio ci sono due correnti di pensiero.
 
I bimbofobi, ovvero tutti quelli che non amano i bambini, anzi, che proprio non li sopportano.
 
I bimbofili, anzi, i matti per i bimbi, quelli che, in nome di un'assurda aderenza a una personalissima etica distorsiva amano assolutamente e indiscriminatamente tutti i bambini, anche quelli che danno loro calci negli stinchi e quelli che versano loro addosso acido muriatico.
 
Questi due gruppi si sono dati battaglia di fronte alla notizia della pizzeria che ha vietato l'ingresso ai bambini dopo le 21.
 
Sono piovute le argomentazioni, faziose e pregiudiziali da entrambe le parti.
 
Quelle secondo cui è civiltà sopportare che i genitori abbandonino letteralmente i bambini nella stanza permettendo loro di giocare a nascondino sotto i tavoli degli altri, di tirarsi o lanciare oggetti, di correre tra gli altri avventori facendo cadere ogni cosa trovino sul loro passaggio urlando come indemoniati.
 
Quelle secondo cui ogni essere di età inferiore a un x è indegno quasi di essere considerato umano e, quindi, va tenuto quasi in quarantena, lontano dal mondo civilizzato degli adulti, richiuso in casa (i passeggini danno fastidio) e tirato fuori quando sarà in grado di esibire una patente di guida.
 
Chi ha ragione?
 
Nessuno, secondo me.
 
Educazione e tolleranza sono la strada da percorrere.
 
Educazione che manca, perché, non nascondiamocelo, sono i genitori maleducati e prepotenti dei bambini che disturbano che uno non vorrebbe incontrare, e non solo in pizzeria (per me o hanno il suv o vorrebbero averlo).
 
Tolleranza perché, che piaccia o meno, il mondo è fatto di grandi, di piccoli, di vecchi.
E anche chi non corre in silenzio a perdifiato sul tappetino della produzione ha diritto di vivere con i suoi ritmi.
 
Ci vorrebbero degli spazi in cui far giocare il bambino, tenendo presente che un piccolo non può stare a tavola 4 ore... nemmeno io, per dire.
 
E tuttavia, due cose le vorrei dire.
 
La prima è che, chi fa riferimento al Nord Europa, non si rende conto di quanto siano disciplinati e tranquilli quei bambini (esperienza di quest'estate, ho pensato, se mi esce così quasi quasi un bambino lo faccio anch'io), mentre i nostri per lo più non lo sono.
Sono capricciosi, lagnosi, viziati e maleducati come i loro genitori, specchio di un Paese che passa più tempo a giustificare le sue mancanze che a fare quello che dovrebbe.
 
La seconda è che, nella maggior parte dei casi, i genitori diventano bimbocentrici.
 
Ovvero fanno un bambino per riempire un vuoto interiore e per far fronte alle pressioni sociali.
Purtroppo vedo pochi bambini davvero amati, moltissimi usati per soddisfare ambizioni personali.
E allora si annullano e parlano solo dei loro santissimi bambini e di una serie di cose assolutamente idiote, tipo i tipi di pannolini, la moda bimbo, male delle maestre, sempre e comunque...
E nessuno è tanto bello/bravo/santo/intelligente come il loro bambino.
 
Non è soltanto amore genitoriale....
 
E' nella migliore delle ipotesi, una gran rottura.
 
Chi se ne frega dei denti da latte nuovi. Del naso chiuso. Della colite.
 
Penso ai miei nonni, ai miei genitori.
Che non hanno rinunciato mai a fare gli adulti e quindi a educare, come hanno saputo, a spiegare, a dare l'esempio, a mantenere degli interessi.
 
La cosa che sempre più spesso mi capita di notare è gente che cerca di dare un valore a se stesso opponendo i figli, giustificazione di tutto, scudo per tutto, vanto per sempre, salvo poi essere sempre in difetto d'aria quando si trovano a fare i conti con dei piccoli esseri che hanno bisogno di tutto e sempre. Per molti, moltissimi anni.
Vorrebbero un figlio, ma part-time, scegliendo la parte bella, e abbandonando quella del sacrificio.
 
Forse, tanti dovrebbero diventare adulti prima di fare un figlio (che in un mondo di diversi miliardi di esseri non è proprio obbligatorio) invece che sperare di diventarlo mentre ci si barcamena a crescerlo.
 
E smetterla di far ruotare tutto intorno a dei lattanti senza regole. Che restano lattanti fino ai 40.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Rivoglio la mia tazza di té

Subito!
Com'è possibile che mi abbiano tolto l'acqua calda dalla macchinetta per il caffè del piano zero?

Sono le 16 e io ho bisogno di una bella tisana.
Ho assolutamente bisogno di una pausa con la mia bevanda favorita, ADESSO, capace di confortarmi come un abbraccio, di tranquillizzarmi come niente altro sa fare, alla faccia della teina e dei suoi detrattori.
 
Datemi il  mio tè, accidenti.
 
Scendo al piano terreno, e tra le mille scelte della macchinetta, più o meno fantasiose, più o meno accattivanti, come cappuccino d'orzo, cappuccino con cioccolato, camomilla (Mellin, sia chiaro), caffè macchiato decaffeinato (bleah) e via di questo passo con roba sintetica, non trovo l'acqua calda.
 
Non la trovo perché non c'è.
Tra venti scelte possibili, di cui almeno due o tre assolutamente discutibili mi hanno tolto l'acqua calda.
 
Perché?
Perché il tecnico della macchinetta non sa come fare per ripristinare la cioccolata forte (bottone sopra) e in questo stato di cose la cioccolata viene annacquata (più del solito).
 
Quindi... hanno tolto l'acqua calda.
E io come posso fare a tirare una giornata intera senza il mio consueto conforto di tè????
 
Io che sono nata bevitrice di tè, che già all'asilo bevevo il tè alla mattina (all'epoca era sconosciuto il concetto di teina e il concetto di non adatto ai bambini, per lo meno a casa mia, stesso discorso per il vino) rifiutando ogni altra schifezza al latte e che vi ho rinunciato a favore del caffè (nero e amaro) solo per questioni di tempo.
 
Altrimenti dovrei alzarmi alle 4 del mattino.
Perché il tè è un rito prima ancora che una bevanda.
Ci vuole tempo per farlo, e mentre aspetti che si prepari ti guardi intorno, e intanto la tua mente prende respiro, e poi lo bevi a piccoli sorsi, altrimenti ti ustioni e così facendo regolarizzi il respiro, ti calmi, ti decomprimi e ti risintonizzi. Ci vuole il giusto tempo, anche per finirlo, alla faccia del fast drink.
 
Questa è una questione di pigrizia e di igiene.
Adesso (perché io al mio tè non ci rinuncio altrimenti mordo), per due/tre volte al giorno mi vedrete in versione bella lavanderina con tazza in mano a vagare nei corridoi diretta al microonde e poi in cucina per lavare adeguatamente la tazza.
Quello è il problema, come lavarla bene considerando che prende polvere tutto il giorno (e che fino ad adesso mi ha fatto da ehm portapenne...).
 
Eccomi quindi, con tazza lavata a fondo per diversi minuti, scendere per le scale.
Importunare quelli che si imboscano in sala mensa (e ci sono eccome, chi troppo e chi niente) per far scaldare l'acqua del mio tè nel microonde, aspettare l'ascensore con qualche cretino che manifestamente fa mostra di essere un salutista che fa le scale (deficiente, penso, tu vivi in una scatoletta milanese, io in una casa su tre piani, sai quante scale faccio al giorno? e poi devo proprio farle portando dell'acqua bollente e potenzialmente ustionante) e, infine, dribblare un'altra pletora di deficienti, tipicamente quelli aficionados della cioccolata che ti guardano con aria di compatimento e ti dicono: - Eh, brava tu che ci tieni alla salute e ti fai quelle cose lì.-. Arricciano il naso con schifo e proseguono:- Ma goditi la vita, fatti una bella cioccolata.-.
 
Ma che cioccolata e cioccolata.
Io mi faccio il tè perché mi piace.
Se decido di bere la cioccolata la voglio buona, della Lindt, non quello schifo lì che vi bevete voi. Oddio, insieme ci mangiate pure le patatine, quindi... Che non vi senta più criticare la cucina inglese (che a me piace).
 
E fin qui....
Ma il problema è che dovrò anche lavarla la tazza.
Dovrò comprare anche il detersivo per piatti. E dove lo metto????
Ho già il kit per il cucito, due ombrelli, mezza farmacia e un quarto di Tigotà nel cassetto....
 
E la spugnetta....
 
 
 
 
 

lunedì 27 gennaio 2014

Tutto quello che non so

Non so nulla, e intendo di te, del tuo presente, dei tuoi sogni, di quello che è accaduto e di quello che non ti è accaduto mai.
 
Sei come un'idea non sbocciata, un pensiero non formulato compiutamente.
Eppure, eppure, sei costantemente vivo ai miei occhi.
Un interrogativo costante che mi occupa pensieri e gesti.
 
Tutto quello che non so si trova certamente nei tuoi occhi, di cui, io, non riesco a vedere il riflesso da molto tempo.
Vicinanza, quello che ci serve.
E tempo, un tempo lineare e placido, dilatato e silenzioso.
 
Forse non ci servono neppure le parole, e comunque non troppe.
Nessuna distanza.
Nessuna ansia.
Tempo e solo tempo. 

Quando l'odio va a braccetto con l'ignoranza

E ci va spesso a quanto leggo.
 
Pensate a quel gesto delle teste di maiale recapitate alla sinagoga.
Una solenne, colossale, mostruosa idiozia.
Tra l'altro, ironia della sorte, si riesce con un colpo solo a offendere l'universo mondo religioso.
 
Per dimostrare cosa?
 
Trovare un fantomatico nemico comune su cui indirizzare l'astio, la violenza e le frustrazioni, a cui dare la colpa delle difficoltà quotidiane, di cui, magari, sono responsabili altri.
Un meccanismo di campagna denigratoria massiccia che si innesta sull'ottusità e sull'ignoranza, una scorciatoia semplice per evitare di affrontare in modo complesso problemi complessi.
Diciamo che è più facile, così.
 
Che l'ignoranza sia una componente fondamentale di tutte queste forme di intolleranza, e lo dimostrano le grandi azioni così come i piccoli particolari.
 
Quell'Anna Frank scritto con l'H davanti....
Per esempio....
Santo Cielo, ma che somari.
E' l'abbreviazione di Annelies...
 
Quindi non ha nessuna H.
Già scrivi una gran cazzata nel concetto, almeno la forma....
Due cazzate in un colpo solo, chapeau.
 
 
 

sabato 25 gennaio 2014

Scrivere

Scrivere e leggere non sono le due facce della stessa medaglia.
Se, come spesso accade, chi ama leggere finisce spesso per scrivere, non è detto che lo faccia bene.
 
Sono sempre stata una gran parolaia, per iscritto, s'intende.
Con una facilità imbarazzante nel riempire pagine e pagine.
 
Con i tempo e con il lavoro mi sono resa conto che scrivere è spesso decidere a cosa rinunciare, nel tuo racconto, per dargli coerenza.
E togliere può occupare più tempo dell'aggiungere.

Ci vogliono chiarezza, mentale, e fiducia.
Fiducia in se stessi.

La mia vera paura, nello scrivere, è quella di non avere le capacità per arrivare alla fine.

E' un po' come cercare di riportare un maglione infeltrito dalle intemperie dell'esistenza allo stato di primigenia morbidezza.
E' il recupero degli aggettivi, è l'ebbrezza di comporre una bella frase.

Ma, soprattutto, è tornare a vedere cose e persone, con chiarezza, lucidità e senza sconti.


venerdì 24 gennaio 2014

Il baciamano

Si dice che se riesci a conquistare uno vestita sciattamente allora sei a cavallo.
Sì, a cavallo dell'asino, forse.

Sentite cosa mi è successo in metropolitana.
Carica, appunto, come il suddetto asino riesco a prendere la metropolitana al volo in Centrale.
Al termine di una giornata lavorativa faticosa e lunga e vittima di qualche evento emotivamente sconvolgente, arranco sul mezzo pubblico, carico e stracarico.
 
Armata di cuffie per difendermi da ogni possibile presenza molesta, con l'unica volontà di svuotare completamente la mente,  non mi accontento della barriera protettiva del suono, ma aggiungo anche quella fisica di un libro. Estraggo l'ultimo romanzo di Elizabeth Strout dalla borsa e me lo piazzo davanti.

Noto, tuttavia, la presenza di un tizio, che insistentemente mi sorride.
O meglio, prova a far filtrare un sorriso attraverso il libro, la sciarpa, la cuffia, il piumino chiuso fino al naso e le cuffie. Imperterrita vado avanti a leggere. Più volte cerca di far filtrare nel mio limbo ovattato di note, gesticolando ampiamente, l'invito a farmi sedere.

I miei occhi impermeabili ai gesti ridacchiano di fronte al fastidio provato dai vicini di sedia a tutte quelle gomitate.

Infine, arrivo in stazione.
Con grande disappunto anche il nostro uomo si alza.
Afferro le mie borse alla velocità della luce (ci manca solo che me le porti lui) anticipando con uno scatto felino un gesto fulmineo.

Scende anche lui, ma guarda che strano.
Mentre, davanti alla porta attendo l'arrivo in stazione, il tizio attacca bottone.
Non sento bene quello che dice, ma questo non lo scoraggia.
Imperterrito mi accompagna per tutta la banchina, mi chiede se studio o lavoro (studio? Mio Dio questo è un complimento della miseria) come mi trovo, che lavoro faccio.
Non sembra nemmeno un serial killer.

Se non che, arrivati davanti alla scala mobile converte un gesto di stretta di mano in un baciamano in piena regola (e non ha settant'anni).

La mia perplessità aumenta a dismisura. Mi chiedo, ma questo vorrà mica accompagnarmi al treno?

Per fortuna no, ma io, mentre cerco di sfuggirgli sulla scala mobile, dopo aver augurato buona serata, penso che dovrei fiondarmi in edicola per seminarlo.

Ecco, il vero peccato è che non fosse di mio gradimento...
Anche se, lo ammetto, un baciamano sul marciapiede della metro non capita tutti i giorni di certo.
 

mercoledì 22 gennaio 2014

Senza parole

Ed è subito sera
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
 
Salvatore Quasimodo
 
 
Si ride, e di gusto, a crepapelle, fino alle lacrime, e pare di aver capito.
Eccolo, finalmente il senso della vita.
Una bella risata e passerà tutto.
 
E poi si piange.
Improvvisamente, il male tracima e supera la protezione ovattata della nostra calda risata.
Si piange, per l'assurdità del male.
 
Stamattina una mia collega, che stava recuperando la bicicletta dopo aver accompagnato i figli  scuola è stata travolta e uccisa da un furgone guidato da un tizio senza patente, che stava facendo retromarcia. E non andava piano.
 
E così, in un attimo, la totale insensatezza
E un'unica certezza, quella della morte.
 
Stamattina mille progetti, inezie e cose da fare, da seguire, da raggiungere.
Un attimo di troppo e... stop.
Tutto finito.
 
Così per nulla, senza senso alcuno.
 
Sei felice?
Lo sei?
 
Cosa puoi fare per esserlo?
 
Perchè solo questo va chiarito.
 
Sei felice ora piccolo essere fragile mortale?
 
In questo breve momento che ti è concesso come vita.
Senza disperderla in sciocchezze.
Senza tenere rancore.
Senza dare importanza al nulla.
Senza restare prigionieri del poco.
 
 
 
 
 

Lost in election-law

Ma voi avete capito come funziona esattamente la nuova legge elettorale di Renzi?
 
Con l'età di perdono colpi e la mattina presto la lucidità non è il massimo, ma, davvero, a un ceerto punto mi sono persa nella descrizione del primo e secondo turno....
 
Sul serio, tra simulazioni delle nuove camere elette con l'Italicum (Tutto un programma il nome, vero? A me sembra quello  di un treno...), i commenti più disparati io non ho capito un accidenti di dove va a finire il mio voto.
 
L'unica cosa che ho recepito è che, manco stavolta, si potranno dare le preferenze.
 
Ovvero, liste blindate e saluti a tutti.
 
E mi chiedo; ma che c... di voto è?
 
Capisco che con un colpo al cerchio e uno alla botte per cambiare qualcosa accontentando tutti non si possono produrre miracoli, ma partorire un mostricino no....
 
Commenti di Grillo?
Manco uno per ora.
Silenzio.
 
Oh, ma parla solo quando non c'è niente da dire? Di questa legge elettorale di cui ha fatto un cavallo di battaglia non dice nulla?
 
O ci sta pensando ancora anche lui?
 
La mia proposta è, a questo puntio, il voto Mundial.
Partiti organizzati come gironi ed eliminazione diretta, con squadre elette vox populi.
 
E alla fine?
I rigori... che tanto ci piacciono!

Perdono - 2 -

Perdonare è donarsi la libertà, o, almeno, parte di essa, la libertà di non sentirsi più vittime.
La libertà di chiudere una porta, ma dopo aver svuotato la stanza intera, ripulito pavimento e pareti, e spento la luce.
 
Nella mia stanza c'è ancora molto dolore.
E molta stanchezza.
 
Ripenso a tutti i grandi dispiaceri, ai lutti.
Ripenso a quanto peso ho portato, da sola, sulle mie spalle.
 
Mentre con fatica sovrumana tentavo di ricomporre la mia esistenza dopo la morte di mio padre, cercando con tutte le mie forze di adolescente di sottrarre mia mamma alla deriva e di gestire mia nonna privata innanzitempo del figlio, non c'era nessuno di loro accanto a me.
 
Mentre cercavo di capire quale direzione nella vita prendere e di sottrarmi ai desideri coercitivi altrui, non c'era nessuno di loro accanto a me.
 
Nessuno e nessun aiuto, mentre a mala pena sopravvivevamo con la piccola pensione di mio papà, morto giovane, così, da un giorno all'altro. In quel periodo loro, invece, attraversavano un momento florido economicamente, avevano parecchio denaro e gli affari giravano bene.
 
Eppure, eppure non hanno mai esitato a sfruttare la bontà e la generosità di mia mamma, la cui dignità enorme ha sempre impedito di chiedere qualsiasi aiuto.
 
Il denaro, tutto ruota intorno alla terribile avidità che li anima. Non gli basterà mai, mai, per tutte le spese inutili e folli che fanno e per sopperire a una cronica mancanza di voglia di lavorare.
 
Il denaro, che muove il mondo e annulla ogni forma di ritegno, di vergogna, di etica morale.
 
Quello che davvero mi fa soffrire, ancora, è il sapere che, in tutti quegli anni in cui ci hanno fatte correre su e giù per far loro la spesa, stirare, portare e andare a prendere i panni stirati, aiutare in negozio, in cui si sono fatti comprare i vestiti, hanno accettato regali su regali, di ogni genere, muovendoci a compassione loro sapevano quello che avevano fatto.
 
Dopo aver succhiato denaro a tutti i parenti per anni, avevano il loro bel foglietto falso nel cassetto, e magari si divertivano pure a vederci così impegnate ad aiutarli, così ansiose di stabilire un legame.
 
E' questo a ferirmi, ancora oggi, di più. Il fatto che abbiano approfittato fino all'ultimo secondo del nostro bisogno di calore, affetto e protezione, oltre che di riferimento, della nostra debolezza, per trarre il più possibile.
Che alla fine ci hanno usato, senza alcun riguardo e per due soldi, in definitiva.
 
E lo sapevano benissimo, l'hanno fatto a nostro danno e alle nostre spalle.
 
Ora, tutta questa massa di dispiacere, per una cosa di cui sono vittima e che non posso cancellare, rischia di punirmi due volte.
Non è bastata l'ansia, la preoccupazione, la sofferenza, il senso di impotenza, che, insieme a un'altra brutta storia, mi ha scippato questi anni.
 
Potrebbe condizionare anche il mio futuro e minare il mio presente.
Potrebbe paralizzare la mia esistenza di nuovo.
Non voglio che la paura e la sfiducia dominino la mia vita.
Non voglio che venga fatto altro male.
Non voglio che la fragilità della vittima, che spesso si sente trascinata innocente sul banco degli imputati, mi derubi ancora del mio presente.
 
Spesso, in questi anni, ho dovuto farmi forza solo pensando a tutte le persone che mi sono amiche, all'affetto e alla comprensione che hanno avuto nei miei confronti.
 
Se permetto al timore complottistico, a un misto di timore, vergogna e paura  di fermarmi, allora avrò perso di nuovo.
 
E stavolta sul serio: ho fatto tutto il possibile e anche l'impossibile per superare al meglio questa brutta prova. E ora, manca una sola cosa, fare in modo che il passato sia davvero passato.
 
 

martedì 21 gennaio 2014

Perdona sempre i tuoi nemici.
Nulla li fa arrabbiare di più.

Oscar Wilde

lunedì 20 gennaio 2014

Voci maligne

Pensavo, ingenuamente, di essere riuscita a sfuggire a quella cappa di velenosa curiosità e di maligna supponenza che grava addosso alle persone riservate nei piccoli paesi grazie a un trasloco di pochi chilometri.
Ma l'artiglio della maldicenza e della cattiveria gratuita, da qualche giorno, mi ha ripreso appieno, dopo avermi tallonato per anni.
 
Impreparata, sono rimasta lì sbalordita, e, contemplando la discreta cattiveria del mio prossimo, si è riaperta sotto i miei piedi la consueta voragine di dispiacere, che, su di me ha un effetto unico, quello di farmi chiudere a riccio più che mai.
 
Per anni ho lottato con l'imbarazzo di esser parte di una famiglia chiacchierata, in parte a ragione, e in parte no. Ho vissuto da murata viva in casa, giusto per evitare di essere importunata con domande imbarazzanti, seguita da mormorii per strada, accompagnata da voci sgradevoli, che potevo sentire al mio passaggio.
 
Se chiedete alla gente del paese dove abitavo prima, vi diranno di me qualcosa che non mi appartiene.
Mi dipingeranno come ombrosa e selvatica, timida ai limiti della stupidità, assolutamente antipatica.
 
Quando ho cambiato casa, mi sono in parte rilassata.
Esco con maggior serenità, sono più disposta a conoscere persone nuove. Mi sento, insomma, più libera di esser me stessa, e non mi pare più di essere accompagnata eternamente dal giudizio malevolo dei miei compaesani. Insomma, il mormorio cattivo che ha accompagnato tutta la mia infanzia e la mia adolescenza e parte della giovinezza sembrava essersi alleggerito con un piccolo trasferimento.
 
Errore.
 
Dovrei andare su Marte forse per essere lasciata in pace.
 
Incredibile il fatto che sia accaduto tutto in pochi giorni, ma, sappiatelo, sono assediata da gente che "per il mio bene" si intende, mi tiene costantemente aggiornata sugli sviluppi minimi, sulle novità minuscole e sulle enormi baggianate che mette in piedi la parentela ladra.
 
Mi sono trovata, impotente, a dover subire l'esibizione di una sventagliata di post assolutamente demenziali, concedetemelo, sull'abbattimento di due alberi pericolosi, una sbrodolata di falsa sensibilità che puzza di zolfo lontano chilometri, che restituisce la solita maschera edulcorata di una persona "perbene" quale non è (e questo è certo).
 
Io, credetemi, vorrei solo dimenticare.
Vorrei solo non sapere più niente, vorrei solo essere lasciata in pace.
 
Io capisco che per gli altri può essere divertente tutta la faccenda, ma viverla è stato davvero brutto viverla e sopportare il peso di tutto questo schifo. Vorrei solo un po' di oblio, e basta.
Vorrei solo poter vivere liberamente per quello che sono senza i condizionamenti di tutti i pettegolezzi e le falsità che mi avranno appiccicato addosso.
 
E non è così.
 
Mi sento sotto assedio.
Mi sento soffocare, e sono insonne a lungo, tormentata dall'ansia e dalla frustrazione.
Mi sembra sempre di tornare maledettamente indietro e di non uscirne mai.
 
Non posso, davvero, tornare a vivere da reclusa silenziosa, non posso accettare neppure l'idea di vivere ancora così, di contemplare tutte queste bugie, di affogare in questa falsità.
 
Oggi, così, mi sento ferita, stanca, demoralizzata e angosciata.
Mi sento arrabbiata, mi sento offesa, mi sento, davvero, estremamente fragile, come se la mia crepa nel cuore e nell'animo fosse a vista.
 
Su tutto, mi sento umiliata profondamente e, beh, oggi non sto proprio bene.
 
 
 


domenica 19 gennaio 2014

L'apparenza

Piove, è un venerdì mattina in cui mi sveglio a corto di forze.
Mi chiedo con preoccupazione come arrivare a fine giornata.
 
Sono stanca, reduce da due settimane molto intense, ricche di impegni e compiti.
 
Decido di prendere comunque il tram. La compagnia di Laura, di solito, è un toccasana per il mio umore. La fortuna di poter parlare con una persona pacata, di buon carattere e dotata di una fine ironia va sfruttata in ogni modo.
La fortuna ci assiste.
Il tram arriva quasi subito, e non sono neppure troppi gli studenti che impediscono, con i loro zaini, anche di respirare.
 
Laura mi chiede lumi su questioni ereditarie: ormai, mio malgrado, sono diventata un'esperta.
Cerco di essere più chiara possibile, e, tra una chiacchiera e l'altra in bilico nel tram pienissimo, mi chiede il nome del mio carissimo cugino che ha avuto la brillante idea di fare un testamento falso per accaparrarsi l'eredità della nonna, che è la causa per cui io mi sono dovuta accollare la gestione dell'incresciosa e dolorosa vicenda.
 
Sei anni e mezzo di tormenti e sofferenze che può capire soltanto chi si è trovato preso letteralmente in mezzo a una vicenda del genere.
Il nervo è ancora scoperto: da poco conclusa, tutta questa brutta storia, in cui ci hanno perso tutti, senza eccezione, ha rappresentato una prova che, francamente, avrei evitato volentieri.
 
Basta pochissimo, quindi, un'esclamazione della mia amica fatta con leggerezza e senza malizia, per scatenare una serie infinita di emozioni, e nessuna positiva.
Eh sì, perché il soggetto in questione è uno di quei delinquenti che recitano benissimo una certa parte, in questo caso quella del musicista impegnato.
Dopo aver impiegato un numero stellare di anni per diplomarsi al conservatorio, ha creato l'immagine di una persona alternativa e a modo suo colta (io non gli chiederei dov'è la Cambogia per esempio), di sensibilità artistica, di chissà quale impegno intellettuale.
Sia lui sia mia zia sono bravissimi nell'arte della finzione: a contatto con altri cambiano letteralmente pelle, mentre solo i pochi "fortunati"  che hanno avuto il privilegio di conoscerli sul serio hanno potuto toccare con mano la loro reale natura, avida, rapace, falsa e calcolatrice.
 
Per anni mia zia ha sfruttato mia mamma come colf, facendole lavare, stirare e rammendare il mondo intero di panni, facendosi vestire il figlio senza vergogna nonostante i due stipendi, facendosi aiutare in negozio.
 
Ebbene, tutte le gocce che si attaccano al finestrino sporco, in quel momento sono tanti spilli impietosi che trafiggono il mio cuore. Mi sento umiliata e anche tradita dalla mia amica.
 
Da anni alleno la sottile arte dell'autocontrollo, per cui incasso con stile e in silenzio, come nulla fosse. Per l'intera giornata sono sottosopra, uno strascico di subbuglio mi avvinghia a sé.
 
Lascio che un po' di tempo e di spazio mi confortino.
 
Quello che ora penso è che non voglio che, dopo tutto quello di male che già mi hanno fatto, me ne facciano ancora.
 
L'apparenza, per molti, è purtroppo la sostanza.
Sono bravi a recitare, e pochissimi (perché sanno di non essere affatto quello che mostrano) sono consapevoli della loro vera natura.
 
Mia nonna soffriva di schizofrenia. Per vergogna e ignoranza non è mai stata fatta curare.
Ha sempre picchiato marito e figlie, e, negli ultimi anni, abbiamo dovuto sottrarle mio nonno, che aveva cercato di eliminare.
 
Mia mamma aveva paura che andassi da lei da sola e anche lei di andarci da sola, temeva, e a ragione, qualcosa di brutto.
 
Mio cugino le somiglia. Già alle elementari la maestra aveva pregato i genitori di portarlo da uno psichiatra. Ovviamente non l'hanno fatto. Mia zia voleva spedirlo in seminario per liberarsene. Ha sempre avuto qualcosa che non andava, una sorta di sdoppiamento della personalità, che lo induce a fare anche cose decisamente crudeli, tipo decapitare le galline.
 
Ricordo scene terribili, come quando si rotolava per terra e non si sapeva come farlo smettere.
 
Ma questo, tutto questo, lo abbiamo vissuto solo noi.
Al di fuori sono solo le persone che fingono di essere, quello che vorrebbero essere, con una patina buonista e perbene che non sanno neppure cosa sia, al limite un po' sciroccati, un po' ignoranti.
 
Assolvo tutti quelli che hanno avuto a che fare solo con la maschera e che vedono solo quella, e, sapete che vi dico, che nonostante tutto, a me è convenuto perderli. Quando ho avuto bisogno non ci sono stati mai, come quando mia mamma si è rotta un piede e non mi hanno mai fatto neppure una telefonata per sapere come me la cavavo da sola.
Ci sono sempre stati solo per prendere, e, almeno, la smetteranno di chiedere soldi in continuazione.
 
Come quando un sabato sera alle 7 sono dovuta schizzare fuori dalla doccia per portargli 3.000 euro.
 
E, comunque, io non ho nulla di cui vergognarmi, al contrario loro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

sabato 18 gennaio 2014

Palestra

Già mi figuravo, ieri sera, mentre mi cimentavo in un poderoso allungamento della mia colonna vertebrale, portandole mie gambe portandole dietro il capo di scatto più volte, la notizia del giorno successivo su Milano today "Donna volonterosa ma maldestra muore trafitta da ferretto del reggiseno mentre fa esercizi yoga".
 
Eccomi in palestra, nel tentativo di riemergere dal mio cronico mal di schiena feroce, regalo di qualche incidente stradale di troppo, di un po' di inattività fisica e di tanto nervosismo.

Io che sono stata una "da piscina" da sempre, ho faticato non poco a prendere questa decisione. Preferisco di gran lunga l'acqua, la sensazione di benessere che dà la sua carezza sul corpo, la sensazione di non pesare nulla.
 
Con il tempo ho imparato che è fondamentale non metter tempo in mezzo alle decisioni "rivoluzionarie". Deciso, predisposto, fatto. Altrimenti si tentenna e tutto va a gambe all'aria.
Mille piccole cose quotidiane congiurano contro i nostri impegni "di buona volontà".
 
Eccomi quindi così, con vestiti recuperati da casa, e con la speranza di trovarmi a poter disporre liberamente del mio tempo rubato ai quotidiani impegni per fare dell'esercizio fisico, con i miei ritmi.

E invece no.
Mi trovo nelle grinfie di una specie di colonnello del bilanciere che mi sprona, mi incita, mi rapisce al mio tapis roulant, per farmi fare una serie infinita di esercizi a corpo libero a terra.
Ora, io detesto gli esercizi a corpo libero.
Li odio, a meno che non sia yoga.

Servono per riscaldare, servono per sciogliere le tensioni, ma... non mi servono per fare fiato, per sfogare il nervosismo, per rassodare il rassodabile.
E, quello che più mi irrita, è il fatto di dover partecipare a questa lunghissima sessione di esercizi, effettuati a scadenza oraria, mentre quello che io volevo fare, semplicemente, è un po' di palestra.

Ieri sono stata costretta a gestire in emergenza un eccesso di malumore.
Sono arrivata stanca, e volevo andar via presto, ma ho pensato comunque di fare una corsetta e qualche km in bici.

Niente da fare, sono stata risucchiata dal nostro allenatore.
Palestra vuota e ci siamo soltanto io e un'altra signora.
Sfortuna vuole che l'altra signora faccia da un po' questi esercizi, e, quindi, venga lasciata in  pace.
Il tizio, in un modo che vorrebbe essere di incoraggiamento, si rivolge a me come fossi l'allenatore di Rocky. Già prima non ho gradito un'interferenza sul peso con cui fare gli esercizi.

Stavolta, invece, sopporto con buona grazia quasi un'ora di questo trattamento finché non vengo invitata a fare delle complicatissime flessioni appoggiandomi solo sulle ginocchia.
Ahimè sono come tutte le donne poco forzuta nelle braccia.
E poi, la mia testa per prima si rifiuta di fare questa cosa.

Ma ti pare?

Sono stufa di come si sono messe le cose, voglio andare in palestra per rilassarmi un po', e non tollero, davvero, non tollero più di essere trattata come un'adolescente. Il rischio che esploda è grande e non è bene farlo.

Ho contato fino a 50 almeno e poi ho detto. - Ehi, mica ci stiamo preparando per andare a salvare il soldaro Ryan.-.

Non voglio che questa cosa diventi un'ulteriore fonte di stress e non un piacere.
Per cui, io lunedì provo un bel corso e poi può darsi che cambi giorno per cambiare istruttore.

Vorrei trovare uno spazio non conflittuale in cui trovare un bilanciamento corpo spirito, un rifugio tranquillo in cui reimpossessarmi della mia forma fisica. Davvero, non ho voglia di fare un corpo a corpo anche lì.
 
 

giovedì 16 gennaio 2014

Grande verità dalla Francia

Quante volte ognuna di noi, di fronte a un matricolato traditore, a un rottamatore di vecchie mogli/compagne/fidanzate, ha pensato: - Io sono diversa dalle altre. Ho altre qualità, il nostro rapporto si basa su affinità elettive profonde. Sarò in grado di farlo cambiare, si affezionerà a me e sarà conquistato dalla mia intelligenza/bellezza/tutte le qualità che vi attribuite.-
 
Balle.
Vi state raccontando delle balle.
La vicenda che vede protagonista l'attuale capo del Governo francese mi fa portato a questa riflessione: c'è sempre una più giovane di te e sempre ci sarà se il fascinoso (o solo potente) uomo in questione è uno di quel genere.
 
Il nostro piacione è quello che aveva sostituito la compagna di una vita con una più giovane e brillante giornalista televisiva, tirata come un manifesto e patinata come una vera sciuretta.
Ecco, dopo un po' di anni, abbiamo sostituito la patinata che aveva sostituito l'alternativa con una charmante non proprio giovanissima, ma molto Français.
 
Polemiche, sceneggiate mutuate alla napoletana tradizione, corse in ospedale, appartamenti di loschi proprietari, c'è tutto quanto serve per trarre la debita conclusione.
 
Non importa se il vostro amato bene è affascinante o meno, non importa se è potente o meno, importa solo se è, tendenzialmente, un fedifrago. Uno che ha bisogno di molte conquiste per avere conferme per se stesso. Se lo è, non importano nemmeno le vostre qualità estetiche, morali e intellettuali.
 
Dopo un po' si stancherà, anche se voi arriverete al momento giusto, quando lui avrà deciso che è ora di sistemarsi.
 
Invece di una fidanzata cornuta sarete una moglie cornuta.
 
Le persone non si possono cambiare, a meno che non lo vogliano loro.
 
Da questo tipo di uomini, per una storia seria, potete solo stare alla larga.
Se cercate un divorzio conveniente, invece, allora fanno davvero al caso vostro, a patto che siano ricchi.

mercoledì 15 gennaio 2014

Una semplice questione di educazione

Dedicato alle varie signore Sotutto e Facciotutto.
 
Piove forte, è mattina presto, una mattina d'inverno grigia e umida.
La gente si affolla insofferente, caracollando giù dal treno, in mezzo a pozze d'acqua e ombrelli ad altezza occhio.

Arriva da dietro come una furia. Vede la folla, ma questo non la ferma.
Armata di ombrello ad altezza occhio altrui, avanza a scatti.
Uno sguardo malevolo e gelido sormonta una bocca dalle labbra sottili, inchiodata in un ghigno malevolo.
 
Scarta da destra e da sinistra, taglia la strada, spinge.
Si sente il suo sbuffare alle spalle, come una vecchia locomotiva a vapore.
 
Travolge la mia amica Laura, una personcina educata e placida, cercando di cavarle un occhio.
La spintona per sorpassarla, e quando finalmente ci riesce, porta il suo testone biondo riccio demodè lontano dal nostro sguardo.
 
Ci si chiede: avrà fretta, dovrà timbrare e la sosta del treno su un binario diverso le avrà fatto perdere tempo....
 
Entriamo al bar: una compagna di viaggio non è tanto in forma e le serve un caffè.
La accompagnamo facendo uno strappo alla regola. Di solito mi catapulto alla scrivania e mi accontento di uno squallido caffè della macchinetta che bevo mentre smisto la posta.
 
Entriamo dunque nel bar di fronte alla stazione.
Ci facciamo largo tra la folla mattutina e notiamo una lunga fila alla cassa.
Prima la fila, e poi veniamo raggiunti da una voce pungente, dai toni alti e gracchianti.
 
E' lei, la nostra indefessa lavoratrice che sta... facendo polemica con il ragazzo alla cassa.
 
Il ragazzo, evidentemente molto giovane, è lì a sostituire qualcuno malato, non ha dimestichezza con i ticket restaurant e non ha capito bene cosa vuol fare lei con quel buono.
 
Quello che sento, ma che è solo la conclusione del "discorso", sono codeste parole: - Vedo che la matematica non è proprio il tuo forte, ma come fai a non capire io ti ho detto x e y, la somma fa z... Sei qui perché ti hanno bocciato, perché proprio non capisci nulla.-.
 
Il signore al banco la guarda in tralice.
Potrebbe essere il padre, lo zio... Pensa che non può lanciarla perché è una cliente.
 
Osservo da lontano la scena, la megera incurante della coda, l'assoluta gratuità e inutilità della sua sparata, che va avanti da un po' e mi avvicino al bancone.
 
Ordino due caffè, senza passare dalla cassa e, sovrapensiero, dico:- E' un problema di educazione.
- Pausa - Che qui non c'è.-
 
Educazione, il segreto della convivenza. Imparatela, mettetela in pratica.
 
 
 
 
 

domenica 12 gennaio 2014

Politicamente scorretto

Era il 29 dicembre 1973 quando i rappresentanti dei nostri "quasi nonni" approvavano il decreto che ha portato l'Italia a pensionare una massa di dipendenti statali a partire da 14 anni e sei mesi di servizio.
 
Era già all'epoca una prova lampante di come sia stata gestita la cosa pubblica italiana, in assoluto pregio delle generazioni future: in piena crisi petrolifera (altro che domeniche a piedi, domeniche a secco!) si accollava a noi, in sintesi, il mantenimento di questa folla di gente giovane che aveva deciso di pensionarsi.
 
Ricordo la madre di un mio compagno delle elementari.
Noi frequentavamo l'asilo e lei, infermiera, era già in pensione. Non era una mamma giovanissima come la mia, ma era giovane eccome. E, occorre sottolinearlo, ha continuato a lavorare in nero per tutta la vita.
 
Ogni mese ho un attacco di depressione quando vedo la mia busta paga.
Il mio stipendio non cresce: la mia azienda va bene, ma ha preso al volo la palla al balzo della crisi per non adeguare gli stipendi. E' il secondo anno che, nonostante siano cambiate le mie mansioni e le mie responsabilità, tra cui l'esposizione mediatica della mia persona, non vedo un centesimo in più.
 
Il mio stipendio è inferiore a quanto ritorna allo Stato.
E non oso pensare al problema pensionistico.
 
Ecco, io che pago di tasca mia il mantenimento a questi soggetti, pur consapevole che non sia accettabile democraticamente una revisione a posteriori di queste regole, mi scopro estremamente infastidita dalla questione.
 
Insomma, come minimo manterremo 60 anni questa tizia, la quale ha sempre lavorato in nero.
Rivalutazioni, scatti...
La sua pensione sarà, alla fine, assai più corposa di quella che percepirò io (posto che sia ancora viva) dopo 40 anni di lavoro.
 
Non ho soluzioni semplici sottomano, tuttavia, credo che, nel caso di baby pensioni particolarmente pingui, e ce ne sono, si potrebbe almeno procedere al blocco delle rivalutazioni.
Una questione di rispetto verso chi, come mia madre, ha visto congelata la sua pensione per 19 (sottolineo 19 euro lordi l'anno).
 
E qui, anche se Grillo e compagnia cantando non mi piacciono, un bel vaffa ci starebbe.
 

sabato 11 gennaio 2014

Il mio regno per un francobollo

Siamo, senza dubbio alcuno, in un'era digitale. Un'epoca in cui non vengono spedite altro che montagne di mail, di sms, di comunicazioni virtuali.
 
Tuttavia, talvolta capita di dover spedire una lettera.
Sissignori, una lettera.
Le banche italiane hanno ognuna protocolli diversi in tema di sicurezza. E, alcune, pretendono l'invio firmato di tutta la contrattualistica.
 
E così, mi trovo con in mano una busta da inviare alla banca di mia madre, la quale, come sempre, ci ha giusto messo una firma dopo che l'ho inseguita per giorni.
 
Il mio progetto è semplice: andare in tabaccheria dai miei cinesi di fiducia, comprare il francobollo e spedire il tutto nella casella sulla strada del lavoro.
 
E qui, primo buco nell'acqua: innanzitutto il cinese non c'è più, ma la tabaccheria è gestita da un italiano. Sono comparsi un vetro di protezione antirapina, due macchinette mangiasoldi e, di francobolli, neppure l'ombra.
 
- Li ho finiti proprio oggi.-
Oggi. Sono le 8 del mattino...
 
Entro in ufficio e penso a dove poter comprare questo benedetto francobollo.
Passo tutta la giornata a farmi una piantina virtuale nella mente di tutti i possibili tabaccai sulla strada del ritorno. In stazione, vicino al panettiere davanti alla stazione, sulla strada del ritorno...
 
Li visito, al mio ritorno, tutti.
Rischio anche di perdere il treno.
 
Niente da fare.
E tutti, tutti, mi rispondono: - Li ho appena finiti...- con un'aria sorniona che proprio non mi piace.
 
Ora, o stiamo assistendo a una recrudescenza di "neo romanticismo" in vista di San Valentino, e tutti si allenano a scrivere e scrivere letteruzze innamorate, e, di conseguenza, mi aspetto che una arrivi anche a me, oppure, molto più probabilmente, non li tengono più.
Una merce in disuso, il vecchio francobollo.
 
E così, alle sei e mezza di venerdì sera, mi tocca andare in posta e affrontare l'inevitabile coda.
Ora, la coda non dipende dal numero di persone effettivamente presenti e in fila. Nel mio sportello postale la coda te la puoi fare anche tu, da solo. Ecco, sono proprio l'esempio della forza dell'elefantiaca burocrazia nazionale e della sua "violenza" passatemi il termine, nei confronti del cittadino, nonostante le recenti riforme.
 
Il pensiero di affrontare Miss "deve proprio spedire oggi il telegramma di condoglianze, non può venire un altro giorno" mi atterrisce.
Per fortuna, a meno di non rinviarmi al giorno dopo, dovrebbero chiudere alle 7, per cui è anche nel loro interesse velocizzare la cosa.
 
E quindi, eccomi in posta.
Ci sono solo tre persone in coda alle spedizioni. Mi rendo conto di quanto sia ridicolo tutto questo: sono in posta per spedire una lettera....
 
Arriva il mio turno.
Mostro il mio più rassegnato sorriso alla signora Gigliola, l'esempio vivente del mal impiego delle categorie protette in Italia. Qui si assumono perché obbligati dalla legge e per avere sgravi fiscali. Ma poi si buttano allo sbaraglio a fare i lavori di tutti gli altri.
 
E in questo caso lei sta in uno sportello al pubblico, costretta a fare un lavoro impegnativo. Spedisce pacchi e buste tutto il santo giorno. E fa fatica a controllare tutto, è molto lenta, ha difficoltà anche a contare il denaro.
Infine, siccome la signora Gigliola e io abbiamo un nutrito campionario di disgrazie passate condivise, c'è stato anche un momento in cui doveva spedire e compilare i permessi di soggiorno.
Un'esperienza delirante che mi ha portata ad attendere due ore mentre cercava di sbrigare la pratica di uno del Bangladesh, con una fila di persone isteriche che l'insultavano e lei sull'orlo di una crisi di pianto.
 
Stasera siano fortunati: arriva il mio turno e ci vogliono solo 15 secondi per farle capire che devo spedire la busta. La pesa e la guarda fissa per almeno 30 secondi: - Va in Italia?-.
Un sospiro di sollievo rompe il mio inizio di panico di fronte al preoccupante stop.
 
-Sì.- La pesa e si ferma. E' stanca, e si vede. Qualche parrucchiere maligno le ha fatto una testa rosso pomodoro, e il pallore della stanchezza è ancora più evidente sul suo volto terreo.
 
Mi dice l'importo (1,9 EURO , CHE LADRI!) e, con una calma infinita mi dà il resto.
Nel frattempo un bradipo avrebbe già vinto la maratona di New York, credo....
 
E così sono fuori dall'ufficio postale.
Più leggera di 2 euro, e... con mezz'ora di tempo  in meno.
 

giovedì 9 gennaio 2014

Fatti i fatti tuoi

Nel senso di " fatti i tuoi interessi".
Cosa c'è di meglio che lasciare le inutili diatribe in ufficio e recarsi con soddisfazione a fare un bell'investimento?

Nulla per me è più bello di un ritorno a un sano egoismo, inteso come cura di sé e delle proprie cose.

Pratiche burocratiche noiose, perdite di tempo. Ma nulla mi può fermare. Se da bambina adoravo svuotare il mio porcellino di gomma, contare il denaro e impilare le monetine per tipo, anche oggi amo investire e... Contare il mio patrimonio.

Mi fa sentire sicura.
E oggi sono così contenta: ho risparmiato dei soldi non avendo fatto shopping e ho fatto una cosa antipatica per gestirli al meglio!
Sto anche rispettando la mia agenda 😄

E, all'inferno tutti i parolai inconcludenti che blaterano senza mai investire un euro.

Resisti resisti resisti....

... alla fame!
Ho una fame atroce, mangerei pure del pollo lesso, delle gallette di riso che sanno di polistirolo, che so... Il punto è che, insomma, sono troppo grassa.
 
Dopo la fine delle feste in cui ho cercato di non esagerare, mi sono messa a dieta.
 
Sulla carta certe diete ipocaloriche prevedono un discreto quantitativo di cibo.
Sulla carta, però, e corredate da immagini di belle donnette sorridenti.
 
Stamattina mi sono alzata alle 6 e adesso, alle 11 e 30, dopo cinque ore e mezza e un misero spuntino con yogurt magro senza lattosio e una colazione scarsina, ho una fame bestia.
 
Intorno a me, colleghi che sgranocchiano ogni tipo di snack, dopo aver saccheggiato la macchinetta.
Nella realtà c'è una poveretta morta di fame (io) assediata da una folla di magri con la passione per il junk food.
 
E, la prospettiva, è quella di un piattone di riso scondito e lenticchie.
 
Resisti, resisti, resisti alla tentazione di fare una strage di Buondì Motta...
 
 
 
 

mercoledì 8 gennaio 2014

Lasciate che i gatti vengano a me

Sono le 6 e 38 dell'8 gennaio, stamattina.
E' buio, quando esco ma non fa freddo.

Vicino alla mia macchina incontro il miciotto, cioè un bel gatto maschio giovane, bianco e rosso, cicciotto e affettuoso che ogni tanto gira nel mio cortile. Si lascia avvicinare, è domestico e simpatico.

Starei lì, come lui vuole, a coccolarlo, ma purtroppo devo andare.

Il mio amore per i gatti ha tutti i contorni di una vera passione basata sulle affinità elettive. Da bambina non amavo gli animali, a parte il mio canarino e la giraffa dello zoo. Questo finché mia nonna non ha deciso di prendere il gatto. E finché io non mi sono ammalata; con un febbrone da cavallo. Il gatto è stato nel letto con me tutto il giorno e la notte.

Del gatto amo, in particolare, la capacità di discernimento. Non è vero che il cane è più intelligente: nemmeno per sogno. Il cane fa quello che vuoi tu, sbava, ti adula, ti guarda implorante. Ti obbedisce.
Il gatto no: lui valuta, pensa e decide in autonomia.

Costruisce con te un rapporto paritario, siete due compagni, non esiste gerarchia.
Amo il gatto proprio per questo. Per questo spirito critico, per questa indipendenza, per la sua sottile ironia.

E chi dice che il gatto è distaccato, si affeziona alla casa e non alle persone, beh, non ha mai avuto un gatto. Animale apprezzato dalle persone sensibili e intelligenti, chi lo ama è diverso dai fan del cane.

Non si è mai visto un amante dei gatti grossolano, per esempio.

Il gatto è serio, ma autoironico, colto, raffinato e preciso. E' pulito, a volte disincantato, orgoglioso, prepotente e capriccioso.
Ama quello che non è il suo padrone, il gatto non ha padroni, ma la sua mamma e il suo papà.
Il gatto non è di nessuno, concede graziosamente la propria compagnia. Detesta il chiasso, è solitario e indipendente, ma non troppo.

Io sono tipo da gatto.
Amo i piccoli felini e, anche loro, alla fine, amano me.




Andy Warhol e Sam

 

 
Andy Warhol amava moltissimo i gatti. Li amava così tanto da raffigurare una Natività in cui Gesù Bambino abbracciava un gattone grigio, lui che veniva da una famiglia religiosissima.
 
Si circondava di gatti e tra i suoi gatti ha ritratto Sam, che vedete sopra, moltissime volte, in molte fogge diverse, compreso in foglia d'oro.
 
Sardonico, enigmatico, estremamente ironico, fintamente superficiale e banale, questo è Andy Warhol, le cui analogie con il piccolo felino sono evidenti.
 
 
A Palazzo Reale è ospitata una bella mostra di Warhol, in cui, magicamente al visitatore, qualunque esso sia, sembra tutto dannatamente chiaro. La superfice levigata dei barattoli della zuppe Campbell, i ritratti delle dive che sembrano istantanee colorate, i tratti essenziali, quasi stampati dei suoi fiori, sembrano ingenui e banali, a noi, che li conoscevamo già.
 
In realtà contengono un lavoro di sintesi sociale e artistica notevole, dove ciò che viene rappresentato è lo specchio della filosofia dei tempi.
 
Un artista pop, popolare, capace di farsi capire da chiunque, capace di dire: molti mi chiedono chi sia Andy Warhol. Sono le mie opere e sono io, la mia superficie.
Non c'è altro.


martedì 7 gennaio 2014

Per iniziare l'anno in bellezza 2

... come sei elegante oggi, sembri proprio sembri proprio.... ecco, proprio... una hostess!
Sì, vestita come una hostess, ecco....


Sono commossa.

Per iniziare l'anno in bellezza....

... Miche' le Poste sono come la mamma o la Madonna nella nostra testa, ma non è così e tu non vuoi scavare, tu non vuoi fare questo articolo, perchè perchè, chi c'è dietro le Poste? Perchè non lo vuoi sapere? Perché non lo vuoi dire? Io, io, che metto i soldi dei miei bambini nelle Poste, mi devo fidare? Chi garantisce le Poste?

Silenzio

Lo Stato, cioè noi tutti.

Fermo immagine, sorpresa, respiro

Ahm, perchè non sono private? Cdp?

Silenzio, lentamente

CdP è la Cassa depositi e Prestiti, lo Stato, appunto....

Ancora più sorpresa, vocetta stridula

Non è una banca? E come mai?

Silenzio di compassione
E' tutto vero.....

domenica 5 gennaio 2014

Nail disaster

Accidenti alla mania per questi programmi di nail art.

Sempre alla ricerca di nuovi stimoli, munita di un imponente campionario di smalti, pennellini, brillantini e chi più ne ha più ne metta, mi dedico alla nail art.

Con cura faccio crescere le mie unghie, che porto normalmente corte per esigenze pratiche e perché amo, in questo momento, gli smalti scuri, che trovo inguardabili sulle unghie lunghe. Parto impegnandomi nella visione dei programmi deputati al pasticciamento unghie e pure mi blocco davanti a youtube.

I primi, timidi passi, li ho fatti mediante applicazione di brillantino, così saldamente ancorato all'unghia da rendere molto difficile togliere il tutto dopo giorni. Insomma, sembrava mi fosse venuto un brufolo brillante sull'unghia dell'anulare...

E poi, dopo giorni di attesa, arriva capodanno. Impiego ore per realizzare una french manicure precisa, contornata da brillantini disposti con precisione millimetrica. Quando il tutto, perfettamente simmetrico, è asciugato, vado a vestirmi. Che fatica, penso, settimane per avere le unghie lunghe, poi dar loro la forma squadrata, metterci su questo popo' di roba...
Non faccio in tempo a pensarlo che mi si rompe l'unghia del medio della mano sinistra.

Sono secoli che non mi si rompe niente... di fisico, intendo.
Rimango interdetta a contemplare il disastro.

Certo, concludo dopo un po' di tempo, non posso presentare la mia opera d'arte così... monca, ecco.
Che non somiglia affatto alla Venere di Milo.

Non mi resta che togliere il tutto... e vedere tutto il mio tempo e la mia fatica che finiscono nel cestino. Ecco, non sono certa di ripetere l'esperienza. E, oltretutto, non sono certa che certe "opere" rispecchino il mio gusto.

Per cui, meno art e più nail in futuro.

Qual è il problema?

E se il problema fosse tutto nella mia testa?
 
Perché, pur non essendo un mostro/una pazza/una jena, non riesco ad avere delle relazioni soddisfacenti?
 
Da tempo mi interrogo e sono giunta alla conclusione di essere io il problema.
La colpa è la mia, inutile girarci intorno.
Ma in che misura e soprattutto in che frangente è mia?
 
Mi riconosco una serie di difetti, esteriori e interiori.
Ammetto di essere esigente, di non essere espansiva, di essere timida e schiva e di non essere una bella donna.
 
Ma ho il fondato sospetto che non cambierebbe nulla nella mia testa nemmeno se mi dedicassi anima e corpo alla mia forma fisica e ottenessi grandi risultati.
 
Che, in fondo, pensi di non meritarmi una vita felice?
Ho così interiorizzato il modello di mia mamma di scelte riduttive da aver sviluppato il gene dell'accontentamento. Si vede nelle piccole e nelle grandi cose, salvo poi "sfogarsi" con acquisti esagerati e inutili e comportamenti bulimici.
 
Ho pensato, a titolo di cura, di aver bisogno di riposizionare il mio interesse su di me.
Su me stessa, per ritrovare quella fiducia che non ho mai, fino in fondo, avuto.
Sarà una cosa complicata, e lunga, ma qualche miglioramento credo si possa già notare.

La cura sarà articolata in alcuni difficilissimi passi.

Il primo è: imparare a dire no. Due letterine complicatissime da mettere insieme per una che ha sempre disperatamente tentato di ottenere l'affetto e l'amore altrui attraverso la gentilezza, l'amabilità e la diplomazia.

Il secondo è: ritornare al rispetto. Di sé verso se stessi e ricondurre gli altri verso la giusta considerazione. Lo scorso anno, mi sono resa conto, che non sempre gli interventi degli amici "per il mio bene" hanno avuto un esito positivo. Anzi, a ben pensarci, mi pare che più di uno abbia giocato in proprio, e pro domo sua. Tradotto in soldoni, finché non c'era di meglio, mentre a me sono rimasti vuoto e cocci. Rispetto di sé quindi, che può essere declinato in molti modi, dal rispetto dei propri reali interessi, dei propri tempi, dei propri gusti, del proprio fisico (ho un disperato bisogno di sport).

Il terzo è: tempo. Devo dedicare tempo alle cose e alle persone. La qualità del tempo è importante, ma anche la quantità è necessaria. Se si tiene a determinate persone ci si deve essere. Il rimpianto che ho quest'anno è quello di non essere stata abbastanza presente, in modo sano. Tramontata l'illusione del "salvare il mondo", la mia ambizione quest'anno è quella di essere presente, corpo, spirito e anima. Il rovescio della medaglia consiste nel dover razionalizzare le mie attività. Non disperdere in mille rivoli, ma concentrarle su precisi scopi.

Il quarto è: ammettere. Da una vita esercito un ferreo controllo su me stessa, e mi è complicato ammettere e dimostrare sentimenti. Ammetto che ho paura del mio futuro, che vedo imprigionato in una stasi eterna e mortifera, ammetto che non ho passione per il lavoro che sono costretta a fare, di più, sono costantemente mortificata perché non sono valorizzata, tenuta in considerazione e apprezzata. Ammetto che la maggior parte delle cose che ho fatto fino a oggi le ho fatte per senso del dovere. E ammetto di essere stanca, profondamente stanca, ed è questo che mi spinge a intraprendere, o almeno a cercare di farlo, nuove strade.



 



Risotto al vino rosso

Una ricetta economica e semplice.
L'unica richiesta è quella di avere del vino buono, altrimenti il risotto diventa una vera schifezza.
 
Ingredienti:
 
riso (oggi circa 200 grammi per due persone) vanno bene Arborio, Roma, Carnaroli, Vialone nano
burro
olio
mezza cipolla rossa
sale
un bicchiere di vino rosso
brodo di carne
 
La fortuna o il caso mi hanno portato, oggi, ad avere sia del vino rosso buono, sia del brodo di carne.
 
Ho fatto un soffritto con olio, burro (più burro che olio) mezza cipolla e sale.
Di solito faccio cuocere bene la cipolla, anche se poi con la cottura del riso dovrebbe comunque completare la cottura. Ho fatto tostare il riso nella padella e ho aggiunto subito il vino (che in questo caso è in porzione doppia rispetto al solito). Fatto evaporare bene l'alcool (non bisogna abbassare troppo la fiamma in questo momento, ma mescolare perché non si attacchi) ho aggiunto il brodo, bollente, un mestolo per volta.
Il riso "beve" abbastanza, quindi di brodo ce ne vuole ben più di mezzo litro.
Se non è sufficiente si può rimediare facendo del brodo di dado nel microonde.
Acqua e dado in un bicchiere di vetro, microonde alla massima potenza ed è pronto.
 
Prima di servire (cuoce in più di 20 minuti) ho messo burro e ho completato con pecorino.
 
Buon appetito!

sabato 4 gennaio 2014

Saldi per... rugbisti!

Che andare il primo giorno dei saldi invernali all'outlet non sia una genialata non è esattamente una scoperta.
C'era, però, la flebile speranza che una giornata piovosissima di inizio gennaio ci salvasse dall'orda di "saldanti". Invece no, manco per sogno.
 
Io me li immagino, questi bulimici da acquisto compulsivo, la sera prima, con l'eccitazione di un bambino, già pregustavano la gita nel Paese dei balocchi. Li vedo con espressione cupida seduti sul divano a ripassare mentalmente  i negozi, a costruire una strategia, a darsi degli orari, a suddividere famiglie intere: - io vado di qui, tu di lì con la Piergiuseppa, e ci troviamo là all'ora y.-.

All'apertura, con un'ora di anticipo rispetto al solito, si poteva respirare.
Ma è stato un attimo: una manciata di minuti e si è scatenato l'inferno.

Le prime avvisaglie ci sono state nel negozio di Desigual: avvistiamo una ragazza che, alla prima fuggevole occhiata mi pare una commessa. Porta sulle braccia un fascio di abiti, che le scivolano da tutte le parti. Però, guardando come si aggira con lo sguardo da faina e rovista in mezzo alla merce, capisco benissimo che non è una commessa. Inoltre, le commesse, a parte negli store cinesi, dove la temperatura interna è identica a quella esterna, non indossano il cappotto in negozio.
 
E' una cliente.
Una cliente bulimica che ha con sé almeno 15 capi (e non se ne possono portare più di 3 o 5 in camerino), e non è la sola.
Sì, ho comprato qualcosa di Desigual, attratta da una vendita molto conveniente su Privalia, ma resta una marca cara. In saldo sono circa 60 euro per abitino, non pochi.
 
Solo un'ora più tardi ci sarà una coda chilometrica fuori dal negozio, sotto la pioggia battente, di tanti disperati pronti a entrare in un caos biblico di stracci volanti, camerini invivibili, commesse isteriche e musica a palla.
 
Ci appare immediatamente chiaro che, più di tanti negozi, non potremo vedere.
Selezionati i... soliti, alla fine decidiamo di puntare per un tranquillo, innocuo negozio di biancheria normale (che di questi tempi... viste le vetrine di Intimissimi e Yamamay? Mi chiedo cosa possano vendere ora i sexy shop). Ma anche lì non c'è pace, anzi, non pace, diciamo accettabile isteria.
 
Mentre guardiamo i pigiami come persone normali si avvicina a noi, come l'avvento di un tornado, una tizia di mezza età. senza guardarli, giuro, prende tutti i pigiami taglia xl che le capitano in mano. Ne ho contati almeno 6. Noi che guardiamo, e lei che fa strage impediamo il transito a una tizia mal messa che inizia a sbuffare imperiosa. Il suo scopo è quello di farsi sentire, e dopo tre secondi netti, con movimenti a scatto, si butta di lato per scartarci con la stessa velocità che avrebbe se stesse per perdere l'ultima corriera.
 
Più che altro passeggiamo, atterrite dal numero di persone che sono ovunque.
 
Gente carica come un somaro, con tanto di ombrelli e pacchi, cani e lattanti umidicci che devono portare ovunque, anche contro la loro stessa salute.
 
Se un tempo era l'uomo al seguito, in un angolo dimesso ad aspettare che lei facesse shopping, ora anche lui partecipa attivamente allo scempio.
Gente che si telefona, che strilla, che, ne sono certa, compra tanto per comprare.
 
Ma ne vale la pena?
A guardare bene non sempre.
Una borsa Borbonese nel negozio outlet costa come una scontata, della nuova collezione, però in centro. Verificato e comprato oggi.
 
Quindi, ricapitolando, mentre i nostri forzati dello shopping erano a contendersi un trancio di pizza unta e scongelata venduta a caro prezzo, noi siamo già sulla via del ritorno. Mentre ci lasciamo alle spalle un parcheggio pieno di avvoltoi alla disperata ricerca di un buco, vediamo una lunga, interminabile colonna di auto che, di fatto, blocca la strada dall'uscita dell'autostrada fino a lì. 

Immagino, discussioni, rimbrotti, sbadigli, promesse, e chi più ne ha più ne metta.
Stanno facendo parcheggiare, ormai, ovunque, anche davanti ai cassonetti.

In attesa del consueto servizio del tg, "saldi, inizio deludente per la pioggia", mi vedo i nostri pazzi che stanno davanti ala tv, ne tentativo di disfare i mille sacchetti portati a casa.
E' il momento della "contemplazione della preda". Con lo stesso gusto con cui il gatto gioca con il topo, loro guardano la merce, la roba, ah, che soddisfazione, la loro preda.
Possedere, che meraviglia. Il consumismo, questa droga facile, legale e consigliata caldamente.

Peccato che poi, nella fretta, abbiamo comprato tre cose di tre taglie diverse, un ha il buco, l'altra ha un difetto, avevano bisogno di un paio di scarpe e ne hanno prese tre, tanto sono in saldo, ma alla fine hanno speso di più e magari non le metteranno.

E noi? Noi... slow food! Mangiatevi voi la pizza dello spizzico....

Good food, slow life ;-)