In questi giorni sono assillata dai dubbi.
Mi sento come una equilibrista con le vertigini, che procede a balzelloni sulla sua corda sospesa in aria.
Esserci, questo è stato il mio primo voto, qualche tempo addietro, il primo dopo la "riemersione" dall'abisso della negazione del sé.
Ma come esserci?
Come essere presente in modo equilibrato, discreto, ricco di tatto e diplomazia nel momento del bisogno?
Per una persona come me, sempre intenta a giocare a nascondino con i suoi fantasmi, il fatto di esserci, la decisione di non sparire è una scelta di notevole coraggio.
Per essere di supporto, la generosità d'animo non basta.
Non basta la volontà, non basta la presenza.
Ci vuole equilibrio.
Non sono tutt'ora certa che si tratti di una dote diffusa.
Il mondo intero va cianciando consigli a fiotti, indicazioni a mazzi.
Io mi chiedo cosa possa mai insegnare....
E poi in che modo.
Perché nella disgrazia niente è peggio del giudizio insito in alcune pietose condivisioni.
Come posso, come posso suggerire il calore della mia presenza senza imporre il peso del mio giudizio?
Perché qualche idea ce l'ho, ma nessun giudizio, si intende... e non vorrei che questo malinteso aggiungesse sofferenza alla sofferenza.
La mia timidezza, profonda, radicata e tenace, mi condiziona in ogni cosa.
Mi spinge via, mi crea fantasmi cugini di quelli veri, dona di me un'immagine diversa da quella reale.
Quali parole usare, quali tempi adottare, quali delicatezze?
Lo so, lo sento, che ogni parola va pesata, ogni circostanza valutata con attenzione.
Esserci è più di una parola, è più di un impegno, è più di un progetto.
Anche più di una prova, richiede una grande maturità e la serenità suprema che deriva dalla certezza che, prima o poi, si sbaglierà. Sempre in buona fede.
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