domenica 1 dicembre 2013

La civiltà del "senza"

Sono costantemente stupita, nelle mie incursioni al supermercato, di constare come la nuova frontiera dell'assalto al consumatore sia il "senza".
 
Si bada, per lo più, al fatto che in un dato alimento o prodotto non ci sia qualcosa.
Si è partiti con i grassi, ma lì, il senza non è stato possibile realizzarlo.
Light, ovvero con meno grassi rispetto alla versione originale, è il passaporto per tranquillizzare le coscienze di grassocci e salutisti e far sì che con letizia di ingozzino di formaggio a tutto andare.
E passi la mozzarella o il formaggino, a cui si aggiunge acqua, ma il salame light mi fa quasi paura.
Come fa un salame ad essere light?
Ma mangiati della verdura, no?
 
Il burro, poi, light, oppure, ancor peggio metà e metà.
Metà margarina e metà burro,
Che schifo: è più cattivo, costa di più e ha dentro tanti grassi comunque saturi di cattiva qualità.
 
Abbiamo bevande senza caffeina, senza zucchero, senza coloranti, senza conservanti, senza bollicine... Potrei continuare all'infinito.
 
E poi abbiamo i prodotti senza parabeni, senza oli vegetali, senza siliconi, senza glicerina, senza conservanti, senza profumo... e anche qui potrei andare avanti a lungo.
Sul tema delle aggiunte improprie ai prodotti per esigenze industriali che vanno contro quelle del benessere comune come sapete sono sensibile.
 
Soprattutto verso quello che mi metto in faccia e quello che bevo, come dire, puro.
Per esempio il tè che amo moltissimo e che tengo a comprare di origine biologica, così come le spezie, che ci mangiamo senza alcun filtro, nemmeno la bollitura.
 
Ho scoperto, così, che i tanto declamati prodotti Clinique, per cui mi sono allegramente svenata per anni sono proprio delle schifezze per la pelle. E anche i tanto decantati Dior e Chanel sono ricettacolo di qualsivoglia cattivo ingrediente.
 
Resta ancora un passo da fare. Quello di coniugare ecologico, biologico e sano con etico. Ovvero, può anche essere bio, ma il prodotto deve essere fatto senza sfruttamento del lavoro e possibilmente senza devastare l'ambiente di produzione.
 
Si tratta di fare una scelta: dire, pazienza, e io che ci posso fare, oppure impegnarsi e ricercare prodotti più sani, ma anche più giusti.
Perché lo dovremmo fare? Non tanto e non solo per sentirsi più "buoni" ma anche per fare un'azione di rivolta verso questa società di pochi che sta cercando di mercificare ogni essere umano, racchiudendo la sua vita, indirizzandolo e spingendolo a vivere solo per consumare.
Conviene anche a noi ribellarci, cercando, ognuno per sé di essere persone, uomini prima che esseri compranti.

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