E, complice la moderna tecnologia, mi si è risvegliato il mostro della malattia fotografica.
Me lo ha attaccato mio papà, insieme alla passione per l'astronomia e a una serie di altre cose (buona cucina, vino, pittura, disegno, passione per il bricolage, una somma disgrazia per le questioni sentimentali).
Erano gli anni '80 e, pezzettino per pezzettino, papà si è costruito una bella attrezzatura fotografica.
Soggetto numero uno da immortalare: io, ancora bambina e carina, con la bellezza dell'asino.
Abbiamo cominciato a far foto ovunque, per lo più in campagna.
Diciamo che mio papà non aveva paura di farmi provare e non temeva che sfasciassi qualcosa, con quella pazienza enorme (che ho ereditato) che faceva sì che mi insegnasse a usare anche il grandangolo (che in mano a una bambina di 5 anni era una bella scommessa).
Mi viene da ridere quando ci penso, ero alta come il cavalletto :-)
Per tanto tempo ho avuto perfino paura a toccarla la borsa, pur avendo sconfitto il desiderio di mia mamma di liberarsi di tutto - so essere molto persuasiva quando voglio.
Poi ho cominciato, goffamente, a fare foto durante i viaggi, come la bella addormentata a cui hanno dato la sveglia.
E ora... ora mi sono fatta Instagram! Su quel cellulare della mutua che mi ritrovo ho installato la magica applicazione che ti permette di condividere le foto con altri.
Tante foto... troppe forse.
Che divertimento con quegli effettini magici (ce ne fosse uno anche per me...) perfino le immagini più sciape acquistano spessore.
E così, continuo a fare foto. A pensare alle foto, alle immagini, a... scattare.
Scatta all'entrata in ufficio, scatta fuori, scatta sul passaggio pedonale (a momenti mi stirano) scatta per aria, scatta in basso... sono un click vivente!
E intanto, da impiegata nella comunicazione, mi diletto a informarmi.
Allora, tra le dieci cose più noiose ci sono le foto di gatti.
Augusti esperti di nuove tecnologie mettono al secondo posto tra le immagini più barbose i gatti.
Tengo a precisare che i cani non compaiono. E qui vorrei capire, gatti sì e cani no?
E perché?
E stanno pure prima in classifica dei piedi e delle prove di manicure. Ma si può?
Beh, la seconda cosa che ho piazzato bel bello è il Teo. Che dorme, altrimenti col cavolo che gli fai una foto.
E poi le foto dei piatti e le foto di se stessi allo specchio.
Ora, mi sono data una regola: oggetti, paesaggi e animali.
Non esseri umani (da quando mi occupo di privacy sono diventata maniacale, ho perfino badato che non si vedesse la targa di un'auto prima di mettere la foto del traffico milanese in un giorno di pioggia).
Poi c'è un sacco di gente che mette le proprie immagini in lingerie.
E anche se Pietro insiste da due giorni che tra i tanti corsi del cavolo faccia un bel training di burlesque, ecco, un mio prosciutto online non lo metterei.
Oltretutto, vorrei esprimere me stessa e non far vedere tutti i miei difetti.
Perché purtroppo quello che uno si immagina a volte... è vero!
Insomma, lo scatto selvaggio mi ha conquistata.
E mi accorgo che il bello è il fatto di vedere le cose in modo diverso.
Di guardare oggetti, situazioni, cose in modo diverso.
E' un po' come fermare l'attimo, quello è.
Perché a me piacciono molto le immagini, anzi, amo la pittura, ma sono pigra, per dipingere ci vuole tanto tempo, quello che non ho più...
E quindi, conscia della velocità della mia epoca (eh già i Futuristi roba recente...) scatto e riscatto e... posto....
Provo, riprovo....
Tra un po' vi metterò anche le fermate del tram.
E questo ho scoperto in questi giorni: che anche lo scorcio apparentemente più banale e squallido ha una sua dignità una volta immortalato.
E in queste immagini, voglio sperare, ci siano un po' gli occhi la mente e il cuore di chi guarda.
Cioè io.
P.S.: val la pena sapere che l'immagine più apprezzata fino a ora è la foto di un'etichetta di Chianti.
Per dire....
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