Elena è una donna bellissima, certa che la sua bellezza, assoluta e quasi ultraterrena, le permetterà di ottenere tutto e di farsi perdonare tutto.
Elena usa raffinate armi di seduzione e di manipolazione, la sua bellezza non perdona, così come non perdona la sua divorante ricerca di attenzioni e prove.
Elena è la bellezza a cui tutto si sacrifica, intorno a cui tutto ruota, un fantoccio mostruoso che nasconde ogni dannazione, dietro una bellissima facciata.
Elena è la crudeltà della perfezione, la miseria della bellezza come unico scopo.
Sul palco dell'Elfo Puccini Elena coinvolge tutti in un'ora di intensissima interpretazione, facendoci precipitare nell'abisso del suo egocentrismo delirante, che vede solo se stesso, che ama, ma forse neppure, solo se stesso, bisognoso di ogni attenzione.
Solo la bellezza come valore, quella vuota ed esteriore, e il sogno infranto di lasciare la provincia e viverne l'esistenza favolosa.
Elena semina morte proprio come la sua illustre omonima di greca memoria.
E i morti, sotto forma di abiti vuoti e di attaccapanni vuoti giacciono per terra, nel buio di una sala in cui l'unica scenografia è un velo che nasconde un coro.
Due donne in scena, superlative, che materializzano davanti a noi la morte che sta dietro la perfezione.
Finché la morte non fa tacere Elena per sempre accogliendola a sé.
Una tragedia che meritava di essere vista, una raffinata operazione intellettuale, non adatta a tutti.
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