Speravo durasse a lungo, lo confesso, questo limbo delizioso.
Lunghe giornate di ameno lavoro, intensi pomeriggi di studio e analisi senza interruzioni spiacevoli.
Certo, il barbuto è andato avanti per un po' con il suo carosello, chiedendo a voce squillante a Miky di uscire per il caffè.
Immaginava, forse, che mi avrebbe infastidito la cosa.
E con il suo tono due ottave più alto del dovuto pensava di fare buona pubblicità delle sue attenzioni, rotolando intorno alla mia scrivania per guardare cosa stavo facendo (lavoro, cosa vuoi che faccia non siamo a Beautiful).
Non c'è nulla di più bello del distacco con cui si osserva, per bene e da lontano, un ex amore che si rode nel vederti indifferente.
Ma, ahimè, non è durato questo soffice limbo vellutato di pace.
Come un condor, ieri si è piazzato lì, avvicinandosi a me come fanno certi cani, che hanno paura di essere cacciati. Avanzando obliquamente, mi si è fermato di lato, e, sempre con la sua vocetta stridula, mi implora di potermi offrire un caffè.
Alzo lo sguardo su questo tizio, che, se non l'avessi conosciuto anni fa, mai e poi mai guarderei troppo da vicino ora. Capelli scompigliati dalla dubbia pulizia, barba lunga, incolta e con una serie di peli disagiati e isterici che puntano verso direzioni inconsulte. Sguardo cisposo dietro occhiali dalle lenti unte, camicia... da quanti giorni ha su questa camicia verde marcio, che sarà pure Timberland, ma dopo tre giorni... con il colletto slacciato che lascia intravedere una drammatica maglietta fu-bianca, di quel giallino grigino che chiede e implora Omino Bianco.
Pancetta protesa in avanti e braccia magre lunghe ai fianchi.
Il mio sguardo scende e... trasale!
Dai jeans ampi, sdruciti, scoloriti, senza cintura emergono delle papere!
Sissignore. Papere. Papere bidimensionali giallo canarino, con un occhione tondo e nero, su fondo rosso vermiglio.
Spuntano dai pantaloni aperti di Lorsignore (o il Giovin Signore come lo ha soprannominato mammà), che franano sulle scarpotte da ginnastica.
Papera my love, non solo i piedi a papera, ma anche intimo a papera.
Subito ringalluzzito il nostro somaro trilla davanti a tutti: - Ma insomma, insomma, cosa continui a guardare lì!.- Tutto esaltato, come solo Nelson a Trafalgar poteva essere.
Ho masticato qualcosa sulla riapertura della caccia, ma non credo abbia colto...
Con lo sguardo attonito lo spingo in ascensore: - Ma insomma manco i pantaloni...-.
Diciamo con la familiarità di tanti anni, ecco.
Il genio se ne accorge, e si mette, improvvidamente, ad armeggiare con i pantaloni e con me chiusa nell'ascensore. Ma un piano solo è vicino e, oltre a corsi di buon gusto, al nostro serve un corso di chiusura bottoni in tempi umani e non da asilo. In alternativa, una cerniera!
Oddio, le porte si aprono e io, terrorizzata, immagino la scena, con questo tizio che armeggia davanti alla platea e io, sempre, io chiusa in ascensore con lui.
Veloce come un razzo schiaccio il piano zero, e intanto la mia minaccia romba come un ruggito.
- E non eh? Che non ti venga in mente manco per sbaglio di non sbrigarti...-.
Arriviamo a piano terra, mi faccio offrire questo caffè.
Cielo, credo sia questa la stagione della migrazione dei palmipedi, no?
Che tristezza.
L'amore è cieco, pure sordo.
Va comunque rispettato in ogni sua forma.
E tuttavia, passi il rispetto, passi l'adorazione, ma un pochino di cervello, in mezzo a tutta quella nebbia potevo anche usarlo...
E mi trovo davanti, ogni giorno, quest'ominide sciatto, schiumante insoddisfazione e malanimo per aver perso il suo giocattolo, o meglio, tutto il suo potere su di me.
La sua stellina luminosa è tornata ad essere di latta, opaca e ammaccata.
Nel suo angolino, dietro quell'ammasso di cartacce, c'è proprio solo lui.
Lode alla vita ritrovata.
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