Non è una palestra, ma è una scuola di ballo, al secondo piano di un recupero industriale, a fianco del mio gommista di fiducia.
Martedì scorso sono stata assalita da un vero e proprio impeto di autoconservazione.
Da tanto tempo vorrei divorziare dalla mia pancia debordante, riscoprire il mio punto vita, o meglio, ritrovarne uno, perso tra strati di faticosissimo far nulla.
Già, perché il problema risiede in una vita faticosissima ma assolutamente sedentaria.
Mi guardo allo specchio, se proprio devo, e mi trovo proprio inguardabile, fuori forma come non mai.
E, peggio ancora, distillo nervosismo da tutti i pori, che si accumula inesorabilmente sulla mia pancia.
Ho scelto questo dimesso edificio, spartano e lontano da ogni parvenza di palestra da incontri proprio per questo motivo: non voglio incontrare nessuno.
Non ha senso che mi iscriva in palestra per cuccare qualcuno: sono troppo bruttola e grassola in questo momento.
Chiunque mi vedesse, stasera, salire le scale dell'edificio in questione, non potrebbe far altro che scappare a gambe levate.
Pinza regolamentare (ho scoperto che non va bene, salta qui, salta là la perdo), faccia struccata in versione "mi sta venendo il ciclo", quindi occhiaie abissali aria grigiastra e brufolo d'ordinanza, abbigliamento incerto: non vado in palestra da una vita.
Indosso una giacca di pile, con sotto una maglietta molto spiritosa, ma da uomo, e che ho comprato a New York anni fa. Sembro avvolta in un sacco nero. Per non sbagliare mi metto anche una bella canottiera, non si sa mai che possa prendere freddo.
Infine, due paia di pantaloni: uno aderente e uno informe che metto in casa, provenienza... cinesi. ovvio. Tocco finale, una borsa di stoffa Esselunga...
Entro nello spogliatoio e vengo presa dallo sconforto: ci sono tutte ragazze molto più giovani di me.
Poi per fortuna entrano due signore, sulla cinquantina abbondante.
L'insegnate, ragazza asciutta e sbrigativa, mi chiede se ho mai fatto zumba e io le rispondo di no.
Inizia la lezione: il tutto consiste in una serie di coreografie a ritmo molto veloce che uniscono latino americano, aerobica e danza del ventre.
Dopo dieci minuti ho il fiatone, dopo venti mi è passato.
Il fiato, infatti, pare non mancarmi affatto, tanto che sono l'unica, lì dentro, a non ansimare e sbuffare.
In pochi minuti mi sembra di ritornare indietro. Solito stanzone tappezzato di specchi, sbarra al fondo (dove mi posiziono e mi sono sempre posizionata).
Non conosco le coreografie per cui mi è complicato seguire i movimenti, in più è velocissimo.
E lì, improvvisamente, emerge il mio principale problema a danza.
Mi sembra di tornare indietro vent'anni.
Io sono mancina e gli altri destri.
Il risultato è che io parto spontaneamente "al contrario".
E devo impormi di recitare a ogni passo, destra, sinistra, destra, sinistra.
Un delirio. Di cui mi ero scordata.
E poi, in tre secondi scopro che la classica ti insegna disciplina postura resistenza e orecchio per la musica.
Ma sei rigido come un palo.
E qui ci si dimena da matti.
Aggraziata come l'orso Yoghi prima della dieta, un po' orba da lontano, tutta rossa e scarmigliata, ecco la nostra Bridget in nero completo (non sfina, fidatevi) che cerca di seguire l'indemoniata di turno alle meno peggio. A un certo punto mi dico: senti, lascia stare l'interpretazione e punta a non inciampare. Più volte mi trovo contro la sbarra, ma apprezzo il fatto di: non essere la più grassa, non essere la più molle, non essere la più vecchia e non essere la più scoordinata.
Alla fine, grondante sudore, ma non con il fiato corto, mi dirigo negli spogliatoi.
Mi sento, nel momento in cui mi siedo sulla panca, davvero bene.
Riesco a scambiare due parole e scappo a casa.
Per fortuna è buio e nessuno mi vede: sono una strega!
La notte, del resto, è quella giusta....
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