Eppure qualcosa è cambiato.
In me intendo, nel mio modo di reagire.
E ne ho avuto la riprova la scorsa settimana, alle prese con una bella litigata con il ciccio.
La situazione è questa, sono sommersa di lavoro.
Non basta aver dilatato da anni l'orario di lavoro e l'impegno.
Con il nuovo lay out della rivista, il mio bel faccione inscatolato in un tailleur di almeno due taglie di troppo, mi arrivano mail a pacchi. Le risposte dei consulenti vanno rilette, controllate, vagliate una per una. Mi dispiace dirlo, ma rispondono spesso un po' a casa, con la scusa che ci sono io che le controllo. Tra telefonate, perdite di tempo indotte dal ciccio, isterismi ed errori dei colleghi, mi sono persa un dettaglio, ma banale.
Da lì ho perso metà del lunedì in scenate varie, che si sono concretizzate con una mail di rimprovero.
Non ricordo più chi disse per la prima volta che la misura era colma, ma di certo io sono satura.
Satura di mistificazioni, satura delle solite balle, satura di questo ambiente malsano.
Così satura da non temere più nulla.
Così lucida da non aver dubbi sul da farsi, così sicura da essere estremamente distaccata nel recitare.
Sono stanca, fisicamente, emotivamente, tanto da manifestare tutti i sintomi dello stress che mi sono stati descritti con dovizia di particolari nel fantastico corso sulla sicurezza aziendale.
Sono stanca di essere sottostimata, non ascoltata, non valorizzata e bistrattata in continuazione.
Mi mancano le soddisfazioni, piccole e grandi.
Alla lunga queste provocano disaffezione e vi assicuro che è così.
Perché il problema vero, quando ci si infila in un tunnel lavorativo. è la certezza del progredire, l'aspirazione a raggiungere qualcosa di concreto, di mettersi in cammino per andare da qualche parte.
Qui c'è solo nebbia, direi.
Non c'è un progetto, non c'è interesse, non c'è organizzazione.
Solo il caos e nessun riconoscimento.
Capite che, dopo anni di questo trattamento, la gente si stufa.
E reagisce, pure.
Io per iscritto e a parole.
Senza paura, senza guardarmi indietro.
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