sabato 23 novembre 2013

Lo scrittore

Eccolo lì, davanti a me, un scrittore vero.
Uno che, per vivere, scrive e insegna a scrivere.
Nella sala "convegni" di una biblioteca di provincia profonda, davanti a un pubblico vario, arriva lui, lo scrittore appunto.
 
Finché non è entrato proprio non mi ero mai posta la domanda: ma com'è uno scrittore?
 
Questo scrittore, perché di questo si tratta, non è il tipico topo da biblioteca, non è il solito vecchio barbogio, non è il classico accademico paludato e neppure il patinato scrivano da casa editrice di moda.
 
Insomma, non è un sacco di cose, tra cui, non è freddoloso: sta in maniche di camicia rimboccate mentre alcuni dei partecipanti hanno indosso il cappotto.
 
Però è un bel ragazzo giovane, di quelli, penso, che non sfigurerebbero in una serata in uno dei locali della zona. Insomma, starebbe al suo posto anche in discoteca. Pensa, invece della solita nullità condita e leccata, vado a mangiarmi una pizza o a bermi un gin tonic, e mi trovo lo scrittore.
Ma che bella trovata. E può pure essere un tipo tatuato, pensa un po'.
 
Non me ne accorgo solo io. Anche la giornalista della Lomellina se ne accorge e, dopo aver scattato una serie di foto principalmente a lui, lo acchiappa subito. Di solito (lego i suoi articoli) scrive delle rielaborazioni riassunte di quanto le è stato detto a priori.
Ma stavolta non lo molla, si avvicina a distanza sospetta per una non conoscenza.
Modula la voce, si presenta.
Inclina il capo, appoggiando pensosa il volto alla mano artisticamente disposta.
Articola una domanda intelligente (nei limiti): lo scopo del corso.
Chiede poi, esibendo lo sguardo più acuto che possiede e dondolando la borsa che ruolo avranno le letture nel corso (un corso di lettura e scrittura critica, tengo a precisare....).
Ma il laboratorio deve iniziare e certo lei si sta pentendo di non aver cercato di parteciparvi come giornalista, dato l'insolito sviluppo, e anche di non essersi meglio vestita.
 
Superata l'iniziale perplessità mista a delusione quando si trova davanti a una platea di studenti delle superiori che hanno tutta l'aria di essere stati portati lì a forza, e una serie di carampane a cui interessa "tutto" e tutto allo stesso modo, parte con quella che non è una spiegazione, ma un iter veloce su un metodo di lavorare. 
Scrivere è un'arte e un mestiere, e si impara con fatica.
Il lavoro sul segno, sulla forma, sulla struttura e, la cosa più importante per chi scrive, su quello che non è indispensabile e va tolto dallo scritto è stato fatto con armonia, organizzazione, direi anche passione.
Scrivere è in gran parte decidere cosa eliminare.
 
Gli spunti letterari mi hanno intrigata, interessata e anche un po' commossa.
Il racconto breve della figlia orfana di  madre che si aspetta di vederla sula soglia mi ricorda tanto quella porta che mio padre non ha mai più aperto e da cui abbiamo tenuto la chiave sfilata per anni.
 
Mi proponi Calvino e mi fai leggere una delle mie poesie preferite.
Mi diverto a vedere le istituzioni della cultura all'opera, imbevute di sacrosanto spirito scolastico.
Il tempo vola, terminiamo in letizia.
 
Ecco, mi sento bene in questo momento.
Io che apprezzo la preparazione, la serietà, il buon eloquio e anche una certa modestia sono stata molto contenta di constatare che esiste ancora e non solo sulla carta.
Quindi mi sento sollevata.
Come avessi preso una boccata di ossigeno, oltre al tè e al bagno caldo.
 
 
 
 
 

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