martedì 31 dicembre 2013

Frastornata dai saldi

Chiamateli come volete, saldi, sconti,. promozioni, ma io non ci capisco più nulla.
Ho la casella di posta elettronica letteralmente intasata da proposte di vendita di ogni genere,
Taglio prezzi, sconti, rimanenze, proposte con condizioni complicatissime di cui Conbipel, per esempio, è maestra.
 
Ti restituiamo 20 euro su una spesa minima di 50 euro dal giorno x al giorno y se presenti due amici che comprano, z, h e k e poi tornano ancora.
 
Basta!!! Non ci capisco più niente, non capisco quanto costa la roba, non capisco perché devo perdere ore a leggere condizioni sempre più astruse. e il sospetto di vedere prezzi piedi gonfiatissimi è grande.
Mi avete rotto le scatole.
 
E intasato la posta, anche la casella fisica.
Promozioni che si accavallano, buoni sconto che si perdono, che scadono, che si confondono.
 
Fate pagare meno le cose, così la gente tornerà a comprare un po' di più, fidatevi.

lunedì 30 dicembre 2013

C'eravamo tanto amati

E ora, non ci amiamo proprio più.
 
Ma voi cosa ne pensate di un uomo che, ben consapevole dei vostri sentimenti, vi promette la luna per anni (luna che è sempre un passo più in là, intendiamoci), si ritrae in malo modo al momento opportuno, passa anni ad accusarvi di essere e soprattutto di non essere un sacco di cose, e poi, dopo la disperazione, dopo l'abbruttimento, dopo la confusione, lo sconforto, la desolazione, quando finalmente lo avete fatto contento e non ve ne frega più nulla di lui, elegge l'infastidirvi come scopo principe della sua vita?
 
Ogni giorno lui si alza, non tanto presto, sia chiaro, e quello che vuole fare è mettervi i bastoni tra le ruote, rendervi la giornata lavorativa pesante, più lunga e più faticosa del dovuto, e, in particolare, più frustrante.
 
Oggi, dopo una notte quasi insonne, mi avvio al lavoro con un'agenda densa di compiti.
E' l'unico giorno di lavoro di una settimana di produzione.
Devo chiudere un numero, devo terminare un'analisi che avrei tranquillamente ultimato lo scorso 23, se solo qualcuno non mi avesse tirata scema l'intera giornata.
 
In più, ho altre cosette da fare, aggiornare il sito, certamente mettere nuovi articoli, qualche mail cui rispondere
 
E' il 30 dicembre per tutti... anche per me.
 
Ma non per lui.
 
Arriva, quasi incredibilmente, Ciccio, nella mise cameriere a Capri (camicia bianca, giacchetta blu Cina profilata bianco)
Arriva rubicondo e come al solito in vena di cazzeggio allo stato puro.
Parla di cibo, di quello che ha mangiato, di quello che avrebbe voluto mangiare, delle sue indigestioni passate, presenti e future.
E' evidente che è venuto in ufficio per non fare nulla, passare il tempo, sproloquiare un po' e lo fa senza timore anche un po' troppo a lungo.
Ci lascia tutta la produzione da seguire (riletture, aggiornamenti, e via dicendo) compreso tener d'occhio i belgi che fanno danni.
Il mio è l'unico pezzo d'attualità in un certo senso, che ho ritoccato tempo addietro per adattarlo alle novità americane. Ho buttato giù un pro forma e poi l'ho risistemato, ne parliamo brevemente, solo due battute, ma il nostro orecchia.
E così, dopo aver rifilato a me e a Michela dei testi pieni di errori, concordanze saltate, tagli a casaccio, parole mancanti e nomi pure sbagliati, arriviamo ai miei testi.
 
Nonostante noi si faccia orecchie da mercante (lo conosciamo bene, quando non vuole fare una cosa, non lo devi obbligare, non lo devi tampinare, non devi stragli addosso, altrimenti si innesca una spirale negativa e pericolosa per cui ti trovi a dover rifare tutto alle 5 del pomeriggio).
 
Lui che fa? Va addirittura a stanarlo nel suo ufficio.
Per chiedergli se vuole rileggere il mio pezzo e solo, badate bene, il mio, mentre i suoi sono infarciti di idiozie.
 
Per fortuna Ciccio sta facendo altro e quindi rispedisce al mittente.
 
Questo lo fa mentre io sto tentando disperatamente di andare avanti con la mia analisi sulla Russia e dopo un pranzo che definire terribile è dir poco.
 
E' tutto un problema di gentilezza, ecco. Devo smettere di essere gentile.
Usciamo e ci trascina a mangiare al cinese, dopo giorni di stravizi alimentari Michela e io punteremmo a qualcosa di più leggero. Lui, invece, ha fame, eccome e vorrebbe condurci in un all you can eat. Inoltre, Michela non dice di no, ma non ama molto il cinese. Giunti al ristorante, lei guarda indecisa a lungo la lista. E' evidente che non è mai venuta al cinese ed è un po' diffidente.
Io non posso dire nulla, per anni ho mangiato solo involtini primavera, riso alla cantonese e pollo alle mandorle (dopo mi sono rifatta),
 
Non contento di ciò, siamo costrette a vederlo mangiare come un troglodita, mentre afferra con le mani gli involtini primavera bollenti e mentre ci delizia mangiando, sempre con le mani delle coscette di rana che spolpa rosicchiandole e intanto parlando in continuazione.
Non sa dove mettere gli ossicini, povero tesoro. A un certo punto temo che voglia metterli nel mio piatto!
 
Parla, parla, parla del nulla e io mi annoio.
Mentre siamo fermi al semaforo ci inonda con il resoconto di quello che lui ha o non ha mangiato. Oddio che noia. E poi le sanguisughine... e continua tutto il pranzo. Io penso che siamo terribilmente vecchi, noi, a star lì a parlare di cibo.
 
Siamo appena tornati dal pranzo, infinito, e io che, non so, mi chiedo, ma come ho fatto in passato a sopportarlo, e lui continua ad ammorbarci con il progetto di portare i bambini a Ravenna con i suoi.
In quella famiglia sono tutti pazzi. Ecco cosa sono.
 
Visto che l'obiettivo di farmi rifare mille volte il pezzo non è andato a buon fine, mi fa perdere un'ora nell'aiutarlo a verificare la composizione dei portafogli. E anche qui ha sbagliato le variazioni e le note. Mi chiedo, ma quando fa i provvisori, fa a casaccio?
 
Dopo aver riconquistato la mia scrivania, e aver aggiornato il sito, eccomi nel tentativo disperato di concentrarmi sull'analisi sulla Russia.
Scrivo mezza riga e squilla il telefono, mi mandano delle pagine da controllare con urgenza, e scopro che il proforma fatto con tanta precisione, le tabelle con l'italiano rivisto e corretto con abbondante anticipo sono, semplicemente, state rifatte con un sacco di errori.
 
Intanto il nostro uomo mi assedia con mille domande già fatte e rifatte ottocento volte diversi giorni prima su cose che doveva aver verificato lui. Non riesco a fare nulla. Non so neppure cosa sto scrivendo.
 
Infine, dopo anni di gestione del sito, in cui ognuno è, deve essere, indipendente, mi blocca imponendomi quasi, di mettergli sul sito una grande tabella relativa a un suo articolo. Ora. non sono un'informatica, ne so quanto e meno di lui, lui lavora qui da più tempo, e non sta scritto da nessuna parte che debba farlo io.
Millanta di non avere il programma, ma come, replico io, ce l'abbiamo tutti, ah, non sa più dov'è.
Stiamo parlando di un pc, non di un armadio.
 
Sono le 16:30 del 30 dicembre.
Capisco che lui debba far tardi per questioni di monte ore e di impegni collaterali, ma gli altri no.
Vede che sto cercando di continuare con il lavoro, sa che sono presa, eppure riesce a farmi perdere tempo anche lì.
 
Posso dire ciao ciao al mio treno e anche a quello dopo, e non riesco neppure a concludere l'analisi.
 
Oppongo una ferma, cortese, salda resistenza, soprattutto dopo che lui mi ha estorto il mio aiuto e, subito dopo, è uscito a prendere un caffè con un collega per più di mezz'ora.
Se potessi e se fossi saggia mi alzerei e me ne andrei a casa mollandolo lì.
E' di una sfacciataggine senza pari.
 
Fa apposta a farmi fare tardi.
Alla fine, la tabella se la mette lui, è così pigro da volermi far perdere ulteriore tempo per ricalibrarla.
 
Mentre esco mi chiedo, davvero, come potrò sopportarlo un altro anno.
Come potrò sopportare tutti, il grasso idiota nazionale, questo schizofrenico perfido e astioso, l'altra che ruba la frutta e si fa venire l'ernia e quella che vuole morto il suocero e che ha sposato il marito solo per soldi e non passa giorno senza che lo dica a tutti.
 
Io, davvero, comincio a dubitare delle mie risorse.
 
 

La sottile violenza della compassione

Sono le due e venti della notte di domenica.
Mi sveglio di soprassalto, madida di sudore e con il cuore che batte a mille.
Faccio fatica, all'inizio, a orientarmi.
Un lieve senso di smarrimento mi avvolge, la consapevolezza di trovarmi nel mio letto non è ancora stata raggiunta.
 
Per tranquillizzarmi, dopo qualche momento, bevo alcuni sorsi d'acqua, gelida.
Sarà il freddo della bevanda, sarà l'ombra oscura della notte che mantiene viva in un angolo della mia mente e in più d'uno del mio cuore angosciosi fantasmi e paure mai sopite, ma non riesco più ad addormentarmi.
Di più. Non riesco a trovare una posizione in cui aspettare mattina.
 
La mia mente è febbrile, e io la conosco.
Ricordo sogni mai risolti, paure striscianti nel silenzio notturno.
Sono ombre che sanno di passato, di morte, di impotenza e di solitudine.
Arrivano da lontano, come impressioni mai corrette.
 
E stanotte hanno deciso di fare i conti con me.
 
Mi temono da sveglia.
Temono la mia forza nel disciplinarle, nel dribblarle, nel tacitarle, mentre solo cosciente.
 
Ma quanto la notte mi avvolge e un sonno leggero mi prende, tornano a farsi vive.
Come fantasmi, si nutrono dell'inadeguatezza, di quel sottile senso di colpa che è figlio della mancanza di tempo.
 
Assediata dalle banalità del quotidiano, impegnata a star dietro a mille idiozie, a incollare i  frammenti del nulla, riconosco la mia mancanza.
Una mancanza profonda che si traduce in un'assenza fluttuante, che sceglie di essere e non essere presente per tirare a campare.
 
La compassione, richiesta sottilmente, mi attanaglia in questa lunga notte.
La compassione che ha il sapore del ricatto e del dispiacere, della recriminazione e della richiesta di attenzioni.
 
Questa compassione che mi agguanta con le sue dita d'acciaio, che mi inchioda, che mi mette all'angolo.
 
Mi si impone crudele, mostrandomi come l'altra faccia della generosità è spesso il ricatto.
 
Con il suo occhio feroce mi abbandona solo sul far della mattina, quando ormai la giornata deve iniziare.
 
Ma lascia dietro di sé un'impressione che ancora adesso mi stringe forte.
Troppo forte.
 
 
 
 

domenica 29 dicembre 2013

Blackout digitale

Quest'anno, per Natale, ho cambiato cellulare.
Il mio supereconomico cellulare aziendale da tempo dava segni di squilibrio e di invecchiamento tecnologico irreversibile.
 
Stanca di viaggiare con la consapevolezza di dover ricaricare il suddetto cellulare almeno due volte al giorno, mi sono decisa quando lui ha cominciato a bloccarsi quando cercavo di rispondere alle chiamate. E pure ai messaggi.
Insomma, povero cellulare, era ora di andare in pensione.
 
D'altro canto, che non fosse esattamente un fior fiore di novità tecnologica dovevo intuirlo, quando per anni ho cercato inutilmente una cover e quando ho scoperto che sono stati importati in massa da Hong Kong.
 
Ergo, opto per un nuovissimo cellulare.
Il quale necessita di una sim diversa e più piccola del mio precedente.
 
Scopro tutto questo la Vigilia di Natale, quando si rende necessaria una gita al centro commerciale per sostituirla.
Immaginatevi il delirio del giorno prima della festività.
Una lunga coda per cambiare la sim, l'addetto che, sospetto, ne sapesse tanto quanto me, e la consegna della nuova sim.
 
Ed è stato lì che ho sbagliato: non mi sono portata dietro il telefono e non ho messo subito la sim nel cellulare. Così, tornata a casa più tardi, ho scoperto che la sim che mi avevano venduto non era quella giusta. Anzi, che era proprio sbagliata, troppo grande per entrare nel nuovo cellulare.
 
Da che ho passato il 24, il 25, il 26 e parte del 27 senza telefono, portandomi dietro quello di mia madre, risalente al Neolitico, nelle rare uscite.
 
Il motivo? Entro qualche ora la vecchia sim viene annullata e tutti i contatti e le informazioni vengono trasferiti sulla nuova. Mi sono trovata con una sim inutilizzabile per alcuni giorni.
 
Quindi niente auguri, niente sms, niente telefonate, niente di niente.
 
Al contrario mi sono trovata a fare da segretaria a mia mamma, essendo stata pregata di rispondere e non di richiamare (costa troppo).
 
Tutto questo... non mi è dispiaciuto poi così tanto a dire il vero.
Ho scoperto di non essere così schiava del telefono e questo mi ha fatto piacere.
Vorrei continuare a considerarlo uno strumento e non un vincolo o una limitazione.
 
Però, ora che sono di nuovo dotata di cellulare, sono davvero contenta.
Sono strafelice di... dover inserire tutti i numeri a mano uno per uno, ristabilire routine e contatti, e... via dicendo.
 
Quasi quasi un altro piccolo blackout.
Per "fortuna" domani torno al lavoro così potrò usare il lungo viaggio in treno per finire il data entering.






sabato 28 dicembre 2013

L'aperitivo di Natale

Il giorno dopo i grassi festeggiamenti a base di salumi, il Grande Ciccio non può perdersi l'avvenimento dell'anno, secondo in ordine di importanza dopo la gita aziendale.
 
L'aperitivo di Natale, circostanza unica, a quanto ho visto, in cui padri di famiglia costantemente a stecchetto posso bere a volontà e in cui donne perennemente a dieta possono strafogarsi di salatini e tramezzini alla maionese.

Allestito in uno spazio vuoto di cui non sappiamo proprio che fare derivante dalla ristrutturazione del magazzino e che non siamo riusciti ad affittare, lo stanzone si annuncia ai dipendenti bianco come il latte e vuoto come la fame. Sono stati recuperati diversi tavoli posti agli angoli della stanza, già apparecchiati ma sotto la sorveglianza del personale.

Ovvero, ogni impiegato dell'ufficio del personale è stato dislocato davanti a un tavolo per impedire che venga svuotato mentre i soliti parolai sbrodolano discorsi a volte scontati, a volte meno e sempre senza capo o coda o tutti e due insieme.

L'orario è tardo. Per me abituata a pranzare alle 13:30 non è un problema, ma alle 13:45, dopo un'ora di chiacchiere seguite in piedi inizio anche io ad alterarmi. Siamo tutti assiepati davanti al solito proiettore dell'ante guerra che mi aspetto inizi a proiettare, da un momento all'altro, qualche film muto. E invece no, sulle note di una canzone per cui di certo non abbiamo pagato la Siae, ecco le immagini dei partecipanti al torneo di pallavolo, colti in momenti... di ogni tipo, pure quando si cambiano la maglietta, pure quando si soffiano il naso...
Insomma, niente di edificante.

Dopo averli premiati con un libro, e dopo un'ora e un quarto di sproloqui, ecco che arriva il via ufficiale all'ingozzo.

Il nostro Grande Ciccio, in compagnia di Mano Prensile e di altri si lancia sul buffet.
Blondie, però, deve aver deciso di fargli uno scherzetto prenatalizio.
La nostra quasi forse magari ex ma non troppo lo istiga, avanzando da dietro e torreggiando sul rotondo ometto dall'alto del suo metro e settanta più tacchi.
- Guarda quante bottiglie, no, io oggi mi voglio ubriacare.-.

E lui, da quel fesso uomo che è, la precede dando letteralmente la caccia alle bottiglie (sempre vino bianco, ma porca miseria). E così inizia un vero e proprio tour de force all'ingozzamento: tramezzini carichi di maionese, pizzette straunte, focaccine di due giorni prima, mezze forme di un formaggio non precisato, grissini e canapé vengono letteralmente ingurgitati. Ma per ogni boccone c'è anche un sorso di vino.

Dopo un po' l'immagine è questa: il nostro uomo che corre da una parte all'altra dello stanzone alla ricerca di un rimasuglio di vino. Vediamo questo ultracinquantenne che ha perso per strada la giacca (troppo caldo) con la camicia slacciata, rosso come un peperone, scarmigliato che setaccia ogni bottiglia. Se trova qualcosa, riempie il bicchiere e lo svuota finché non le ha tirato il collo.

Blondie, nel frattempo, si è vaporizzata.

Ma lui la individua, o ne individua due o tre tra i fumi dell'alcool che parla con gli alti papaveri aziendali.

In vino veritas si dice, affermazione quanto mai opportuna: il nostro arriva e si vede già che ha la sbronza cattiva.
Io sto poco distante, in attesa di prendermi un pezzo di torta.

Dopo poco sento schiamazzi e urla.
E' il Grande Ciccio che sbraita a un volume che supera quello di tutti i circa 180 presenti accusando i papaveroni di non so che.

L'esperienza e l'intelligenza suggeriscono di scomparire al più presto per non essere coinvolta.

Dopo circa due ore fa capolino nel nostro ufficio, si stravacca su una sedia e inizia a denigrare il buffet.

Straparla proprio, che tristezza, io penso al mio prozio alpino...
Per due bicchieri di vino, si può?

E, dulcis in fundo, gli viene il singhiozzo...

Calo un velo pietoso sul resto.

Vi dico solo che, il giorno dopo, viene in ufficio e si lamenta, come fosse sul letto di morte, di avere l'acetone. Tutti, in contemporanea, cerchiamo su Google se è possibile che un adulto abbia l'acetone.

Sì e si chiama chetosi. E viene ai diabetici e... agli alcolizzati.
In ogni caso viene a mendicare un'aspirina.
Io nego di averla. Non si sa mai che strane interazioni possano uscire....

giovedì 26 dicembre 2013

Il Grande Ciccio e i festeggiamenti prenatalizi

Presa dal vortice delle incombenze prenatalizie non ho avuto modo di narrarvi le grandi gesta del Grande Ciccio alle prese con i festeggiamenti.
 
Una due giorni di stravizi che hanno visto il nostro rotondo uomo alle prese con l'unica cosa che davvero lo appassioni, ovvero il cibo.
In linea con la sua natura a lui piace in particolare un certo tipo di cibo, ovvero quello spazzatura.
Junk food alla grande, cioè in grandi quantità.
 
Per festeggiare il duecentesimo numero di una rivista si è "smarcato" dall'obbligo morale di festeggiare come si deve, ovvero con un pranzo o con qualche altra iniziativa, portando un sacco (nel vero senso del termine, provenienza Ikea, materiale plastica) pieno di salami.
Non ho sbagliato, erano proprio salami di provenienza Esselunga.
Insieme a loro, 4 baguette di numero, e una serie di bottiglie di vino... bianco e dolciastro (Malvasia).
In quei giorni il sole riempiva e riscaldava il nostro ufficio, che si trasforma, grazie alle vetrate in vetrocemento, in un vero e proprio forno microonde.
 
Al termine di una riunione fiume, snervante e ridicola come sempre, il nostro panzuto eroe, allegro come un bambino, si appresta a celebrare la sua generosità ingozzandoci di salumi e privandoci della pausa pranzo.
Non contento di ciò arruola anche i colleghi dei vicini uffici e li chiama anche dal pian terreno.
 
L'immagine che si presenta ai nostri occhi è quella del povero Dani, ingenuamente felice dell'ingozzata di salame, cooptato come tagliatore ufficiale, Alberto alle bottiglie, io al pane.
In breve tempo la scrivania di Dani è invasa da piatti, briciole e coppe.
 
Preoccupata penso a cosa ci potranno dire dal personale per questo sfacelo.
 
Il cibo gratis, per poco che sia, riesce a tirar fuori la vera natura delle persone, così come il vino.
Nella fattispecie, la mia collega, così impegnata nelle sue incombenze casalinghe da non potersi fermare mai neppure 5 minuti più del dovuto, si ferma un'ora intera più del suo orario per poter approfittare del suino buffet.
 
Ed è davvero una sorpresa il fatto che non scappi come un razzo allo scoccare delle 3 ore e 42 minuti giornalieri, ma, al contrario, vederla partecipare attivamente al prelievo delle fette di salame e al tracannamento di vino, tenendo pure il conto di quello che non ha ancora assaggiato.
 
L'altra collega si aggira circospetta: detesta farsi vedere mangiare.
E adora mangiare oltre ogni limite.
Arraffa fette di salame con la sua manina prensile, tre o quattro per volta, e le inghiotte velocemente, quasi intere.
Mangia nervosamente e senza tregua, collocandosi inammovibile vicino al piano "salumeria".
C'è chi critica il novello salumiere per la performance del taglio, troppo spesso, troppo sottile, chi pensa solo a bere, chi non vede l'ora di andare via.
E chi, come me, che non può sperare che vadano via: sono nel mio ufficio, ed è già tanto se non mi sporcano dappertutto.
 
Dopo un'ora di improbabili spuntini i nostri eroi, decisamente brilli, dopo essersi scolati 6 bottiglie di vino, scoprono il regalo finale del Grande Ciccio.
Il clou, il gesto più importante.... Un magnum di spumante di provenienza ignota che troneggia sulla scrivania del mio collega.
 
E' il ciccio in persona, con aria trionfante, a volerla aprire.
Tra gridolini di finta emozione e il nostro eroe estrae la bottiglia dalla scatola. Si appoggia sulla scrivania per cercare di svitare il tappo.
La capsula oppone resistenza, ma lui non si arrende.
Stringe il collo alla bottiglia e si mette a tirare.
Tira, tira con tutta la forza di cui dispone.
I bottoni della camicia si tendono a dismisura e soffrono, lui carica le espressioni in maniera grottesca per esprimere lo sforzo e...
In quel momento la mia collega sta approfittando della ressa per prendersi della altre fette di salame indisturbata. Sono tutti attenti, infatti, a osservare il teatrino della bottiglia.
Ecco che un getto spumeggiante si leva verso il soffitto, ma non siamo a Piazza Navona.
Siamo in un ufficio e la mia collega viene investita in pieno da un getto di spumante.
 
Rimane interdetta, ferma come un sasso in mezzo al lago di vino, con una fetta di salame mezzo mangiucchiato in mano (sarà la trentesima), mentre tutti ridono.
 
Dopo un'ora il grande ciccio avanza per il corridoio con la camicia aperta sul petto lardoso e il magnum che tiene per il collo. Scomparirà nel suo ufficio senza dar più notizia di sé fino al giorno dopo.
 
Dani si addormenta seduto su un mobiletto in corridoio.
Sarà complicato trasportarlo in ufficio.
Michela si accaparra un intero salame come risarcimento, e Piero pure.
Alberto pulisce per terra, io pulisco la scrivania di Dani e insieme facciamo sparire le bottiglie.
 
La sera, penso, mi farò un passato di verdura...
 
 
 

mercoledì 25 dicembre 2013

La mattina di Natale

Sono le dieci e mezza circa della mattina del 25 dicembre.
Sto circolando per la casa ancora sonnacchiosa (fate le messe alle 10 non a mezzanotte vi prego).
Il vantaggio di non avere parenti consiste anche in questo, nell'essere esentati dal fare cenoni e pranzi di ogni sorta. No, non sono triste, sono sollevata.
Significa meno calorie, che per una cicciottella suo malgrado sono una iattura.

Ho appena bevuto il primo caffè della giornata (devono essere almeno tre prima che inizi a ragionare).

Ho ancora la tazzina nel lavello e le persiane chiuse quando il campanello suona.

E' il primo di una serie dei miei vicini che viene a farmi gli auguri.
In breve tempo casa mia si trasforma nella dependance del vicinato maschile (età media 70).
La vecchia generazione viene cortesemente messa alla porta dalla propria metà che sta dando gli ultimi tocchi al pranzo di Natale. E dove va? In giro a fare gli auguri.

A casa mia, chiaramente.

E così la mattina di Natale mi trovo, in pigiama, a fare il caffè all'intero vicinato.
Ho indosso il mio pigiama natalizio, ovvero un simpatico ensemble di felpa con i pantaloni a stampa  agrifogli rossi e verdi e la casacca con un simpatico orsacchiottone rotondissimo decorato in agrifoglio. Non manca una pinza in tinta che mi trattiene i capelli spettinati e... una vestaglia in pile che mi ha regalato mia mamma.

Mi sento tanto la versione brutta di Bridget Jones.
Molto brutta.

In volto ho ancora dei segni del laser oltre a qualche brufolo da ciclo che ha ben pensato di rovinarmi ulteriormente l'aspetto.

E stanno seduti nel mio salotto finché le mogli non li chiamano.
Pare che il mio abbigliamento da casa, per cui sto morendo di vergogna, non li turbi affatto.
Continuano a parlare di camini, pareti, cancelli elettrici per mezz'ore.
Peccato non avere qualche salatino e qualche pizzetta: il prossimo anno indirò il camparino di Natale dell'intero villaggio.

Allo scoccare di mezzogiorno, saltano in piedi e vanno verso lasagne/tortellini/capponi/arrosti....
Io porto tutte le tazzine in cucina.
La mia cucina è una tristezza: fornelli spenti, tavola vuota e persiane chiuse...

La prossima volta chiedo una fettina di pranzo, che è meglio.


martedì 24 dicembre 2013

Eterna adolescenza

Sono una timida, eterna, adolescente.
Devo farmene una ragione, e la controprova di questo fatto è la mia imbranataggine con l'altro sesso.
 
Vigilia di Natale. Decido di riparare alle mie assenze con un giro di auguri ai vicini di casa.
Sono sempre così gentili con me, si interessano, mi fanno regali, mentre io sono sempre, eternamente, latitante (o meglio sono a Milano al lavoro).
 
Parto di notte e torno di notte, praticamente.
Le mie finestre sono sempre chiuse.
 
Esco nel pomeriggio. Non sono abituata a piombare senza preavviso a casa del mio prossimo, ma stavolta devo fare così. Dopo un paio di giri rassicuranti, a casa di soavi e tristi vecchiette e di bravissime padrone di casa, eccomi coinvolta in una situazione tragicomica.
 
L'ultima visita mi vede vittima di un blackout involontario.
Nell'accendere le luci dell'albero per farmelo vedere, una mia vicina fa saltare la luce.
I minuti che seguono ci vedono impegnate a cercare, al buio, una soluzione al problema.
Tutti i bottoni possibili e immaginabili vengono pigiati, tutte le spine possibili tolte.
Nulla da fare.
Come zombie giriamo per casa, lei davanti e io al seguito con la luce del cellulare in una casa senza pile funzionanti. Dopo diverse telefonate al marito, battibecchi e discussioni, tentativi a non finire, decide di... lasciarmi andare a casa. A me dispiace, ma il marito ha promesso di tornare quanto prima per prendere in mano la situazione.
 
Mentre mi sto accomiatando, ecco che appare la luce e, insieme alla luce, anche il marito.
Non mi accorgo che c'è anche il figlio, che ho visto un paio di volte in vita mia, ma che la mia vicina ci tiene tantissimo a presentarmi (credo sia la terza volta). Vengo risucchiata in casa, già con le chiavi dell'auto in mano, e presentata al ragazzo in questione.
Mentre la madre tesse le mie lodi chiedendomi di spiegargli cosa faccio nella vita (me lo chiedono tutte le volte), io mi trovo, così, semi ammutolita.
Non ho davanti Brad Pitt, non sono neppure davanti a una persona che mette soggezione e non sono una cerebrolesa.
Ma il mio naturale eloquio pare essersi congelato.
Brillantezza zero, timidezza mille.
 
Questa cosa non è normale.
Questa cosa non va bene.
Non va affatto bene.
 
La mia rubrica telefonica è piena di numeri di donne.
Le mie amiche sono praticamente tutte donne.
Ho hobby da donna.
Ho gusti da donna.
Malesseri da donna.
Ho anche una figura sfacciatamente femminile.
 
E allora mi devo svegliare da torpore.
 
Sono timida, ma...
devo fare uno sforzo per evitare ogni volta di rimanere lì come un baccalà e non spiccicare una parola sensata dietro l'altra.
 
Valorizzare, valorizzare, valorizzare.
 
 
 
 

lunedì 23 dicembre 2013

La cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto.

                                                                                                    P. Druckner

martedì 17 dicembre 2013

Lo scempio della lingua italiana

Il Natale si avvicina, e come accade in molti casi siamo tutti più nervosi, stanchi, isterici e fastidiosi.
La "sindrome da fine del mondo" ovvero devo finire tutto (e far pressione sugli altri affinché questo accada) prima del 23 rende diversi soggetti altamente sgradevoli.
 
Tuttavia, esiste una variante grave di questi pazzi, ovvero i "festopatici".
Che sono quelle persone che in prossimità delle feste, semplicemente, diventano più cattive.
Per motivi assolutamente privati sono protesi solo a rendere più spiacevole l'approssimarsi delle giornate di festa al mondo intero che ha la sventura di incrociarli.
 
In genere non sono di per sé persone piacevoli neppure nel resto dell'anno.
Anzi. Per cui è probabile che si trovino da sole... come sempre!
 
Tra questi il nostro scimmione nazionale, che ieri ha fatto vero scempio della lingua italiana accanendosi senza motivo sulle innocenti pagine della rivista.
 
Completamente fuori controllo, ha seminato strafalcioni e idiozie a casaccio.
In questo periodo pare che faccia di tutto per creare problemi a chiunque.
I nostri tempi tecnici fanno sì che le pagine vadano spedite entro determinati orari.
Ebbene, sotto le feste c'è la certezza che queste arrivino a chi di dovere ore dopo, bloccando una pletora di gente alla scrivania ben oltre il dovuto.
In risultato è che il nostro ufficio si trasforma in un centralino: chiamano tutti per lamentarsi e sapere che succede.
 
Ma il venerabile cialtrone ne ha studiata un'altra da un po' di tempo a questa parte: chiama i responsabili delle pagine nel suo ufficio, a turni, da soli o in gruppo, a godersi lo spettacolo di lui che pasticcia, rovina, semina refusi ovunque.
Così è certo di farti perdere delle ore, tra l'altro.

Questa pagliacciata a mio parere di stampo fascista prevede che tu stia in piedi, ovvio, un sacco di tempo, a subire lo spettacolo di questo analfabeta che riscrive peggio, senza sapere nulla di quello che sta trattando, quindi in modo approssimativo come suo solito, cercando di farti notare come sia incomprensibile e troppo complicato quanto produci. Sì è complicato per te che non segui un fico secco e ti informi su Dagospia...
Il tutto, naturalmente, esce con la tua faccia e la tua firma, il che, credo, non sia affatto legale.

Comunque, dopo qualche quarto d'ora passato a vedere uno che semina virgole come se piovesse a casaccio, che taglia a muzzo perdendosi pezzi di frasi, concordanze tra generi e numeri, che conia nuovi termini stravolgendo quelli corretti in italiano comincia a pensare che sia meglio dedicare meno tempo a tutta la faccenda.

Per fortuna c'è la nostra collaboratrice che ci aiuta rileggendo i testi in maniera critica...

Dopo aver assistito al funerale della consecutio temporum, mi appresto a "godermi" le scemenze di oggi....


domenica 15 dicembre 2013

Blue Jasmine

Non sono un'appassionata di Woody Allen, anche se, almeno in parte, percepisco il fascino delle sue opere. Soprattutto dopo essere stata alcune volte a New York mi è più chiara quell'atmosfera che ricrea nei suoi film.

Stavolta il nostro Woody ambienta la vicenda in parte a San Francisco, in parte e New York, descrivendo, in sintesi una caduta, sociale, psicologica, economica e, in parte, anche fisica della protagonista.

Una premessa: il film è Cate Blanchett. Non solo tutto ruota intorno a lei, ma è la sua recitazione a dir poco straordinaria a rendere credibile ed eccezionale questo film.

Una protagonista che ha un nome ordinario che si cambia, non ritenendolo adatto al suo ruolo sociale.
Una prima donna, allevata dai genitori adottivi tale, che grazie al suo fascino incredibile conquista un "primo uomo", ovvero un ricchissimo uomo d'affari che le garantisce una vita all'altezza delle sue ambizioni.

E che la "plasma" come la perfetta donna della upper class a cui appartiene.
Questo ruolo è la sua unica ambizione.
Lei è il suo ruolo ed è quello che possiede.

Forma perfetta, educazione ineccepibile, stile impeccabile.
Ha gusto, si dedica alla beneficienza.

Il film si snoda tra il presente, e il soggiorno dalla sorella, che conduce una vita modesta e triste che la ospita a San Francisco, e il passato fastoso a New York.

Flash back dopo flash back si scopre l'intera vicenda, in cui la protagonista si rivela autrice del suo destino, mentre all'inizio sembra solo vittima di una sorte avversa.

Oltre alla vicenda personale, è interessante la riflessione su un certo mondo e sui suoi abitanti.
Non c'è ricchezza senza inganno e frode, non c'è altro cui ambire se non far parte e dominare quel mondo, non ci sono legami affettivi se non all'altezza.

La scena più significativa, per me, è quella in cui, facendo da baby sitter ai due nipoti mentre la sorella presso cui si è rifugiata è uscita, li porta a mangiare una pizza.
La nostra gran signora porta addosso ancora i segni della passata ricchezza, abiti firmati, gioielli.
In uno squallido fast food risponde alle domande dei nipoti che fanno capire come sia considerata una specie di causa di tutti i mali.

Lei parla, spiega il suo passato e continua il suo monologo che attraversa tutto il film.
Mentre i bambini mangiano lei beve, come fa sempre eccessivamente.

E spiega loro quanto sia importante la beneficienza: la ricchezza comporta responsabilità, così diceva sempre Al, il marito. Per cui lei raccoglieva molti fondi per nobili causa.

Ne parla convinta, con un eloquio allucinato, ignorando ogni obbligo verso i parenti.
Coinvolgendo la sorella e il cognato in un affare sbagliato ha decretato la loro rovina economica, e il fallimento del loro matrimonio.

Ma non si sente affatto in colpa: loro sono rozzi, non fanno parte del loro mondo.
E quindi non contano nulla ai suoi occhi. Anzi, hanno la colpa di essere così volgari...
Nessuna pietà, nessuna riconoscenza, nessun barlume di affetto, mai, perché in quel mondo non esiste.

Un film che merita di esser visto.

Unico appunto: non coglierete nulla del fascino di San Francisco.

sabato 14 dicembre 2013

Aggiornamento crisi

Un'amica ha perso il lavoro. E' stata licenziata dopo quasi dieci anni di collaborazione dall'azienda per cui lavorava.
Organizzava corsi e convegni per case farmaceutiche, occupandosi di tutto, non ultimo, anche di fare la hostess.
 
Gestita malissimo, seguendo il principio tipicamente italico di commistione tra gestione del denaro aziendale in forma privatistica (leggi: mettere le mani nella cassa) e piazzare in ditta qualsiasi becero familiare, la nostra si è ammazzata di lavoro per poco più di 1.000 euro al mese per anni. Senza ticket né mensa, ovvio.
 
Ebbene, non è della triste vicenda del licenziamento che voglio parlarvi, ma dei tempi tecnici entro cui partono le sovvenzioni.
Quasi due mesi per ricevere il Tfr e poco più di due per far partire l'indennità di disoccupazione.
 
La sua situazione economica mi preoccupa e sono in pensiero per lei.
Ha il mutuo da pagare e la madre, anziana, può contribuire al suo sostentamento fino a un certo punto.
 
Molte sono le domande sul suo futuro.
Mi chiedo come camperà.
 
E, soprattutto, essendo tra i 45 e i 50 anni, cosa troverà, se e quando lo troverà.
 
Che la gente protesti non mi stupisce.
Che lo faccia violentemente neppure.
 
Quello che mi stupisce è che non lo abbia fatto prima.

Persone silenziose

Era il 1989, io ero una bambina e Luca Carboni pubblicava questa canzone.
Per anni l'ho considerata una canzone pop all'italiana di chiara matrice anni '80, quegli ottanta che io non ho vissuto consapevolmente.
 
Oggi, per caso, per fortuna, per sorte, mi sono accorta di quanto questo testo sia tutto, tranne che stupido e banale.
Mi sono stupita da sola, e il testo lento favorisce l'ascolto delle parole.
Mi sono accorta di aver cominciato solo in quel momento a sentire davvero quanto diceva Luca Carboni, quanto intendeva oltre il testo piano, quanto lasciava intuire.
 
Sì sarà stata certamente una canzone di moda, in quel momento, ma una bella canzone.
 
L'età, che ti fa capire tante cose, soprattutto ti rende in grado di comprenderle appieno. A chi accetta di vedere.
 
Penso a tutte le volte che, anch'io, mi comporto da persona silenziosa. Sono tante, e spesso cerco di mascherarle attentamente.
Tante volte mi sento così, come recita questa strofa:
 
Persone che non san parlare
che mettono in ordine i pensieri
persone piene di paura
che qualcuno voglia giocare
coi loro piccoli e grandi
contraddittori pensieri

In particolare, mi capita di reagire dolorosamente, un po' troppo, ai rifiuti, o a quelli che percepisco come tali. Sospesa tra imbarazzo, pena, dolore e irritazione, rimango lì, fingendo di non essere lì, e che tutto il mondo intorno sia trasparente.

Anch'io vorrei che qualcuno lo vedesse, questo imbarazzo misto a scoramento e....

... vorrei essere un angelo
per poterti accompagnare


Io non direi di no...
La porta sembra ermeticamente chiusa, ma non lo è, è solo accostata per non far entrare il freddo.

venerdì 13 dicembre 2013

Un indicibile momento di libertà

Mi sembra quasi un miracolo, oggi, quando, in tarda mattinata, la nebbia feroce che da giorni grava in Lomellina si è alzata, facendo spazio a un bellissimo sole.
 
Sperando che la mia macchina partisse, mi sono risolta a muoverla, non volendo assolutamente ripetere l'esperienza dei giorni scorsi.
Del resto, un diesel è fatto per essere usato.
 
Che bello, questo momento di meravigliosa libertà al volante della mia auto, a zonzo per la pianura, in pieno inverno, ma immersa in una di quelle giornate così dolci da sorprendere per la loro delicatezza. Non devo fare nulla, ma ci sono alcune cose che voglio fare.
Il che fa la differenza, eccome.
 
Sono per strada e indosso un paio di occhiali da sole. I raggi non sono dritti e arroganti come in estate, ma lo stesso mi colpiscono in volto.
Senza la nebbia, è scomparso il ghiaccio.
L'umidità si asciuga per strada e sui muri. Il caldo rende l'abitacolo esposto alle intemperie più confortevole.
 
Vado, con attenzione, ma vado.
Per la mia strada, con calma, ma senza lentezza.
 
Solo ora mi rendo conto della fretta, dell'impazienza e della stanchezza che hanno animato queste mie ultime settimane. Impazienza e scontentezza, fastidio e difficilissimo esercizio di autocontrollo.
Quanto tempo ci metterò a riprendermi?
Non so dirlo, a essere sincera.
 
C'è qualcosa ancora di cui non riesco a farmi carico, una nuvola nera in sottofondo, un'ombra inquietante. Prima o poi si presenterà, per ora, intanto, sta sullo sfondo.
 
Intanto, faccio il punto sui miei progressi.
Innanzitutto, non ho mandato/spedito nessuno (e dico nessuno) dove avrebbe legittimamente dovuto andare.
 
Poi non mi sono data né allo shopping sfrenato (quello che ti lascia esausta e piena di ciarpame) né al mangereccio sfrenato, anche se confesso di essermi comprata dei pasticcini.
 
Infine, ho dormito bene. E questo mi ha permesso di recuperare un po' di controllo, dato che, negli ultimi giorni, sono arrivata all'esaurimento delle mie risorse psicofisiche, fatto che si manifesta in modo molto semplice.
 
Non mi ricordo i nomi delle cose. Sto parlando e mi dimentico i nomi, lasciando la frase a metà.
E perdo le cose, che in alternativa mi cadono letteralmente dalle mani.
 
Ho la sensazione, sempre più frequente, di perdere molto tempo con il mio lavoro.
Mi sembra tanto stupido tutto questo affannarsi, e mi chiedo cosa stia facendo di concreto.
Mi manca, moltissimo, la dimensione del progresso, dell'apprendimento.
Mi pare, senza dubbio, di non fare concretamente nulla.
 
Appena mi assento un po' dal lavoro, ricomincio a soffrire, terribilmente, per il fatto di doversi tornare. Penso a quella stanza caldissima in ogni stagione, con troppe persone dentro che si danno fastidio, in una cronica mancanza di educazione e spazio vitale.
Soffro l'affollamento, e, ultimamente, soffro tanto la stupidità.
 
Mi chiedo se sia un effetto del fatto di essere adulta.
 
Forse sì. Mi rendo conto, in questo tardo pomeriggio, che solo io posso prendermi cura di me.
 
E ora, mentre il sole mi tramonta davanti, un rosso freddo e delicato proprio dell'inverno arrivato, capisco che tocca a me.
 
 
 
 
 

giovedì 12 dicembre 2013

Batterie e dolori

La mia fida, amata Yaris mi ha lasciata a piedi.
 
Dopo essere riuscita a schiodar di casa mia mamma per la spesa settimanale (un'ora e venti per esser pronta e lo sapeva in anticipo) salgo sulla macchina gelata, apro, giro la chiave e... puf! La Yaris tossisce, borbotta, strepita come Violetta e, drammaticamente, stramazza.

Morta.
Niente da fare.

Provo, riprovo, ancora una volta, nulla.
La Yaris è stesa.

Visibile e palpabile il disappunto di mia mamma.
Bardata di tutto punto, con un fascio di borse in mano realizza che siamo appiedate.
E che, dannata miseria, le toccherà guidare la sua auto.
Mentre si appresta a tirare fuori Yaris 2 dal garage, io ritento con la mia Yaris.
La prego, mentalmente, di non abbandonarmi.
 
- Yaris - penso - ti prego, non lasciarmi a piedi. So che sei un po' vecchietta e che non ti tratto bene lasciandoti al gelo, ma non ho il garage e altro non posso fare. Yaris, fai il favore, non procurarmi altre spese in questo momento....-.
 
La mia piccola Yaris blu ci prova, ma nulla può contro il collasso della batteria.
 
Salgo in macchina con tanto di libretto dell'auto.
Da qualche parte, penso, ci sarà scritto che batteria serve alla Yaris.
 
Mia mamma sta al volante come un profugo si attacca allo scoglio.
Teme gli autovelox di cui ha un vero terrore che la spinge a comportamenti inconsulti, teme le telecamere sui semafori, teme la altre auto, teme la segnaletica, la nebbia, il ghiaccio e la propria mancanza di allenamento. Teme perfino i suoi occhiali....
 
- Dove andiamo?-.
Eh, dico io, in pieno sconforto da "non so cambiare una batteria" da Rava...
Che è a 300 metri da casa mia e mi farà pagare un sacco per sostituire la batteria.
 
Il cartello con gli orari parla chiaro: sabato dalle 8 alle 12.
Sono le 10, e... Non c'è nessuno.
Proprio nessuno. Provo a chiamare il numero di telefono che trovo esposto, e così mi accorgo di avere anche la batteria del cellulare quasi scarica.
Tutte le fortune, insomma...
 
Niente, niente Rava e torno con le pive nel sacco.
- Non c'è nessuno, andiamo alla Norauto.-.
Sì, va bene, dice mia mamma, ma mi devi indicare la strada.
 
E va verso Vigevano, Fino Parona tutto bene. Poi, un po' meno.
Sbagliamo strada alcune volte.
Rotonde inforcate nel senso errato.
Direzioni confuse (mamma sinistra, no, dove vai, questa è destra, non è una strada nuova, no.... Devi fare inversione, aspetta, ti lascia passare.... ma dove stiamo andando? No, non lo so dove stiamo andando....).
 
Come Alice appena arrivata nel Paese delle Meraviglie mia mamma sbarca a Vigevano.
Tengo a precisare che fino a pochi anni fa lei andava ovunque (è venuta a raccattarmi fino a Malpensa alle tre di notte) in auto. Ha sempre usato l'auto, finché... non si è seduta.
Terrorizzata da qualsiasi cosa - sospetto che non ci veda bene più di tanto con quegli occhiali, lei rifiuta e schiva ogni occasione di guida.
Tanto ci sono io.
 
Mentre armeggio nel faldone della Yaris, trovo un foglietto targato Norauto.
Una garanzia.... della batteria precedente!
Ma sarà scaduta, mi dico.... E invece no.
La precedente è stata comprata il 18 agosto 2011. Quindi, a conti fatti, tre anni scadranno nel 2014...
 
Entro ed espongo il mio problema: Yaris morta....
Mi dicono che, sì, in effetti, la garanzia è ancora valida.
 
La commessa guarda quasi incredula: non riesce neppure lei a capacitarsi che sia ancora in garanzia e già defunta.
 
Mi dicono, però, che dovrò portare in negozio o l'auto oppure la batteria.
E che potrebbe essere un problema diverso, quello che ha fatto "morire la mia batteria".
 
Nella mia testolina frulla un grossissimo problema: come faccio a smontare la batteria dell'auto quando non so neppure aprire il cofano????
 
Mia mamma mi chiede che fare: le dico che è meglio che andiamo a fare la spesa...
Penso al mio frigorifero vuoto, a una montagna di ticket restaurant ancora da spendere che scadono il 31.
 
Ed è così che, con mia mamma alla guida, sbarchiamo, dopo mille peripezie stradali, al Carrefour.
Intanto abbiamo esplorato tutte le strade a senso chiuso in zona nuovo palazzetto, abbiamo rischiato di impantanarci in qualche luogo, e ci è mancato solo che la nostra donna, che si ostina a non togliersi la cuffia da elfo che ha in testa, e guida tenendosi perfino i guanti, abbia una crisi di nervi.
 
Torniamo a  casa e.. vuoi che mia mamma non abbia un set completo da 30 chiavi inglesi di ogni manico, numero, gradazione e via dicendo?
A ogni promozione Lidl è sempre lì....
 
- Ferma, mi dice, gesticolando come un vigile, - che non sai fare niente, ferma lì. Adesso vado a prendere tutte le chiavi e vediamo di provare. Però... tu sai come aprire il cofano?-.
 
Armeggio tre secondi: apro il cofano con grazia e vengo scacciata subito in quanto giudicata inetta totale dalla militaresca madre.
Le parole mi muoiono sulle labbra: non faccio in tempo a dire : - Attenzione al ferro...- che il nostro asso della meccanica fa precipitare l'astina di ferro che tiene bloccata la batteria chissà dove nel motore.
 
- Hai sentito qualcosa? No perché io non ho sentito niente....-
- No guarda è caduto un ferro.-.
- Ma che ferro?-
- Quello che tiene ferma la batteria.-.
- Sei sicura?-.
- Mica sta insieme da sola...-
 
Memore dell'incidente, ogni bullone viene religiosamente custodito con le viti opportune.
La batteria estratta e... il ferro ritrovato, a prezzo di due unghie e di un'escoriazione sulla mano.
Fruga di qui, mentre nella mia mente si affaccia un problema ancor più grande, quello dell'auto a carte 48 causa ferro incastrato in una puleggia, recupero l'aggeggio.
Un forte sospiro di sollievo mi parte spontaneo. Sarei intenzionata a non cambiare la Yaris per lungo tempo ancora....
 
A quel punto una sorpresa: mia mamma se ne esce dicendo che ha un'altra batteria da smaltire, quella della sua auto, cambiata un anno e mezzo fa, che custodisce con cura in cucina "non sapendo che farne".
Sono perplessa, anche se abituata alle stranezze familiari: la batteria va smaltita, ma non è un'impresa epica, tipo scalare il K2, solo bisogna informarsi.
Appunto, penso una frazione di secondo dopo.
 
Così, con due mattoni assurdi che mi impediscono l'avanzare, arranco verso Yaris 2 e partiamo, di nuovo, alla volta di Vigevano.
Mia mamma guida come il tipico allievo di scuola guida: piano piano però si rilassa e sembra quasi un normale automobilista.
Questo devo dire, che almeno le non inveisce contro il prossimo guidatore dissennato come faccio io....
 
La batteria ce la cambiano, gratis
Il problema è rimetterla.
Dopo aver armeggiato un po' decido di attuare un principio di prudenza, non potendo permettersi di fare ulteriori sperimentazioni con un meccanismo delicato come un'auto...
 
Sono stanchissima: il mio unico pensiero è quello di andare a dormire e dormire come un sasso l'intero pomeriggio.
 
Non ho fatto i conti, però, con la spesa....
La quale mi aspetta, abnorme, appena varco la porta di casa.
 
Detesto la spesa da mettere a posto...
Detesto quelle montagne di roba da collocare....
 
Infine. dopo aver piazzato a forza anche una confezione-comunità di fazzoletti di carta, ho finito.
E... mi infilo grata sotto la trapunta.
 
Che stanchezza....
 
 
 
 
 



lunedì 9 dicembre 2013

La persona che non sei più

Io continuo a guardati senza vederti più, mentre parli con quella vocetta tagliente e gracchiante, e lo fai, si vede, contro di me.
 
Da tempo sfoghi il tuo astio, il tuo malanimo nei miei confronti creandomi problemi, facendomi dispetti, architettando seccature per tutti.
 
Parli per irritarci, in modo da irritarci.
 
Ce l'hai con noi, con noi che, palpabilmente, ti detestiamo ormai.
 
Impieghi il tuo tempo scaricandoci addosso il tuo lavoro, rifiuti ogni responsabilità ogni singolo istante della tua vita, sconfessando Sant'Agostino ad ogni passo.
Tessi problemi, trovi pertugi di dispiaceri.
 
Io non so, io non credo, io non posso, ah il consiglio è il tuo... non il mio.
 
Mi chiedo cosa, cosa ti abbia fatto così meschino e tristo.
E perché.
Perché tutto questo. Perché forse non c'è maggior odio che nel carnefice che perde la sua vittima?
 
Ti detesto, in questo momento.
Tu che passi la vita a umiliare, a infastidire, a strattonare gli altri.
 
Quella persona a cui ho tanto sacrificato, quella non c'è più.

Del perchè Zingaretti finisce sempre a far la parte del poliziotto e La torre d'avorio

Cos'è che fa di Zingaretti, prima ancora del suo piglio recitativo, un poliziotto/militare et similia?
 
Me lo sono chiesta insistentemente ieri, mentre lo vedevo coraggiosamente inseguire la sua parte scenica: quella di un militare americano particolarmente rozzo, incolto e brutale nella Berlino da poco liberata dai nazisti.
 
E voi immaginatevi il nostro uomo, una persona prestante, dalla fisicità intensa, dallo sguardo drammatico e ardente, che ispira risolutezza da tutti i pori.
Ma non rozzezza.
 
Si è impegnato al massimo delle sue possibilità.
 
Ma è duro, durissimo tentare di impersonare un rozzo americano.
Che è mediamente inarrivabile per un europeo, sia pur ignorante.
Talmente rozzo che le sue battute potevano solo far intuire, ma la sua persona, beh, non ci arrivava proprio. Per quanto strillasse, si dimenasse, si agitasse, infilasse parolacce ecco, non era un americano rozzo, era la versione di un italiano semi-rozzo.
 
La fisicità non lo aiuta.
Zingaretti si muove bene, ha un profilo aggraziato, uno sguardo di acuta intelligenza che posso intuire anche dal mio posto arretrato.
Ispira forza, ma non violenza, non brutalità.
Insomma, il commissario gli riesce meglio.
 
E qui invece abbiamo un personaggio difficile, primordiale non tanto nella sua ignoranza crassa, quanto nella cieca convinzione che esista una parte assolutamente giusta e una assolutamente sbagliata. Che l'una debba combattere e vincere l'altra, che il male, perché di questo si tratta parlando di una guerra, della parte "buona" sia giusto, mentre quello della parte cattiva sia sbagliato.
 
La verità, invece, non esiste: la vittoria un caso o frutto del fato.
E se la storia la scrive chi vince, sulle macerie di una città distrutta si scontrano il desiderio di vendetta a tutti i costi contro il passato regime nazista, animato dalle atrocità senza senso della guerra, e il potere liberatorio e salvifico della musica.
 
L'arte può essere una forma di resistenza a un regime o è sempre necessariamente schierata e le è impossibile essere libera e parlare solo alla coscienze?
L'arte è incorruttibile oppure è corrotta in quanto espressione del genere umano e non può essere super partes?
 
La musica libera o avvince e plagia?
 
Infine, qual è il dovere di un personaggio pubblico: schierarsi, sacrificarsi, scappare o condurre quello che è un tentativo di sopravvivere ai tempi bui confortando e facendo del bene come si può (in Italia, tirare a campare)?
 
Queste e molte altre domande sono contenute ne La torre d'Avorio.
Ed è uno spettacolo denso, intenso, difficile, dato che non offre soluzioni, ma solo interrogativi.
Nessuna soluzione, perché non ce n'è alcuna.
 
Nella guerra, non ci sono buoni e cattivi, ci sono vincitori e vinti.
E su tutti, un oceano sconfinato di dolore che nulla, neppure il tempo e la ricerca spasmodica del perdono, sotto forma di dimenticanza o di resurrezione, potrà cancellare.
 
L'incomunicabilità di due mondi diversi, la mancata comprensione di cosa significhi essere nell'inferno di un regime comportano che tutti i personaggi parlino, in sintesi, al muro.
Parlano, si ascoltano ma non si capiscono.
 
Le ragioni del cuore non trovano spazio in quest'opera teatrale complessa che alterna ritmi serrati ad altri forse troppo lenti.
 
Solo la musica, con il suo potere, cerca di insinuare un briciolo di umanità in tutte le anime travagliate.
Forse inutilmente.
 
 
 
 
 
 
 

Dignità

E' la parola che mi guida.

Ma non sono "una qualunque", una del mucchio, una a caso.

Sono io: sono una che ha vissuto tanto, sono una che cerca di capire, di non farsi travolgere dagli schemi.

Sono ancora curiosa, di uomini, fatti e cose.

Sono una che ascolta, e che si fa ascoltare.

In bilico tra passato e futuro, scivolante verso mezzodì.


Sono io, la fatica che ho fatto, enorme, il peso di tutto sulle spalle, la solitudine che accompagna tutta la mia vita.


Io non posso essere cestinata come una cosa qualsiasi.

Non puoi dimenticarti o tralasciare di rispondere a me.

Non lo posso accettare.


Dignità è il principio che mi ispira.

Dignità è sempre stata la mia ultima difesa, per quello che sono e Dio solo sa che quotidiana lotta c'è dietro.


Con educazione, con forza, con un sorriso scintillante.

Non scappo, non mi propongo, non cambio strada.


Ma il silenzio, un silenzio sciatto, da dimenticanza, proprio non lo posso tollerare.

E se ti vergogni, fai bene.

Ne hai motivo.

sabato 7 dicembre 2013

Con gli occhi degli altri

Venerdì tiro tardi al lavoro.
Sono stata invitata all'aperitivo aziendale organizzato da un gruppo simpatico di colleghi.
Mi invitano spesso, e io raramente accetto. Mi pesa moltissimo, infatti, rimanere in giro 14 o 15 ore senza potermi riposare un momento.
 
Ma il Natale si avvicina, e, nonostante le mille spiacevolissime cose che mi affliggono ora so di dover dedicare un pochino di tempo a diverse persone, pena il perderle tutte.
 
E così accetto, sfinita fin nel profondo, ma convinta di dovermi fare forza.
 
E' difficile liberarsi della presenza di Pietro, non invitato, in ufficio.
Cerca tutte le scuse possibili per restare fino al momento in cui noi scenderemo.
Per vedere chi fa parte del gruppo e chi no. E' geloso, uno strano tipo di gelosia, geloso e indifferente al tempo stesso. Quello che a lui preme è il possesso, non la condivisione.
 
Il tragitto in auto mi vede stretta tra una collega simpatica quanto abbondante e Dani, impegnato a seguire i sorteggi dei mondiali. Eden approfitta subito dell'occasione per farmi quelle due/tre domande personali che premono a mezza azienda.
 
Attacca informandosi della mia situazione sentimentale.
C'è poco da dire, dovrei dire: uno schifo.
Tuttavia mi trattengo, da quando ho abolito l'autocompiangimento dalla mia vita sto molto meglio.
 
E lei mi fa: - Sai perché tutti quelli che incontro quando mi vedono parlare con te mi chiedono, ma la vedo sempre con quel ragazzo con gli occhiali, stanno insieme? -.
E io le rispondo: - No, faccio servizio civile. Così sta più tranquillo.-, reduce da una due giorni di stracciamento delle vesti da parte sua.
 
E improvvisamente tutti gli uomini impegnati a seguire il sorteggio per i mondiali si sintonizzano sulla nostra lunghezza d'onda.
- Ma chi, di chi parlate?-
- Quello con gli occhiali con la barba.-.
- Ah, quello... Di lui mi ricordo solo una cosa, i sandali.-.
- Quelli tedeschi, vero, le ciabatte - sottolineano con un'ironia tagliente
 
Mi rendo conto, in quel momento, di come quest'uomo pieno di sé e arrogante, ed egoista e anche crudele viene visto al di fuori. Un essere stravagante, malvestito, sciatto e disordinato.
E, quanto è peggio, hanno ragione.
Hanno tutte le ragioni del mondo.
 
Il velo caduto mostra impietoso l'ometto barbuto per quel pover'uomo che è.
Lo vedo con gli occhi altrui.
Lo vedo chiaramente....
Dalla giusta distanza.
 
E mi pare impossibile aver avuto un qualsivoglia minimo interesse per lui.
Pare una scemenza cosmica.
 
 
 
 

martedì 3 dicembre 2013

Evadi

Dalle aspettative altrui che non sono le tue, dai consigli non richiesti dati "per il tuo bene", dagli ordini senza autorità.
 
Da un lato il desiderio di "sentirsi a posto" di rispettare regole chiare, conformi, rassicuranti che ti dimostrino di essere nel giusto in questo mondo contemporaneo liquido, fatto di spinte contrastanti centrifughe, preoccupanti, confuse.
 
La sensazione di essere una navicella solitaria dell'infinito silenzioso e ostile è grande.
Il desiderio di compiacere è palpabile.
 
Compiacere, assecondare, adeguarsi alle regole è l'unico modo per avere accesso all'affetto tanto desiderato. Ma quest'ultimo è perduto nel tempo, e, chi tanto pretende non ama nessun altro, alla fin fine neppure se stesso, perso nelle sue mancanze e nelle sue contraddizioni.
 
Un egoismo divorante che brucia ogni cosa, come il sale desertifica la terra
 
Risparmiati altre delusioni. Per quanto tu rinunci a trovare le tue vere motivazioni, la spinta che ti fa stare al mondo e che non è solo inerzia, questo accontentare è un mostro divorante e non basterà mai.
 
Puoi decidere di rinchiudere la tua vita in una squallida e rassicurante scatola di impiegata con pargoli di facciata.
Puoi decidere di non farlo e di cercare davvero quello che per te è davvero importante.
Non è la società che lo chiede, perché la società intesa come portatrice di valori assoluti non esiste più e che se ne facciano una ragione.
 
Spogliati di timori e rimorsi: non puoi farti amare da chi non sa amare.
Lo puoi solo compiangere e cercare altrove.
 
Sorridi e ribellati con la gioia a questa prigione di ansia e dispiacere.
Chi fa il mondo intorno a  te così soffocante, lo fa solo per tenerti in pugno.
 
E, accettalo, non è poi più così importante per la tua vita.
Non è una colpa, è un dato di fatto: non è più così importante.
 
E' solo faticoso, come è doloroso uscire dal bozzolo.
 
Forse mia cara, dai una spintarella... Sei quasi fuori.
E ora torna a lavorare. ;-)

lunedì 2 dicembre 2013

Il giudizio

Tanti anni fa la mia (amata) insegnante di italiano della terza media ci disse, in una calda mattinata di giugno, quando il nostro tempo era agli sgoccioli, che, per lei, la cosa più brutta che doveva affrontare un essere adulto era quello di arrivare a quarant'anni e concludere di aver sbagliato tutto.
 
Con il beneficio di qualche anno, sono in questo momento chiamata a forza a tirare le fila della mia esistenza.
 
Può essere una fortuna: alcuni non lo fanno mai e semplicemente scorrono nella vita come su un nastro trasportatore.
Altri si immergono completamente in uno stile di vita preconfezionato, in una galassia di valori e di necessità assorbite in maniera del tutto acritica.
 
Eppure, in questo momento, mi tocca fermarmi, sedermi, rivedere e ripensare.
Si tratta di decidere e produrre una cosa seria davvero. Mortalmente seria.
 
Si tratta di premiare qualcuno, si tratta, in definitiva, di dire, con estrema sincerità, chi è davvero importante per me.
Di stabilire chi davvero ha un peso nella questione affettiva della mia esistenza.
E, infine, di fare i conti.

Travagliata dagli errori che mi riconosco, dilaniata dalle conseguenze dei medesimi, il mio problema non è quello di rendermi conto di tutto ciò che, passo passo mi ha portata fin qui, sulla soglia del nulla, ma di rispondere al questa domanda: saprò io superare me stessa e l'assoluta precarietà dell'attimo e fissarmi in una dimensione più profonda, più lontana, e cercare il vero?

La quotidianità dissolve, semina la vita di contrasti e dissidi ridicoli, di banalità dissennate.
Come le onde, i legami si rafforzano e si perdono, si allentano e si ridefiniscono.
Saprò, in mezzo alle onde dell'oggi, guardare fissa e senza paura l'orizzonte, per distinguere dall'ombra della parvenza  la forza della realtà.

Dovrò fare come il pescatore di conchiglie e attendere pazientemente la risacca sulla spiaggia per veder affiorare i sassi...

E tuttavia... non ho paura.
 
 
 

domenica 1 dicembre 2013

La civiltà del "senza"

Sono costantemente stupita, nelle mie incursioni al supermercato, di constare come la nuova frontiera dell'assalto al consumatore sia il "senza".
 
Si bada, per lo più, al fatto che in un dato alimento o prodotto non ci sia qualcosa.
Si è partiti con i grassi, ma lì, il senza non è stato possibile realizzarlo.
Light, ovvero con meno grassi rispetto alla versione originale, è il passaporto per tranquillizzare le coscienze di grassocci e salutisti e far sì che con letizia di ingozzino di formaggio a tutto andare.
E passi la mozzarella o il formaggino, a cui si aggiunge acqua, ma il salame light mi fa quasi paura.
Come fa un salame ad essere light?
Ma mangiati della verdura, no?
 
Il burro, poi, light, oppure, ancor peggio metà e metà.
Metà margarina e metà burro,
Che schifo: è più cattivo, costa di più e ha dentro tanti grassi comunque saturi di cattiva qualità.
 
Abbiamo bevande senza caffeina, senza zucchero, senza coloranti, senza conservanti, senza bollicine... Potrei continuare all'infinito.
 
E poi abbiamo i prodotti senza parabeni, senza oli vegetali, senza siliconi, senza glicerina, senza conservanti, senza profumo... e anche qui potrei andare avanti a lungo.
Sul tema delle aggiunte improprie ai prodotti per esigenze industriali che vanno contro quelle del benessere comune come sapete sono sensibile.
 
Soprattutto verso quello che mi metto in faccia e quello che bevo, come dire, puro.
Per esempio il tè che amo moltissimo e che tengo a comprare di origine biologica, così come le spezie, che ci mangiamo senza alcun filtro, nemmeno la bollitura.
 
Ho scoperto, così, che i tanto declamati prodotti Clinique, per cui mi sono allegramente svenata per anni sono proprio delle schifezze per la pelle. E anche i tanto decantati Dior e Chanel sono ricettacolo di qualsivoglia cattivo ingrediente.
 
Resta ancora un passo da fare. Quello di coniugare ecologico, biologico e sano con etico. Ovvero, può anche essere bio, ma il prodotto deve essere fatto senza sfruttamento del lavoro e possibilmente senza devastare l'ambiente di produzione.
 
Si tratta di fare una scelta: dire, pazienza, e io che ci posso fare, oppure impegnarsi e ricercare prodotti più sani, ma anche più giusti.
Perché lo dovremmo fare? Non tanto e non solo per sentirsi più "buoni" ma anche per fare un'azione di rivolta verso questa società di pochi che sta cercando di mercificare ogni essere umano, racchiudendo la sua vita, indirizzandolo e spingendolo a vivere solo per consumare.
Conviene anche a noi ribellarci, cercando, ognuno per sé di essere persone, uomini prima che esseri compranti.