Ovvero, dar da mangiare ai famelici colleghi.
Con il senno di poi, mi sono resa conto che abituare i suddetti famelici a festeggiare grossi e grassi compleanni, è stato un errore. D'altro canto, anche i colleghi degli uffici a fianco mi invitano ai loro festeggiamenti.
Per cui, il minimo, in termini di educazione, è quello di ricambiare.
All'inizio, e quando gli anni erano meno, mi divertiva e non mi pesava.
Nella mia proverbiale ingenuità, poi, pensavo che esibire le mie capacità culinarie mi avrebbe "fornito punti" nella considerazione maschile (sono scema, l'ho capito, l'ho capito adesso). Insomma, almeno qualcosa sa fare...
E così via di compleanno in compleanno, a botte di torte salate e dolci, biscotti, brioches, tartine e chi più ne ha più ne metta.
Dopo un po' la cosa ha cominciato a pesarmi.
In tutti i sensi. Fisicamente, perché vi assicuro che portare da Mortara all'altro capo di Milano con treno+metro verde+metro gialla+pezzo a piedi senza fare danni non è semplice, e poi emotivamente.
Se avessi potuto scegliere liberamente, avrei festeggiato "a porte chiuse" con poche persone, e non in ufficio. Magari un lunedì, in modo da potermi portare avanti facendo la torta (in questo sta il festeggiamento, nel fare qualcosa per qualcuno) la domenica, invece che durante la settimana, come mi è toccato fare perché altrimenti l'Ale non c'è e si offende.
La cosa ha assunto in questi giorni contorni comici.
Danilo mi ricorda cortesemente l'avvicinarsi del mio compleanno con grande costanza.
Tutti mi chiedono cosa porterò, e io, chiaramente, decido di togliermi il "dente" quanto prima.
Non ho fatto in tempo a dire che avrei portato la torta, che subito deraglia un treno sulla mia linea, causando notevoli disagi e ritardi alla circolazione.
Nel contempo, da 15 giorni ormai, ho il frigo rotto.
Quindi non potevo né fare la spesa, né portarmi avanti a fare la pastafrolla.
Mi precipito ieri come una pazza a comprare burro e uova al supermercato. Ci manca solo più che rotoli sotto la serranda implorando un panetto di burro, dato che mancano pochi minuti alla chiusura del punto vendita.
Mi lancio a casa, sempre come una pazza, dove mi metto all'opera.
Obiettivo: torta con ripieno di amaretti, dolce vintage, con una storia alle spalle e molto
piemontese (mah).
Una torta grande e "robusta", senza crema.
Risultato: alle 10 di sera sto pulendo la cucina, dopo aver mangiato qualcosa in piedi, con il gatto (a cui piacciono i dolci) che mi assedia e si strofina con forza girandomi intorno mentre monto sulla scala con lo scopo di mettere sopra il frigo la torta a raffreddare del tutto. Come Gianni e Pinotto mia mamma (coinvolta nella cosa) e io ci intralciamo invece di coordinarci. Giriamo per la cucina sgomitando e portando le pignatte sporche da destra a sinistra e da sinistra a destra senza soste (alla fine abbiamo optato per la lavapiatti, almeno quella per il momento funziona).
Al momento di sfornare la torta ho avuto un attimo di preoccupazione.
La vedo lì, grande, bella cotta e gonfia nella tortiera senza cerniera (troppo grande l'impasto per stare nella tortiera standard), che mi guarda... e io temo di rovesciarla.
Grande disastro!!!!
Invece no, il gioco di prestigio tortiera piatto funziona e la tortona è lì, davanti a me.
Stamattina levataccia per confezionarla adeguatamente e viaggio sui mezzi davvero disagevole, per evitare di frantumarla.
Il rischio maggiore è dato dall'ometto con lo zainetto (perché un uomo abbondamentemente adulto e che non pratica alpinismo o trekking viaggia in metro con un enorme zaino che usa come arma di sfondamento di massa?). Che come un elefante alla carica degli elefanti cerca di stenderti ruotando sgraziatamente su se stesso in continuazione.
E a momenti ci riesce...
La torta è in salvo, ma una bella zainata in faccia (dato che, nonostante l'anno in più sono sempre alta 1 metro e 60, volendo essere generosa...) me la sono beccata come buongiorno.
E poi tutto secondo programma: arrivo e mando la mail, convocazione alle 10 e 30, invito anche l'orribile ciccio, che ovviamente si accorgerebbe della fragrante presenza, passo a chiamare tutti, mi sorbisco i gridolini e i lamenti (quando si mangia?) e le lamentele.
Già, perché su più di 20 persone a cui ho tagliato una cospicua fetta di torta, c'è stato anche chi si è lamentato che ne voleva di più, che aveva avuto una fettina piccola rispetto agli altri.
Indovinate chi?
Tra "abusivi" e invitati, alla fine in pratica la fetta più piccola è stata la mia.
Solo per verificare la cottura del dolce e il fatto che fosse commestibile.
Salvo un trancio della medesima per gli amici dell'ufficio salute, e stavolta con grande partecipazione, offro il mio dolce.
Mi regalo anche un pranzo con gruppo alternativo, come una boccata di ossigeno, in pratica, rispetto alla quotidianità. Del solito, dopo la mattinata intera a petulare:- Mi dai un'altra fetta? Per chi è? per chi è? -. ne ho davvero basta.
E oggi ho con me anche un coltello vero, per cui....
Ricapitolando: ho fatto la torta, è venuta bene, l'ho portata, non si è rotta, l'ho offerta a chi
dovevo e non solo a chi volevo facendo grande sfoggio di educazione, non ho dato due ceffoni a chi lo meritava, ho sorriso, ho pulito e ho pure differenziato i piattini dai tovaglioli e dalle forchettine.
Però...
Non ho fatto quello che avrei voluto fare.
E ieri sera, a letto. prima di spegnere la luce, mi sono resa conto di sentirmi come si sente una mortadella sottovuoto.
Credo che il problema stia nella discrepanza tra dovere e volere, tra educazione e istinto.
Insomma, sono educata, gentile, cortese e... arcistufa di esserlo.