giovedì 28 febbraio 2013

Sono proprio un somaro (social network)

Credo proprio di averne combinata una delle mie.
 
Dopo attente e faticose riflessioni sul fatto che pubblicare nome e cognome e fotografia sulla rivista equivalesse a passare dal privato al forzatamente pubblico, mi sono decisa a iscrivermi a LinkedIn.
Mi sembrava che fosse anche indice di una certa "serietà" professionale, insomma, questa finisce a dispensare consigli economici a tutto spiano e non esiste da nessuna parte?
 
E così mi sono fatta una paginetta sul sito, un po' controvoglia, ma l'ho fatta. L'unico guizzo di vanità nella scelta della foto, giuro è mia non è ritoccata. 
 
Ecco, tanto per cominciare, questo programma "spulcia" nella tua rubrica online per individuare un'eventuale presenza di persone che conosci sul motore di ricerca.
Inoltre, nel momento in cui tu dichiari l'appartenenza a un'azienda, ti mette automaticamente in contatto con tutti coloro che lavorano presso la medesima.
 
Ora, colpa mia che non ho cancellato indirizzi di persone poco gradite, ma, almeno chiedetemelo.
Dato che ora, ogni volta che apro la pagina, mi trovo il bel faccione di un ex che troneggia tra i primi contatti non ancora accettati. E non è bello.
 
Non contenta e soprattutto alla ricerca di una compagna di corso di inglese che ho perso di vista tempo fa, mi dedico a un minuzioso screening dei contatti che a loro volta mi hanno contattata (perdonatemi il bisticcio di parole) in maniera colpevolmente superficiale, ovvero facendomi bellamente i fatti degli altri, esplorando profili, cercando compagni ed ex compagni di scuola... senza sapere che, come tu puoi vedere tutto degli altri anche loro, viceversa, possono vedere le tue visite.
 
Ma è ovvio, solo una cretina patentata come me può non saperlo.
 
Ora, è inutile che vi dica che è stato un disguido dovuto all'incompetenza. Quest'ultima è palese.
Ma non è un disguido, è che sono curiosa. Curiosa come un gatto.
 
Quando ho realizzato dell'ambivalenza della visita, mi sono vergognata come una ladra, per una serie di motivi. Tra cui il fatto che, invece di continuare a scrivere un barbosissimo pezzo sull'economia polacca e la borsa polacca e le obbligazioni polacche e la disoccupazione polacca, stessi "divagando" su internet.
 
E, quando ho realizzato la portata della figuraccia, mi sono vergognata e più vergognosa che mai mi sono "riversata" su Maria nella mia estrema vergogna. Almeno lei si è divertita...
Beh, in realtà ci siamo fatte un paio di risate....Le mie vergognose, le sue no.
 
E penso a tutte quelle tante persone che si sono trovate il mio faccione tra le ultime visualizzazioni.
E così... torno a vergognarmi nel mio angolo, mentre setaccio, invece della rete, il sito dell'istituto di statistica polacco.
 
Ben mi sta. Dovevo dedicarmi alla Polonia, lazzarona....
 
 




Dovere, volere

Il dovere è davvero un concetto assoluto oppure può essere relativizzato?
E ancora, il dovere è un concetto morale che attiene all'etica personale oppure può essere sistemizzato e universalizzato?

No, stamattina non ho messo le dita nella presa, ma, semplicemente, mi ponevo un dubbio: quello che io devo fare lo devo fare per "ragioni superiori" oppure talvolta sono io che me lo impongo.
Dove iniziano i miei doveri e dove le mie paranoie?

E ancora, so che in questo periodo mi sto assumendo troppi impegni, troppe incombenze, troppi extra. Sono stanca, e più lo sono e meno riesco a dormire. Mi sveglio (come oggi) poco dopo le 5, non riesco a dormire, poi ho continuamente mal di stomaco e le occhiaie che toccano terra.

C'è qualcosa che non va.
Se penso a ogni singolo impegno, ovviamente è improrogabile. L'occasione unica e irripetibile.
Ma se penso all'insieme.... è un po' troppo.
Uscire alle 6 e mezza del mattino e rientrare alle 20 e 30 è un po' troppo, soprattutto se è una cosa reiterata nel tempo.

In sintesi, non sarà che ho difficoltà a dire di no?
Insomma, io che cosa davvero devo fare, cosa mi sento in dovere di fare e cosa voglio fare?

Se penso ai giorni passati, mi chiedo quanto sia saggio imporsi comportamenti formalmente corretti e impeccabili (per chi poi?).
Mi chiedo come possa pensare di continuare ad adeguarmi a una consuetudine che non è più la mia. Volgo lo sguardo indietro e mi sento lontana mille miglia, dopo aver passato una giornata imbustata in un abito di plastica a far la sauna nei miei buoni comportamenti.

Quanto della mia vita devo sprecare a compiacere gente volgare, o stupida, o tutt'e due le cose insieme, a ricercarmi obblighi tutt'altro che scontati.

Mi serve, credo, tornare a desiderare qualcosa.
Io cosa voglio fare? Dove voglio andare? Con chi voglio stare?

mercoledì 27 febbraio 2013

Obblighi di compleanno

Ovvero, dar da mangiare ai famelici colleghi.

Con il senno di poi, mi sono resa conto che abituare i suddetti famelici a festeggiare grossi e grassi compleanni, è stato un errore. D'altro canto, anche i colleghi degli uffici a fianco mi invitano ai loro festeggiamenti.
Per cui, il minimo, in termini di educazione, è quello di ricambiare.

All'inizio, e quando gli anni erano meno, mi divertiva e non mi pesava.
Nella mia proverbiale ingenuità, poi, pensavo che esibire le mie capacità culinarie mi avrebbe "fornito punti" nella considerazione maschile (sono scema, l'ho capito, l'ho capito adesso). Insomma, almeno qualcosa sa fare...

E così via di compleanno in compleanno, a botte di torte salate e dolci, biscotti, brioches, tartine e chi più ne ha più ne metta.

Dopo un po' la cosa ha cominciato a pesarmi.
In tutti i sensi. Fisicamente, perché vi assicuro che portare da Mortara all'altro capo di Milano con treno+metro verde+metro gialla+pezzo a piedi senza fare danni non è semplice, e poi emotivamente.
Se avessi potuto scegliere liberamente, avrei festeggiato "a porte chiuse" con poche persone, e non in ufficio. Magari un lunedì, in modo da potermi portare avanti facendo la torta (in questo sta il festeggiamento, nel fare qualcosa per qualcuno) la domenica, invece che durante la settimana, come mi è toccato fare perché altrimenti l'Ale non c'è e si offende.

La cosa ha assunto in questi giorni contorni comici.
Danilo mi ricorda cortesemente l'avvicinarsi del mio compleanno con grande costanza.
Tutti mi chiedono cosa porterò, e io, chiaramente, decido di togliermi il "dente" quanto prima.

Non ho fatto in tempo a dire che avrei portato la torta, che subito deraglia un treno sulla mia linea, causando notevoli disagi e ritardi alla circolazione.
Nel contempo, da 15 giorni ormai, ho il frigo rotto.
Quindi non potevo né fare la spesa, né portarmi avanti a fare la pastafrolla.

Mi precipito ieri come una pazza a comprare burro e uova al supermercato. Ci manca solo più che rotoli sotto la serranda implorando un panetto di burro, dato che mancano pochi minuti alla chiusura del punto vendita.
Mi lancio a casa, sempre come una pazza, dove mi metto all'opera.
Obiettivo: torta con ripieno di amaretti, dolce vintage, con una storia alle spalle e molto piemontese (mah).

Una torta grande e "robusta", senza crema.

Risultato: alle 10 di sera sto pulendo la cucina, dopo aver mangiato qualcosa in piedi, con il gatto (a cui piacciono i dolci) che mi assedia e si strofina con forza girandomi intorno mentre monto sulla scala con lo scopo di mettere sopra il frigo la torta a raffreddare del tutto. Come Gianni e Pinotto mia mamma (coinvolta nella cosa) e io ci intralciamo invece di coordinarci. Giriamo per la cucina sgomitando e portando le pignatte sporche da destra a sinistra e da sinistra a destra senza soste (alla fine abbiamo optato per la lavapiatti, almeno quella per il momento funziona).

Al momento di sfornare la torta ho avuto un attimo di preoccupazione.
La vedo lì, grande, bella cotta e gonfia nella tortiera senza cerniera (troppo grande l'impasto per stare nella tortiera standard), che mi guarda... e io temo di rovesciarla.
Grande disastro!!!!

Invece no, il gioco di prestigio tortiera piatto funziona e la tortona è lì, davanti a me.

Stamattina levataccia per confezionarla adeguatamente e viaggio sui mezzi davvero disagevole, per evitare di frantumarla.
Il rischio maggiore è dato dall'ometto con lo zainetto (perché un uomo abbondamentemente adulto e che non pratica alpinismo o trekking viaggia in metro con un enorme zaino che usa come arma di sfondamento di massa?). Che come un elefante alla carica degli elefanti cerca di stenderti ruotando sgraziatamente su se stesso in continuazione.
E a momenti ci riesce...
La torta è in salvo, ma una bella zainata in faccia (dato che, nonostante l'anno in più sono sempre alta 1 metro e 60, volendo essere generosa...) me la sono beccata come buongiorno.

E poi tutto secondo programma: arrivo e mando la mail, convocazione alle 10 e 30, invito anche l'orribile ciccio, che ovviamente si accorgerebbe della fragrante presenza, passo a chiamare tutti, mi sorbisco i gridolini e i lamenti (quando si mangia?) e le lamentele.
Già, perché su più di 20 persone a cui ho tagliato una cospicua fetta di torta, c'è stato anche chi si è lamentato che ne voleva di più, che aveva avuto una fettina piccola rispetto agli altri.
Indovinate chi?

Tra "abusivi" e invitati, alla fine in pratica la fetta più piccola è stata la mia.
Solo per verificare la cottura del dolce e il fatto che fosse commestibile.
Salvo un trancio della medesima per gli amici dell'ufficio salute, e stavolta con grande partecipazione, offro il mio dolce.
Mi regalo anche un pranzo con gruppo alternativo, come una boccata di ossigeno, in pratica, rispetto alla quotidianità. Del solito, dopo la mattinata intera a petulare:- Mi dai un'altra fetta? Per chi è? per chi è? -. ne ho davvero basta.

E oggi ho con me anche un coltello vero, per cui....

Ricapitolando: ho fatto la torta, è venuta bene, l'ho portata, non si è rotta, l'ho offerta a chi dovevo e non solo a chi volevo facendo grande sfoggio di educazione, non ho dato due ceffoni a chi lo meritava, ho sorriso, ho pulito e ho pure differenziato i piattini dai tovaglioli e dalle forchettine.

Però...
Non ho fatto quello che avrei voluto fare.
E ieri sera, a letto. prima di spegnere la luce, mi sono resa conto di sentirmi come si sente una mortadella sottovuoto.
Credo che il problema stia nella discrepanza tra dovere e volere, tra educazione e istinto.
Insomma, sono educata, gentile, cortese e... arcistufa di esserlo.


martedì 26 febbraio 2013

Un momento delizioso

Questa mattina, nata sotto una stella poco luminosa, si è movimentata allegramente.
Dopo diversi tentativi andati a vuoto per cause di sventura maggiore, ritardi reciproci, neve, malattia, ho visto Edvige a colazione. Lavora due strade a fianco delle mie.
Non ci vediamo da un mese, ma si può.....

E oggi, alle 8 e 5 ero davanti all'edicola della metro di Piazzale Maciachini.
Dopo 5 minuti è arrivata lei e ci siamo dirette verso il famoso bar nuovo di via Pavoni, tanto pubblicizzato da Paola che porta lì la figlia a scuola.

Mi piace subito questo ambiente ampio, tutto vetrate, dove il bianco domina (li progettano tutti con lo stampino, comunque, questi posti). C'è un po' di tutto, libri, brioche, ombrelli...
Sul tavolo troviamo la pubblicità di una serie di incontri e di corsi, tra cui uno di degustazione vini, che faranno prossimamente.

Parliamo, le espongo i miei progettini futuri, i miei dubbi, lei mi racconta della sue esperienze, della rapina della settimana scorsa, ci scambiamo delle idee sulla sua strana sostituzione in AC (mi ha confermato, la sua sostituta non è una farmacista). Alla fine, dopo mezz'ora, ci alziamo.
Ma prima mi dà un pacchettino, il regalo per il mio compleanno!!!!
E si ricordava che è domani!

Ma che tesoro, mi sorridevano anche i capelli.
Non me lo aspettavo davvero. :-))

Come faccio di solito ho aperto subito, come i bambini....

Dal sito del Corriere

Grillo, assuma la responsabilità
26.02|14:27 mariach
di guidare l' italia dal momento che ha causato l'ingovernabilità del paese. Le elezioni non sono una gara olimpica, non basta partecipare.

siamo passati da un cantante navi da crociera
26.02|14:06 Lettore_6060
ad un comico ; noi italiani dobbiamo meritarci tutto questo, senza capire nulla che il mondo che conta(inglesi americani e tedeschi) non và così? dobbiamo sempre avere a che fare con politici da campagne del grano, mascella volitiva, e discorsi dal balcone di piazza venezia? vedere non solo silvio e le sue pagliacciate con attricette varie, ma anche la traversata dello stretto da parte di grillo, e valutarli per quelli che sono

Viva... il re????

The day after, quello successivo alle votazioni più sceme della storia, è, per natura, pieno di opinionisti, di esperti improvvisati, di esperti veri, di contenti, di scontenti e di menefreghisti che pontificano a tutto spiano.

Ma oggi, dopo aver letto di tutto e il contrario di tutto, mi imbatto nella dichiarazioni del capo del partito monarchico italiano, il quale dice che, in presenza del re, questa confusione e ingovernabilità non ci sarebbe.
Insomma, niente Borsa al tracollo, niente su e giù dei mercati...

Ovvio, dato che, in caso di monarchia, le elezioni non sono normalmente previste.
E, impegnata nella mia mezz'ora+ mezz'ora quotidiana di metro, la visione del regale principe canterino e del di lui padre dal grilletto facile mi ha folgorata.
Pur da piemontese...
Oddio, al peggio non c'è limite, ma forse non basta una canzone, un bel sembiante francesoide e una moglie carina per risolelvare le sorti dell'Italia.

lunedì 25 febbraio 2013

Febbre da elezioni 2

... il mio capo sta girando per gli uffici con la radio a palla per ascoltare gli exit pol, maniche rimboccate, piede a papera con scarpe ortopediche, solito jeans.

Sembra un tifoso. Di che?
Non si sa.
Lui non è andato a votare. Nevicava....

Gambit

Perché mi piace Colin Firth, ammettiamolo, sono andata a vedere questo film leggero, in cui c'é Cameron Diaz che recita sempre la stessa parte, quella della tipica bellezza americana ruspante e scafata, e lui e il maggiore che si propongono come il prototipo del gentiluomo inglese, vestito "bene" che parla "strano" e che è impeccabile in ogni circostanza o quasi.

Simpatico e non volgare, racconta della truffa perfetta del nostro esperto d'arte maltrattato da un principale volgare e ignorante (ricorda qualcuno?). Decide di vendicarsi appioppando un falso al tronfio magnate, almeno in apparenza.
In realtà la truffa è molto più sofisticata e si scopre solo alla fine.


Febbre da elezioni

Sono le 15 e 26 e la nostra rete internet è completamente impallata.
Sono tutti ossessivamente collegati alla rete per partecipare al primo grande evento dell'anno.
In un Paese senza Governo, senza Papa, con una generazione perduta (la nostra, come ho scoperto oggi, dei nati negli anni '70) immolati alla ragione di Stato, no, scusate, al debito di Stato, che ribolle come un calderone, tra scoramento, indifferenza e rabbia, si teme il trionfo di Grillo, forse più di quello del ninfomane numero 1.

Sono apparse le prime proiezioni, che danno la sinistra in testa.
E Piazza Affari, con i titoli bancari in testa ha fatto un balzo in avanti.

Cosa temono di più i mercati?
Innanzitutto l'ingovernabilità del nostro Paese, che si traduce nel timore che l'Italia non ripaghi il proprio gigantesco debito (il 3° al mondo, per la cronaca).

Poi temono nell'accrescersi, nei luoghi deputati al potere, di un forte sentimento antieuropeista.
Non per nulla oggi il Corriere titolava che dal risultato delle elezioni di oggi dipendeva il futuro dell'Unione europea e dell'euro medesimo.
L'Italia non è un "moscerino" come la Grecia, e qualsiasi decisione in senso antieuropea possa prendere l'Italia sarebbe una pietra tombale per il progetto dell'Unione.

Temono la fine della politica del rigore e delle riforme di cui l'Italia ha tanto bisogno (mi permetto di ricordare che sarebbe anche il caso di iniziare a smettere di invocare l'equità e iniziare a praticarla con i fatti) e il ritorno dell'allegra politica di Arcore.

Una decorosa vittoria di Bersani (tendenzialmente i governi di sinistra non scialacquano il denaro) e il contenimento del "fenomeno" Grillo hanno rassicurato i mercati.

Perché salgono soprattutto i titoli bancari?
Perché sono i più reattivi agli umori della Borsa.
E perché anche il titolo Mediaset sta crescendo del 10%?
Perché si pensava a un disastro elettorale, ma le attuali proiezioni rassicurano sul fatto che il "sorcio di Arcore" come lo chiama un acuto collega, possa avere un discreto peso alla Camera.

Non ci resta che.. incrociare le dita ;-)
 

domenica 24 febbraio 2013

Bring me to life

Eppure qualcosa è cambiato.
In me intendo, nel mio modo di reagire.

E ne ho avuto la riprova la scorsa settimana, alle prese con una bella litigata con il ciccio.
La situazione è questa, sono sommersa di lavoro.
Non basta aver dilatato da anni l'orario di lavoro e l'impegno.
Con il nuovo lay out della rivista, il mio bel faccione inscatolato in un tailleur di almeno due taglie di troppo, mi arrivano mail a pacchi. Le risposte dei consulenti vanno rilette, controllate, vagliate una per una. Mi dispiace dirlo, ma rispondono spesso un po' a casa, con la scusa che ci sono io che le controllo. Tra telefonate, perdite di tempo indotte dal ciccio, isterismi ed errori dei colleghi, mi sono persa un dettaglio, ma banale.
Da lì ho perso metà del lunedì in scenate varie, che si sono concretizzate con una mail di rimprovero.

Non ricordo più chi disse per la prima volta che la misura era colma, ma di certo io sono satura.
Satura di mistificazioni, satura delle solite balle, satura di questo ambiente malsano.
Così satura da non temere più nulla.

Così lucida da non aver dubbi sul da farsi, così sicura da essere estremamente distaccata nel recitare.
Sono stanca, fisicamente, emotivamente, tanto da manifestare tutti i sintomi dello stress che mi sono stati descritti con dovizia di particolari nel fantastico corso sulla sicurezza aziendale.
Sono stanca di essere sottostimata, non ascoltata, non valorizzata e bistrattata in continuazione.
Mi mancano le soddisfazioni, piccole e grandi.
Alla lunga queste provocano disaffezione e vi assicuro che è così.

Perché il problema vero, quando ci si infila in un tunnel lavorativo. è la certezza del progredire, l'aspirazione a raggiungere qualcosa di concreto, di mettersi in cammino per andare da qualche parte.
Qui c'è solo nebbia, direi.
Non c'è un progetto, non c'è interesse, non c'è organizzazione.
Solo il caos e nessun riconoscimento.
Capite che, dopo anni di questo trattamento, la gente si stufa.

E reagisce, pure.
Io per iscritto e a parole.
Senza paura, senza guardarmi indietro.

Risposte

Nel corso degli anni molte persone mi hanno chiesto perché non mi sia trasferita a Milano e mi sottoponga a uno stile di vita così tremendo.

La risposta mi è venuta, semplice, ieri.
Non è il denaro, né la solitudine, a spingermi a questo su e giù.
Non credo di aver mai accettato né la vita che faccio né il lavoro che faccio, né come lo faccio, né dove lo faccio.
Questa è la risposta, semplice e chiara.

Penso che sia più quello che mi toglie che quello che mi dà.
Non permette di approfondire nulla di nulla, e quello che ho dimenticato è infinitamente più di quanto abbia imparato.

Per paura, credo, mi sono infilata in questo posto, abitato da pazzi frustrati e sadici.
Vorrei uscirne.
Non mi vedo a consumare l'esistenza lì dentro.
E il problema è di persone, non di lavoro in quanto tale.

sabato 23 febbraio 2013

Votate...

... per favore.
è l'unico strumento che abbiamo.
Le nostre nonne non potevano votare, è una loro conquista e di tutte le donne che hanno lottato per esprimere la propria voce.

So che non vi sentite, magari, rappresentate da nessuno, che è tanta la rabbia, la delusione, la paura, il senso di abbandono, la tristezza, l'incertezza. Ma non votare è come dire: "Fate pure ciò che volete". Che è quello che è avvenuto fino ad oggi.
Fate pure, che noi dormiamo. Dormiamo di un sonno profondo e senza sogni.

Per cui, vi prego, andate a votare.
E rinfrescate la vostra adorabile memoria, che è ben più lunga di un anno fa o giù di lì, vero?
Voi non credete, vero, che l'Imu sia una decisione di Monti.
Perché non è così.

I monti c'entrano, ma sotto forma di Tremonti....
Capito?

Crisi e rossetti

La crisi avanza e le vendite di rossetti si impennano.
I tacchi raggiungono altezze mai viste.
Le gonne si accorciano.

Non sono impazzita, si tratta di una delle curiosità provate dall'economia.
In sintesi, quando l'incertezza aumenta, ci si concentra su acquisti di poco conto e tanto impatto (vedi l'attuale moda per il rosso acceso) ci si distrae elevandosi ampiamente sopra la realtà quotidiana, come quei trampoloni da 12 cm che sono un evidente problema per una che è alta 1 metro e sessanta, volendo essere generosi (e noi lo siamo) e ha il 36 di piede.

Tipico esempio di questa teoria è stata la moda costosissima che ha dominato i Paesi europei in guerra tra il 1914 e la fine della prima guerra mondiale: gonne cortissime per l'epoca e arricciatissime (quindi bisognose di moltissima stoffa).
Oppure il boom di vendite di rossetti, sintetizzato dal lipstick index, termine coniato dalla Estée Lauder, per descrivere il grande incremento di vendite di rossetti avvenuto a cavallo del 2000.

Bizzarrie della mente umana femminile?
Può essere, ma è anche razionale pensare che un piccolo acquisto possa, in tempi in cui di acquisti importanti non ce ne si può permettere, regalare una piccola soddisfazione.

Ecco perché oggi mi sono comprata un bel paio di rossetti rossi.
Sono ormai arrivata a un'età in cui posso portarli!

venerdì 22 febbraio 2013

Macbeth

Finalmente riesco a scrivere dello spettacolo che ho visto al Piccolo domenica scorsa.
Pur arrivando preavvertita del fatto che fosse una rappresentazione rivisitata, mai fui abbastanza avvisata.
Fresca di lettura, mi trovo a separare l'originale dall'intervento moderno, con lo stesso spirito con cui si separa, in campagna, una montagna di piselli dal proprio baccello.

Si tratta di una rappresentazione sanguinaria del potere e dell'ambizione, della persuasione del male.
In questo caso anche sanguinolenta, con un'ardito uso di vernice rossa, violente metafore da film horror e pensieri orribilmente partoriti come feti morti.
Tra fughe di povere vecchiette portate con il pullman in gita al teatro (notevole componente con pesante accento bergamasco), scivolo su una poltrona comodissima, sotto un soffitto trapunto di luci, nel calduccio del teatro milanese in cui non sono mai stata.

Non ho apprezzato la rappresentazione, e non parlo della bravura di molti degli attori.
Parlo, e verso la fine l'ho compiutamente pensato, di questo gratuito scempio del nostro Shakespeare di cui non sono profonda conoscitrice, ma che non vorrei devastato del tutto gratuitamente.

Gli avvenimenti non si vivono, ma si raccontano, e della follia di Lady Macbeth e delle allucinazioni di entrambi, alla fine, si perde lo spessore, sull'onda di una recita che dura ben due ore e un quarto senza intervallo.

Notevole prova, che però non mi ha emozionata e coinvolta, richiedendo un intenso lavoro inetellettuale di decodifica, che, per altro, non mi trova d'accordo.

Risolto il grande mistero dei deodoranti Dove

Che può sembrare di poco conto finché non ti trovi, in piena estate, verso sera a fare i conti con un incontro imprevisto, mentre sei al peggio della tua freschezza e al massimo della tua lucidità.

Nella mia ultima visita al Tigotà ho contato ben 10 varianti di Dove.
A parte una dolciastra al melograno, credo di averle provate tutte. E allora, perché non funzionano tutte allo stesso modo?

Perché non tutti sono antitraspiranti.
Semplice e scritto molto in piccolo.
Lo sono il classico e il cetriolo. Forse qualche altro, forse....
E allora, dio salvi il Dove, ma quello original :-)

giovedì 21 febbraio 2013

Amore

Sei un po' in ritardo, vero?
E io sono qui, intirizzita sotto un vento artico e fiocchi di neve gelata, ad aspettarti.
Ho portato le mie migliori virtù, pazienza e buonumore in quantità, allegria e dolcezza a mazzi.
La sera scende piano piano, ma non ti si vede arrivare.
Io sto impalata coraggiosamente sui miei tacchi, e mi chiedo, ho sbagliato posto? Eppure, ero certa, era in questa vita, non nella prossima. Hai finito la benzina? Hai perso la strada? Hai lasciato a casa forse la patente?
Ecco, io ho pagato il parcheggio fino a domani, non si sa mai, con tutti i vigili che girano.
Non importa se mi prenderò il raffreddore, no.
Però inizio ad esser un po' sconfortata.
Se ancora non lo sai... Sono ferma qui ad aspettarti,
Non ho intenzione di urlare, di sbracciarmi o di ridere rumorosamente.
Anche perché proprio da ridere non mi viene da tempo.

Non ti sarai dimenticata di me?

Sei davvero in ritardo, sai.
Però, ti ripeto, io sono qui che ti aspetto e non ho intenzione di spostarmi.
Potresti, per favore, venire da me?
Ti invoco da tempo, ti aspetto da sempre, ora sono pronta.

Scende la notte e ancora non arrivi.
Santo cielo...
Arriverai mai?

Esercizio di carità

Pietro è in grossi guai, albanesi come al solito, e questi guai lo stanno martoriando, prosciugando, quasi, emotivamente e psicologicamente.
Lo capisco, è il suo primo divorzio.
Ovviamente, come tutte le cose della sua vita, in differita.
 
Conosco l'ansia delle chiamate a pioggia, delle intemperanze balcaniche, dalle disperanti vampirizzazioni della vita altrui.
 
So che non ha nessuno con cui parlarne, a cui trasmettere questa elettricità scioccante non direttamente coinvolto nella storia. Come un cane abbandonato mi gira intorno alla ricerca di un minutino libero per potermi parlare. Sono un po' crudele, lo so. I minutini sono sempre abbastanza ini... e mi sono levata un sacco di sassolini dalle scarpe, lasciando briglia lunga alla mia terribile linguaccia. Sono piuttosto indifferente alla situazione e alla persona.
Ma, in sintesi, avverto il suo bisogno.di conforto.
 
Questa è una sensazione strana: a sentir parlare di quello che ci ha rovinato i rapporti, non sento nulla, né rancore, né desiderio di rivalsa, né speranza alcuna. E' come guardare l'acqua ferma in un bicchiere pieno. Un minutino che non lascia strascichi né pensieri. Che non attende ansioso il domani, che non ha bisogni, né rivendicazioni.
 
Questo è il mio esercizio e il mio obiettivo, passare oltre e offrire una generosa comprensione.


L'importanza di un titolo di laurea

Non so se mi ha fatto più venir voglia di ridere o di piangere la notizia che Oscar Giannino, candidato premier di un Paese, il nostro, non esattamente sottosviluppato, abbia vantato un carnet di titoli accademici inesistenti.

Costernazione.
Certo, l'avesse fatto un quindicenne in un'epoca senza internet, avrei capito.
Ma questo tizio, che scrivi e parla di economia ovunque mi lascia davvero a bocca aperta.

Innanzitutto com'è possibile che non ce l'abbia?

L'Italia è piena di laureati (compresa la sottoscritta) che nessuno vuole e di cui nessuno ha bisogno.
Ma un titolo accademico è un biglietto indispensabile.
O meglio dovrebbe esserlo. Perché, andando a ben vedere, in Parlamento e in Senato, quindi nei luoghi deputati a prendere decisioni di un certo peso, il titolo accademico è un optional.

Detto in parole povere: la maggior parte dei nostri onorevoli non hanno la laurea, e, se escludiamo anche le onoris causa, le camere rimangono un po' sguarnite.
L'esperienza, di lavoro e di vita, conta moltissimo.
Più di un pezzetto di carta.

Ma visto che queste persone dovrebbero legiferare, sarebbe bene lo facessero con un minimo di cognizione di causa.
Che non vivano nel mondo reale è un dato di fatto quasi, ma, almeno, un pezzetto di carta, magari non in Albania, a meno che non possano dimostrare di conoscere l'albanese, dovrebbero averlo.
O forse... la laurea è troppo obsoleta anche per accedere al Parlamento?????

Maschilismo da metropolitana

Sulla metropolitana tra Centrale e Cadorna ho avuto modo di entrare in contatto, mio malgrado, con due tizi assai poco piacevoli.
Una metro stranamente vuota, data l'ora, in cui i due, uno segaligno e dall'aspetto inconfondibile dell' quasiextossico si accompagnava a un altro, rotondo come una palla.
Entrambi parlavano a voce altissima, accompagnando con un gesticolare rumoroso le loro assai poco importanti parole. Battendo i piedi assai poco graziosamente calzati, muovendosi con estrema malagrazia, recitavano il teatrino che spesso risulta odioso, dell'italiano caciarone (in questo caso anche bevuto).

A un certo punto, dopo aver discettato di quale delitto possa essere annacquare il vino con l'acqua, parte la perla di saggezza. Il ciccio dice all'altro, con voce gutturale il cui tono supera quello di tutto il vagone della metro:- Io con una maglietta a maniche corte e il giubbotto sto benissimo. Non ho freddo. Ma è perché sono un uomo che non ho freddo. Gli uomini non anno freddo. -.

Per un momento c'è stato silenzio, un impercettibile silenzio femminile.
Appuntiti sguardi di donna hanno trafitto l'inconsapevole tizio, afflitto da un aspetto assai sgraziato.
E volevano urlargli:- Perché sei grasso. Semplicemente perché sei troppo grasso non hai freddo.-.

sabato 16 febbraio 2013

Professione pupazzo

Il mio nuovo lavoro: pupazzo.
Un bel faccione a pagina 10 della rivista di voi indifesi consumatori che vi dice, dandovi del tu, cosa dovete comprare o non comprare.

Considerando il fatto che sembro una scatola in tailleur appena uscita dall'Università, e che l'età media di chi ci legge è piuttosto elevata, voi dareste fiducia a una che con tono paternalistico e scrittura sciatta e banale vi dispensa le verità cretine sul mondo sciacquato della Finanza (che noi apprendiamo attraverso fonti molto attendibili: internet).

Io no. Eppure la gente mi scrive... scrive proprio a me, chiamandomi per cognome e riversandomi qualsiasi boiata gli passi per la testa.

Un sacco di lavoro in più e... francamente non mi sta bene che qualcuno mi detti quello che devo scrivere, corregga lo stile, pasticci la forma e peggiori il contenuto usando senza autorizzazione la mia immagine. Insomma, vedendo la mia foto, e leggendo articoli scritti in prima persona è un po' difficile che la gente pensi che la responsabile dei consigli non sia io.

Sperando che nessun altro Paese europeo abbia intenzione di fallire...
Altrimenti mi tocca emigrare in Australia.

C'è del marcio in Danimarca?

Una bella mattina, dieci giorni dopo le dimissioni di Edvige, la collega del reparto salute che si occupava di cosmetici, mi trovo, alla sua scrivania, una faccia ben nota.
Si tratta di una ragazza che è passata da noi, a vario titolo, per ben cinque volte, tra sostituzioni varie.
Ah, ed è la fidanzata di un nostro "volto storico".

Insomma, la nostra Edvige (farmacista) che vive del suo lavoro, a tre/quattro mesi dalla fine del suo contratto a tempo determinato, si trova a fare i conti con la natura delle dichiarazioni del suo capo. Il suo lavoro è importante, necessario, la qualità del suo apporto è sottolineata anche in Belgio, ma...
Bisogna tagliare i costi. E il modo più indolore di farlo è quello di non rinnovare i contratti a termine, indipendentemente dalla loro importanza e ruolo.

E così abbiamo scoperto che, stando così le cose, l'avrebbero lasciata a casa.

Lei è combattuta: aspettare la fine del periodo, oppure cercare altrove?
Da un lato la compagnia e una relativa comodità, dato che lei è di Pavia, dall'altro l'idea di un lavoro diverso e alla lunga anche più vicino.

Dopo qualche settimana trova lavoro in una della farmacia comunali di Milano, vicino a noi.

Passano dieci giorni, in cui la sua scrivania tristemente vuota genera una strana malinconia mattutina, come il cuore di cartapesta che ha lasciato incollato allo schermo del pc, quando, dopo appunto dieci giorni, entro nel suo ufficio e mi trovo questa tizia.
La mia sorpresa è grande: non c'erano soldi, non si poteva garantire niente e.. dopo dieci giorni fanno un contratto di un anno a questa?
Che è, chi lo sa, farmacista anche lei specializzata in cosmetici forse?

Devo pensare male, che dite?

Plum cake al caffé

Ingredienti:

320 grammi di farina
200 grammi di zucchero
100 grammi di burro
3 uova
1 bustina di lievito
3 tazzine di caffè
gocce di cioccolato
sale
zucchero a velo

Ho montato i tuorli delle uova con lo zucchero. Ho aggiunto il caffè (e anche un bicchierino di crema al whisky che ho trovato nella credenza) la farina, poco per volta per non fare grumi, il lievito e, infine, gli albumi delle uova montati a neve con un pizzico di sale (se non sono a temperatura ambiente non si monteranno mai).
Infine, ho mescolato le gocce di cioccolato all'impasto.
Ho cotto, in uno stampo imburrato e infarinato, per circa 1 ora a 180°.

venerdì 15 febbraio 2013

Grecia: prove generali di un fallimento

Chi vuole sapere cosa succede a un Paese quando fallisce può guardare, senza troppi sforzi, ai nostri vicini greci. Un dramma che si riassume in pochi dati. Il 50% dei greci risulta essere sotto la soglia di povertà. Il 60% dei giovani è disoccupato, così come il 35% di tutta la forza lavoro. Il dato sulla disoccupazione è, però, falsato da un fatto incredibile: i greci che lavorano nel settore privato, pur non ricevendo stipendio o ricevendo degli acconti, va a lavorare gratis.
 
Va a lavorare per la speranza di un futuro diverso, molto lontano, ancora, per nulla.
 
Negli ospedali mancano i farmaci anticancro e il petrolio arriva solo dall'Iran: tutti gli altri Paesi si rifiutano di fornire carburante alla Repubblica greca.
Come vive questa gente, proiettata verso l'emigrazione, al limite della disintegrazione sociale.
 
Come si è arrivati a questa situazione è presto detto. Bilanci truccati, spese pazze, evasione fiscale e corruzione peggiore perfino della nostra. A colpi di tagli imposti alla popolazione civile, di sacrifici enormi, si è arrivati a questo scenario di devastazione.
 
La crisi, pare, si vede soprattutto ad Atene, così come la guerra è più grave nelle città.
 
A tutti i costi, per salvare l'euro, l'Europa e tutto il marchingegno, immolare un Paese. Una piccola economia, pochi milioni di abitanti, per lo più alla fame.
Colpisce l'analogia con la situazione della Germania all'epoca della Repubblica di Weimar, schiacciata dal peso dei debiti di guerra. Circa un secolo fa ha prevalso l'ottusa brama di rivalsa. E oggi si è persa la memoria di un Paese che si è risollevato solo con l'avvento del nazismo.
Che dire: oggi i bravi tedeschi, i primi della classe, si sono accorti che la crisi in Europa ha cominciato a colpire anche loro. Le esportazioni diminuiscono, il Pil tedesco cala.
Molte misure di moralizzazione dei conti greci erano sacrosante e doverose, ma qui manca il buon senso. Devo credere che quando la Grecia è entrata in Europa non si conoscesse il Paese?
 
Per favore...
 
Alla Grecia dobbiamo molto, dobbiamo la democrazia, la filosofia, la resistenza verso i turchi. Al di là della giuste misure di moralizzazione, è controproducente spingere a tanto le cose, al punto di far fuori un Paese.
 
Secondo me la Grecia andrebbe aiutata. E non è beneficenza come sostengono i tedeschi e i finlandesi, ma occhio lungo. Far marcire un arto, alla fine fa marcire tutto il corpo...
 

martedì 12 febbraio 2013

In affitto anche il cane...

Santo cielo, pure il cane in affitto dovevamo vedere....

Esserci o non esserci?

Non amo l'effimera verità digitale. Detesto Facebook o tutte quella applicazioni che ti obbligano a un superlavoro digitale continuo di estrema superficialità. Esserci, essere collegato, scrivere, fare il tutto alla velocità della connessione, senza riflettere, è quello che io non vorrei fare.

Eppure, una volta "pubblicata" mi chiedo se farmi un profilo Linkedin oppure no. Tanto, pubblico per pubblico, vorrei che almeno mi servisse a qualcosa...

In fondo posso farmi una vetrinetta e poi lasciarla lì a prendere polvere...
Ma basterà??? O verrò convogliata nel gorgo del multimediale?

Papa

Talvolta ci vuole moltissimo coraggio nel fare un passo indietro.

La seduttrice

Esibisce uno sguardo liquido, a metà tra il compiaciuto, l'ammiccante e l'invitante.
Si muove compunta, ma lenta, scivolando verso l'obiettivo con i tempi giusti per farsi notare, con un'incedere studiato. Non teme di fissare a lungo negli occhi una persona, di sorridere a macchinetta, impavida nei confronti delle rughe. Annuisce, sorride luminosa, fissa il soggetto e muove delicata il capino.
 
Esibisce un suo stile, non necessariamente alla moda, costoso e appropriato, ma che riunisce tutti gli oggetti della seduzione. Scollatura, trucco, tacco e tutto molto fasciante.
 
Recita la parte dell'ingenua: di quella che è così e non si comporta in modo astuto, anzi. Scandalizzata di fronte alle insinuazione, di fronte alle occhiate pungenti delle altre donne. - Oddio scusami, sono inciampata nel tuo giardino, non è un'invasione...-. Ma tutte le donne sanno esattamente quello che stanno facendo, compreso l'aggiustare la realtà quando serve, quando il giudizio degli altri cala sul proprio modo di essere e di vivere. Anche la seduttrice ha bisogno di amiche, a cui magari vuole sinceramente bene, in subordine ai suoi scopi. Che talvolta hanno a che fare con i mariti/amici/compagni/conoscenti/amati delle amiche.

Esiste anche una variante, perfida, ovvero la gattamorta. Quella modesta e semplice di cui tanto bene ha reso conto Edith Warton nell'Età dell'innocenza...
Quella è, in sintesi, il diamante puro come può esserlo il Diamonique. Brilla e ne sa una più del diavolo, tutti abbindolati da questa sublime freschezza e buonanotte.

Come difendersi? Beh, con l'umorismo. Una bella battuta assestata al momento giusto, con un sorriso smagliante sulle labbra. E rossetto, mi raccomando, rossetto....

Bugiardo

Un uomo, una balla vivente, in estrema sintesi.
Quello che ieri, dopo aver architettato il simpatico scherzetto che, senza consenso e remunerazione alcuna sbatte noi, foto e nomi, sulla rivista e vende la nostra professionalità al telefono, ha la faccia di dirmi, sospirando con aria riflessiva e meditabonda: - Ah, siamo diventati tutti venditori di aspirapolveri. Te lo consiglio io il miglior conto corrente, il miglior investimento..-.
Devo compartirti? Per questo fai questa grande sceneggiata?
Per cosa?

La decisione è tua, il comportamento scorretto nei nostri confronti è tuo e dell'azienda, e fai anche le scenette? Ma vergognati, cialtrone.
Intanto quelli tormentati e svergognati siamo noi. Io che sono in pratica costretta a metterci la faccia e il nome e, non solo mi vengono dettati i contenuti, ma anche corretta in modo barbaro e del tutto approssimativo la forma.

A proposito di abusi lavorativi.

lunedì 11 febbraio 2013

Neve

Sembrava incredibile ieri, in una giornata tersa come solo alcune invernali sanno esserlo.
Eppure, la neve prevista, abbondante e paralizzante, è arrivata, al termine di una giornata quasi da inizio primavera.

La neve a Milano ha un significato ben preciso: quello di esasperare la già esagerata frenesia cittadina, di provocare ingorghi, tamponamenti, ritardi, e confusione.

La mia giornata inizia alle 5 e 30. Quasi attonita mi chiedo cosa potrò trovare aprendo le finestre. Non ci credo, in realtà. Sono reduce da una giornata di sole, tersa, serena, brillante come quella che precede una Pasqua anticipata.
Mi crogiolo nel letto, per un momento, assaporando il caldo. In genere queste giornate sono devastanti, molto faticose, spossanti.
Mi alzo e, mentre ascolto il silenzio, mi chiedo cosa ci può essere fuori.
Sollevo qualche striscia di persiana, e vedo sotto di me, debolmente illuminato, il prato bianco.
Decido di andare a tutti i costi, il lunedì si chiude la produzione.
Mentre mi preparo, travestita da Befana, mia mamma controlla online i treni. Sembrano esserci, con ritardi accettabili. Nella notte, mentre grandi fiocchi imbiancano le strade e vorticano sulla mia testa, mi avvio verso la stazione. A piedi mezz'ora circa, a passo sostenuto, ma accorto.

Cappello nero, stivaloni di gomma, ombrello dell'Ikea verde acido, borsetta da pranzo cinesissima con gatti: sono davvero una befana. Al limitare del giardino guardo meravigliata fuori, uno strato di neve, compatto, scintillante, vaporoso e immacolato davanti a me. Nessuno, sono le 6 e mezza, è ancora passato.

Cammino accanto allo stagno. Nessun rumore, non un pigolìo, non un sospiro. Gli uccelli stanno al caldo nei loro nidi, le anatre nelle tane.
Un silenzio irreale e soffice quanto la neve mi accompagna verso il centro città. Cammino, con attenzione, per non scivolare sul marmo o sui sassi.
Vicino a Santa Croce, un panorama irreale: il grande albero imbiancato, i fiocchi che vorticano su di me, pochi sparuti passanti che camminano come ombre dell'aldilà nel buio vicino alla stazione.
Solo una luce, quella del negozio del panettiere.

Sul binario poche persone, un treno vuoto, con una luce irreale, gialla e asettica. Fuori diventa lentamente giorno, una mattina metallica, dal cielo plumbeo carico di attese di neve.
A Porta Genova inizia a nevicare pigramente, nella mattina del pendolare. Ma bastano poche manciate di minuti per iniziare una danza sfrenata di fiocchi.
Il cielo grigio, plumbeo, non accenna a schiarirsi.
La danza dei fiocchi procede implacabile, per tutto il giorno. Esco sotto le larghe falde, immersa in un turbine di neve. Inizio un lungo viaggio verso casa, accompagnata da un vento gelido e ostile, che si infila ovunque e porta i fiocchi in alto nel cielo e poi giù a terra.

Neve, neve ovunque. Scivolo lentamente in una campagna imbiancata, con tantissima neve che uniforma tutto con il suo mantello bianco.
Una volta in stazione, inizia il mio lungo cammino verso casa, molto meno poetico della mattina. Auto incolonnate a non finire, neve bagnata, ridotta a una sporca poltiglia, che si attacca ovunque. Sono contenta di non aver ceduto alla tentazione dell'auto. Lentamente, con qualche piccola scivolata, rotolo verso casa, avversata da un vento tagliente, che curva gli ombrelli, rende incerto il passo.
Mezz'ora, per arrivare al punto di partenza.
Per osservare un angolo di foresta incantata, avvolta nel silenzio e nella neve, intorno allo stagno.

E intanto continua a nevicare, ha ripreso forza, senza sosta....

venerdì 8 febbraio 2013

Etichetta

Io vorrei soltanto, desidererei profondamente, che le donne che lavorano sul mio stesso piano andassero in bagno per farne un uso proprio e non per telefonare.
E' un bagno, non una cabina telefonica e siccome ce ne sono tre di numero riservati alla donne su tutto il piano facciano il favore di andare nell'antibagno, sulle scale in corridoio dove pare loro a parlare, ma non di occuparmi il bagno per mezz'ore proprio quando io devo scendere a pranzo.
 
Come oggi: ore 13:20, bagno occupato da una intenta alla solita cinguettante chiamata all'amoruccio di metà giornata. Attendo di fronte alla porta chiusa, con un lieve imbarazzo che monta, appoggiata al lavandino, gli occhi bassi a terra. Mi dico, ma se non è imbarazzata lei a strillare così... Ma poi la conversazione prende una piega inaspettata: il tono si alza, le pause tra parole si accorciano e... si trasforma in una lunga, pungente quanto pretestuosa lite di mezzodì.
 
Che continua, continua e continua mentre io mi spazientisco e inizio a tossicchiare nell'antibagno, finché la telefonista in questione non si degna di uscire, finalmente, e pure con aria poco amichevole.
 
La tentazione è quella di mettere sulla porta un foglio con scritto, "cellulari fuori!", maleducati tecnologici.

giovedì 7 febbraio 2013

Ripetizioni

Una delle più complicate imprese di queste giorni è stata quella di far capire al grande ciccio che le formule matematiche vanno usate per intero e non, arbitrariamente, limitandosi ai pezzi che si conoscono.

Martedì pomeriggio arriva una delle prime mail al direttore. Grande agitazione: una tizia chiede di un'obbligazione che le hanno proposto, dice che non trova niente e ci manda il prospetto, scannerizzato e poco leggibile, di un titolo che a detta sua le somiglia (tradotto, ecco non ho sottomano l'uomo della mia vita, ti faccio conoscere il cugino in seconda, cosa ne dici?).

L'obbligazione in questione è una schifezzuola legalizzata che non dà cedole ma potrebbe staccarne una finale parametrata a un algoritmo lungo da qui a Napoli, pieno di numeri, formule, parentesi ed elevamenti a potenza e già che ci siamo qualche tasso.

Insomma, stiamo a questionare degli elefanti a pois.

Il ciccio mi monopolizza per un pomeriggio e una mattina intere, martedì e mercoledì.
Arriviamo anche al battibecco, nel momento in cui lui palesemente ignora un paio di addendi a cui non sa sostituire alle formule generiche i numeri, quando pretende di valutare il titolo senza leggere tutto il prospetto, ma soprattutto quando cerca palesemente di far venire un algoritmo che non viene (ogni prospetto contiene una simulazione di rendimento, è un obbligo di legge, per cui, provarla a ritroso è l'unico modo per verificare che avessimo inteso correttamente la formula).

Due sedie a fianco, una che scricchiola clamorosamente, l'altra non ancora.
- Non ti fidi, ecco non ti fidi. -
- No, e non viene, deve venire, c'è qualche pezzo che manca.-.
- Metti qui eleva là, no, non è che tu sai già tutto e mi fai diventare matto a cercare la soluzione?-.
- Se non mi lasci leggere come faccio a capire?.-
- No, ci sono troppi addendi, io mi perdo, questa cosa fa venire il mal di testa. Ecco, non riesco a concentrarmi.-

Va via 10 minuti e trovo, nel silenzio, la soluzione.

Poi devo spiegargliela. Lo faccio a voce:- Non capisco, mi fai venire mal di testa.-, lo faccio per iscritto: - Non ho visto la mail, l'ho persa, forse non ho capito.-.

Alla fine la scena è questa: ufficio suo, con un fac simile dell'orso Yoghi che pesta sui tasti, offrendo l'immagine di una schiena curva e polposa che fuoriesce dall'ampia poltrona, grugniti e ansimi vari.
Io in piedi, alle sue spalle che gli detto il testo, con voce stentorea e scandendo bene le parole e poi glielo correggo a voce.

Dai tempi delle mie lezioni a scuola non mi capitava più una simile performance vocale, forse dai tempi delle letture in chiesa. Lì però non scriveva nessuno...

mercoledì 6 febbraio 2013

La Creazione

E il gran giorno giunse, inesorabile.
Quello in cui, panza in spalla, il nostro grande uomo doveva vedere la fine del suo grandioso progetto, frutto della sua faronica ambizione (o più prosaicamente l'unico sistema con cui riacciuffare per il rotto della cuffia una qualche piccola forma di importanza in una organizzazione che ha messo il suo grande talento sotto il tappeto) e senza risparmio relativamente all'utilizzo strumentale dei propri collaboratori.

Il parto ha avuto una lunga e sofferta gestazione: le ultime grida di dolore si sono levate al cielo per la produzione della prima rivista, attraverso un terrificante numero di prova, il cosiddetto numero zero. Zero come zero informazione, dato che non si sapeva di doverlo fare, zero come organizzazione, dato che non erano funzionanti nemmeno le maschere della pagine e zero come comunicazione tra le varie parti interessate.

La luce brillava minacciosa alle 8 di lunedì nel famigerato ufficio, evento che faceva presagire una giornata campale.
Ben presto il nostro Napoleone si è presentato direttamente sul campo di battaglia, abbandonando le retrovie. La porta si apre di scatto nel silenzio tombale, interrotto solo dal ticchettare della dita sulla tastiera. Entra fingendo di essere trafelato, prima la pancia, poi tutto il resto.
Probabilmente Napoleone (quello vero) prima di Waterloo ha riservato meticolose cure al suo aspetto.
Non è questo il caso: capello lungo e trasandato, di un grigio quasi totale. Camicia bianca grande come il mio lenzuolo, con quei poveri, piccoli bottoncini innocenti che soffrono senza sosta, straziati come fossero nella ruota. Scarpetta ortopedica e jeans acqua in casa.

Immediatamente si piazza a una scrivania libera. Si vede che non se la sente di affrontare un momento così importante da solo. Così pensa che disturbare tutti sia la soluzione migliore.
Quando Danilo entra in ufficio si gela all'istante, vedendo questo nuovo inquilino rumorosamente assiso su una sedia prima non cigolante, che riesce a pestare sui tasti più forte che mai, più forte degli altri quattro.

Cerca di attaccare bottone con scemenze, con il commento di Dagospia, ma viene zittito da un silenzio da acquario. Le ore passano, i fogli della prove vengono sparsi sulle scrivanie vuote (ahimè ce ne sono troppe), la minima e la gestualità si intensifica. Accaldato, rosso e scarmigliato come Vulcano nella sua fucina, il nostro schiuma, e pesta, e pontifica. Le parole volteggiano come turaccioli, zompano in aria leggere e ricadono avvilite, una volta che l'elio che le compone è svanito.
Chi era Beethoven, chi Wagner al confronto.

Diciamo che noi abbiamo sparato mortaretti, mentre gli altri hanno vinto i campionati universali di fuochi d'artificio.

L'ansia febbrile, il tremolio della mani (un inizio di Parkinson?) il respiro pesante (è grasso, è grasso come vuote le sue idee) lo sguardo lucido e teso ricalcano i gesti dei grandi artisti, degli istrioni di ogni tempo e ogni luogo.

Ma noi abbiamo davanti il nostro giornaletto, che nella sua nuova edizione è ancora più scarno, editato con tono paternalistico e sciocco, banale nella sua veste scalcinata che non sta insieme, cupo nei colori, triste nelle due foto dei primi malcapitati che sono stati sbattuti in prima pagina. Un lui Danilo, che sembra un ragazzo serio, e una lei, io che sembra una ragazzotta di campagna (l'aria di ipnotica seduttrice romantica mi sa che ce la scordiamo).

Tacchino e faraona, insomma, due pollastroni in abito e tailleur.

Il sole declina, gli inciampi si moltiplicano, Alberto, dando prova di sublime rassegnazione, rincorre ogni idiozia editoriale, ogni disastro, attraverso il metodo mimo. Uno al telefono ti spiega e tu immaginando la pagina spieghi, a tua volta come doveva venire.

Un miraggio insomma. Tra grafici isterici, e un inizio di martirio per tutti si arriva alla fine. Quasi: all'ultimo secondo, in zona cesarini, con l'arbitro che ha già il fischietto in bocca si scopre che... hanno sbagliato il mio cognome, che è diventato Migliore.

Uno svarione, un programma.

La giornata eterna finisce, lasciando spossati i fanti in campo. Uscendo ci si accorge che il generale è sparito da un pezzo... W la Repubblica, signori.