lunedì 2 dicembre 2013

Il giudizio

Tanti anni fa la mia (amata) insegnante di italiano della terza media ci disse, in una calda mattinata di giugno, quando il nostro tempo era agli sgoccioli, che, per lei, la cosa più brutta che doveva affrontare un essere adulto era quello di arrivare a quarant'anni e concludere di aver sbagliato tutto.
 
Con il beneficio di qualche anno, sono in questo momento chiamata a forza a tirare le fila della mia esistenza.
 
Può essere una fortuna: alcuni non lo fanno mai e semplicemente scorrono nella vita come su un nastro trasportatore.
Altri si immergono completamente in uno stile di vita preconfezionato, in una galassia di valori e di necessità assorbite in maniera del tutto acritica.
 
Eppure, in questo momento, mi tocca fermarmi, sedermi, rivedere e ripensare.
Si tratta di decidere e produrre una cosa seria davvero. Mortalmente seria.
 
Si tratta di premiare qualcuno, si tratta, in definitiva, di dire, con estrema sincerità, chi è davvero importante per me.
Di stabilire chi davvero ha un peso nella questione affettiva della mia esistenza.
E, infine, di fare i conti.

Travagliata dagli errori che mi riconosco, dilaniata dalle conseguenze dei medesimi, il mio problema non è quello di rendermi conto di tutto ciò che, passo passo mi ha portata fin qui, sulla soglia del nulla, ma di rispondere al questa domanda: saprò io superare me stessa e l'assoluta precarietà dell'attimo e fissarmi in una dimensione più profonda, più lontana, e cercare il vero?

La quotidianità dissolve, semina la vita di contrasti e dissidi ridicoli, di banalità dissennate.
Come le onde, i legami si rafforzano e si perdono, si allentano e si ridefiniscono.
Saprò, in mezzo alle onde dell'oggi, guardare fissa e senza paura l'orizzonte, per distinguere dall'ombra della parvenza  la forza della realtà.

Dovrò fare come il pescatore di conchiglie e attendere pazientemente la risacca sulla spiaggia per veder affiorare i sassi...

E tuttavia... non ho paura.
 
 
 

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