In questo periodo di importanti e pesanti riflessioni, a lungo mi sono interrogata sull'esito della votazione della scorsa settimana, e sulla tanto attesa fine (ammesso e sperato che possa considerarsi tale) del "nostro" ventennio.
Vent'anni in cui il nostro Paese e noi, quella generazione che io considero sacrificata, come le successive, sull'indecente preferenza per il tornaconto immediato.
Non che le generazioni politiche immediatamente precedenti abbiano fatto diversamente....
La differenza sta nel fatto che noi siamo cresciuti sotto Silvio, e, ancor di più, immersi in questa strana società fantoccio per gli anni più importanti della nostra formazione. Siamo cresciuti nel Paese della tv di Silvio. Tante volte, io, nata nella democrazia (quella che c'era finché non hanno cambiato il sistema di votazione) guardavo i miei nonni e mi chiedevo: - ma come hanno fatto a vivere a resistere vent'anni sotto il Fascismo? - .
E ora mi chiedo, con la curiosità e lo stupore della ragazzina, ma noi, come abbiamo potuto tollerare, accettare, stare a guardare, e più che noi i nostri genitori, la distruzione sistematica di un Paese, di un'economia e, soprattutto, della sua dignità?
Mi guardo indietro e mi chiedo, così impaurita da essere esterrefatta: - Cosa ne è dell'Italia? -.
Non ho ricordi nitidi, sono giovane per poterli avere, ma ho impressioni, di un mondo italiano pieno di persone con delle speranze per il proprio futuro, con la certezza che a un certo comportamento, impegno, lavoro, corrispondesse un determinato risultato.
La speranza che per i figli, che avrebbero studiato, la vita sarebbe stata migliore che per i padri.
Che i figli non avrebbero dovuto scappare dall'Italia per sopravvivere.
E ora sono senza fiato nel contemplare le macerie fisiche, morali e spirituali dell'Italia.
Qualcuno le vede?
Qualcuno ha fatto qualcosa contro questo?
E infine, alla sinistra interessano sempre e solo le minuzie isteriche delle loro faccende interne invece che lavorare per ricostruire.
Vent'anni che hanno bruciato speranze, valori, senso etico, conoscenze, patrimonio industriale... in nome del vantaggio di uno solo. E della sua cricca. Come liberarcene?
Come toglierli non solo dal Parlamento ma anche dai gangli vitali di questa società infettata dalla mafia e dalla corruzione?
E infine, nonostante timidi segnali di sovversione culturale passiva avanzino contro l'illusione permanente del Grande Pagliaccio, a qualcuno importa sul serio?
Interessa?
Abbiamo vissuto il nostro ennesimo ventennio italiano di perdizione: vogliamo accettarlo e... ricominciare?
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