domenica 27 ottobre 2013

Madri e figlie

Sono una coppia un po' inconsueta dalle nostre parti.
 
Alte, trendy e distinte, spiccano, sedute al tavolone del corso di trucco in mezzo a una folla di donne di "medio-bassa possibilità".
Condividono la corporatura, altissime e filiforme, e una certa cadenza strascicata nel parlare.
Esistono tante coppie madre-figlia: quelle che si ignorano, quelle che si tengono alla larga, quelle che non si sopportano. Ma non loro, e ci tengono a farlo notare.
 
Cinguettano tutto il tempo, impegnate a fornire l'immagine, al rovescio, di due donne molto affezionate. La figlia che bonariamente fa da mamma alla madre e la madre che si lascia amabilmente guidare dalla figliola talentuosa nel trucco.
 
In un batti e ribatti continuo, quasi un cinguettare offrono a noi lo spettacolo scintillante di una coppia al femminile in cui la madre è estremamente orgogliosa della brillante figlia, che le sue parole restituiscono come perfetta, e la figlia impegnata a dare l'immagine dell'assennata figliola che porta mammà ovunque e in ogni circostanza.
 
E' una recita escludente, una coppia che chiama gli altri ad assistere più che non a scambiare delle idee o delle esperienze con gli altri partecipanti.
Qui abbiamo la "figlia bella e brava" e la madre "gran signora in blu cina" ad attenderci.
Ed è tutto uno schermirsi su chi è più e chi è meno bravo...
 
Finché il gran trucco non è completato.
Oibò, la foto.
Le nostre dame fuggono in bagno a rassettarsi la pettinatura: E quando tornano lo fanno come in una sfilata, in un look studiatissimo ed esigentissimo.
 
Calano tra noi comuni mortali e ci ricordano un qualcosa di patinato.
Infine, un mio pensiero: mia madre non mi avrebbe mai lasciata girare con una camicia nera trasparente.... Ops, e forse nemmeno io lascerei circolare mia madre con una scollatura abissale declinata in blu....
 
 

sabato 26 ottobre 2013

Let's make up!!!

La mia prima trousse di cosmetici è arrivata in quarta elementare.
Nominalmente da bambina, ma sfruttata con grandissima letizia da me.
 
Amo i cosmetici alla follia.
Li ho sempre amati.
Non le creme, non gli accessori, ma quanto di più colorato e folle c'è in giro.
Il mio beauty case è un negozio.
Cascandoci dentro si scoprono cose  pazzesche.
E, guardandoci bene dentro è come leggere un pezzo di personalità.
Innanzitutto: una serie infinita di matite verdi. Poi uno stock di ombretti coloratissimi e glitteratissimi (verde e viola elettrico a gogò). Lipgloss a pacchi con un netto predominio dei colori forti.
Mancanza assoluta di colori intermedi e chiari.
A parte un bianco così perlato da far impallidire anche Casper, nessun colore discreto.
Pochi accessori.
 
Più che un trucco... un colorarsi la faccia.
E per giunta di fretta, ogni giorno, in treno.
 
Finché un giorno capito sul sito della biblioteca e vedo: due appuntamenti di corso di trucco!
Da giorno e da sera.
 
Io, nella mia mente, sono già lì.
 
Immaginatevi un'orda di donne, delle più varie età.
Tutte insieme, armate dei propri cosmetici, specchi avveniristici, montagne di colori, pennelli e via dicendo.
 
Quello che io mi aspettavo dalle due lezioni erano delle indicazioni per un trucco personalizzato.
Ho portato un disastro di cosmetici, un negozio intero e mi attendevo indicazioni sul... da usarsi.
Invece è stato proposto un trucco unico per il giorno e per la sera.
Che, a mio parere, non mi dona perché troppo pesante.
 
Però, ho scoperto alcuni prodotti interessantissimi.
Innanzitutto: la scoperta dei colori intermedi.
Fondamentale per stemperare i miei "coloracci".
Poi mi sono resa conto che ho un fondotinta troppo scuro per la mia pelle.
O meglio, le cose più chiare in vendita, sono troppo scure per la mia pelle.
Capitolo correttori: va prima o dopo il fondotinta?
Io do ragione a Clio: va dopo, così ne usi meno, non fai una patacca, e lo metti solo se serve.
 
Grandi new entry: il piegaciglia e una matita bianca da applicare all'interno della rima dell'occhio per far sembrare più riposato lo sguardo.
Stamattina tutte e dico tutte l'avevano.
 
Oggi abbiamo fatto un esagerato smoky eyes. matita applicata su tutto l'occhio, modello panda e poi un quintale di ombretti scelti tra i più scuri.
Rossetto pesante, e pure il fard.
 
Forse la tecnica va salvata, ma il colore cambiato.
Per me è troppo scuro, mi evidenziava le occhiaie.
 
Però è stata un'esperienza divertentissima: nessuno voleva venderti nulla, una specie di miracolo. E abbiamo fatto tutto noi.
 
Sempre poi, la mie tendenza all'esagerazione: io sono uscita mascherata, Silvia truccata.
 
Ho elegantemente finto di ignorare lo sguardo interrogativo della signora del ristorante quando sono comparsa così "pintata".
Ah, avrà pensato, c'è in giro di tutto....
 



venerdì 25 ottobre 2013

Il peso dell'assurdo

Dopo tre giorni la notizia della morte di Alberto Musy è scomparsa dalle prime pagine del Corriere e de La Repubblica.
Resiste, ma ormai in fondo, solo sul sito de La Stampa.
 
Non è più una notizia nuova e, del resto, non manca un consistente carico di disgrazie più recenti a occupare la mente e l'attenzione dei lettori.
 
Mi sembra così irreale quello che è successo: un balordo delinquente che si vendica di una persona che non lo ha appoggiato nei suoi poco puliti affari sparandogli.
Un anno e mezzo di coma e poi muore.
 
Non è una persona qualunque, per me, è stato mio professore all'Università.
Per poco, ma abbastanza per ricordarlo.
L'immagine di questa persona è nitida nella mia mente.
Ma è soprattutto la voce, il ricordo della voce a impressionarmi.
A distanza di anni è come se parlasse adesso.
 
Lo stupore resta ancora enorme.
Com'è possibile, proprio a persona così...
 
Non lo conoscevo bene, ma, oltre che bravo (sul serio, non un parolaio), oltre a sembrare una persona di contenuti e non solo di conoscenze e scatole, aveva quell'educazione nei confronti di tutti che mi colpisce costantemente. In quest'epoca berlusconica marcia di tronfi personaggi, volgari presuntuosi e multifaccia altezzosi faceva una certa impressione.
 
L'impressione che ancora mi fa questo ricordo, di un'aula immersa senza sforzo in un silenzio tombale, dieci anni fa e più, come fosse ieri, con una sola voce a parlare. 

giovedì 24 ottobre 2013

Il mito del creativo

Con grande fastidio, credo che questo sia il termine corretto, sto "seguendo" quello che doveva essere un accattivante corso di introduzione al teatro. Una miniguida alla comprensione dei meccanismi teatrali, del ruolo degli attori sulla scena, e dei protagonisti del "back office" con lezioni teoriche intervallate a gite a teatro.
 
Premetto che: ho una cultura classica razionalizzata da una facoltà tecnica, una madre che ha studiato lettere classiche, un'esperienza di insegnamento e che per guadagnarmi da vivere scrivo e faccio analisi economiche.
 
Sono creativa?
Non so, può darsi, anzi, probabilmente lo sono sul serio.
 
Ma creativo, per me, non significa disorganizzato o sciatto.
 
Invece incappo tra le grinfie di questa tizia impegnata a recitare la parte dell'intellettuale bohémien che si fregia di fare la regista.
Subito al secondo appuntamento, vantando collaborazione e introduzione presso il principale teatro cittadino, ci porterà a teatro, all'evento della Stagione del paesello, una bella rappresentazione verdiana gratuita a cui si può accedere solo ad inviti.
D'altronde, li ha già bloccati...
 
Inizia la mia settimana preparatoria: scateno la collega melomane e mi faccio prestare il cd dell'opera (a me non piace l'opera, la trovo una lagna atroce, con poche eccezioni, Mozart,. Bizet e via cantando). Mi leggo il libretto e la storia dell'opera. Addirittura chiedo se ci sono inviti in più....
 
Tiro fuori il vestito, le calze, le scarpe e chissà che altro.
Mi organizzo con mia madre.
Pregusto, in particolare, la visione delle pellicce, delle borse firmate, delle teste cotonate a cui dell'opera importa poco.
 
Arriviamo a venerdì. Alle 12 sono ancora in riunione.
Vedo una chiamata: la biblioteca.
Richiamo dopo mezz'ora.
 
Cortesemente mi informano che per noi non ci sarà alcuna opera. L'insegnante non ha ottenuto i biglietti. L'impiegato si scusa e io abbozzo, piuttosto sconcertata.
Ma cosa sarà successo....
 
La sera mi reco a "lezione" dove scopro il motivo di cotanta ingiustizia.
Madama Dorè, invece di recarsi a prendere gli inviti il giorno della distribuzione, il martedì, c'è andata il mercoledì, quando voleva lei, in sintesi.
 
E, naturalmente, gli inviti non c'erano più.
 
Colmo della faccia tosta pretendeva anche di avere ragione.
Ma come un corso di teatro in biblioteca, non tenere gli inviti...
Ed è andata avanti un po' così, recitando con enfasi le sue ragioni indiscutibili.
Io non ho detto nulla, ma credo che non avrei avuto il coraggio di presentarmi al suo posto.
 
O meglio, mi sarei mille volte scusata e vergognata. Ho sbagliato, punto.
 
E invece no.
Passiamo il resto della lezione a sentirci denigrare la rappresentazione che è in corso a teatro.
La struttura non è adatta a rappresentare un'opera lirica, e tantomeno un coro e un'orchestra verdiana, sarà di tipo tradizionale, sarà senza lavorare sui personaggi...
E quindi per consolarci ci becchiamo la proiezione (eh sì su quei bei teloni su cui il prozio trent'anni fa proiettava le diapositive della vacanza a Diano Marina) di due rappresentazioni dell'opera che ci siamo perse.
Ma che bello, mi dico, che sublime consolazione, vedere la Ricciarelli sfocata e bardata come un pupazzo e Placido Domingo per l'occasione tirato fuori dal freezer.
 
Il meglio viene la lezione successiva, quando la nostra creativa ci fa leggere un terzo del libretto dell'opera per meglio comprendere i video proiettati.
Penso: devo fare anche le vocine? Produrre inflessioni convincenti? Imitare la voce cavernosa dei personaggi maschili?
 
Ma soprattutto: ma stiamo scherzando????
 
Mi sembra di essere a catechismo di nuovo.
I discorsi nascono a braccio, senza impianto organizzativo di alcun tipo.
E uno che ha insegnato lo sa.
 
E, infine, per la terza settimana di fila, ci consegna il terzo, maledettissimo, programma del corso.
Mi dico: è stampato, è pubblicato sul sito della biblioteca, è... cambiato tre volte in tre lezioni.
 
Ah, la settimana prossima vi porto a teatro.
A Milano, la sera. A vedere un bellissimo spettacolo di danza sperimentale a pagamento al posto dell'opera gratuita. Mi sembra che nel cambio ci abbiamo guadagnato...
Fantastico, mi dico, io a Milano ci sono già dal mattino presto.
Le previsioni danno acqua e non ho soldi da spendere a casaccio.
Quanto costa lo spettacolo?
Mah, non si sa...
Ma la cosa incredibile è che non sa neppure a che ora inizi. Devo trovarlo io faticosamente andando sul sito con il cellulare. Ed è l'ultima lezione in cui possiamo accordarci per incontrarci.
 
Ci penso bene: vado in internet e vedo di cosa si tratta.
Più o meno viene a costare 17 euro.
Mi chiedo come arriverò venerdì prossimo.
E francamente non ho voglia di buttare dei soldi per infliggermi ore di spettacolo noioso.
Insomma...
Preferirei decidere io cosa vedere.
Mando un sms per informare della mia assenza.
 
E, a oggi, non ricevo neppure un riscontro.
 
Per come la vedo io, di tratta di una questione di serietà pura e semplice.
E qui manca, senza dubbio. 
 
 
 
 

mercoledì 23 ottobre 2013

Lusso per tutti

E' cartello triste quello che scende dal soffitto del capannone che ospita la Lidl.
Siamo alla periferia di Mortara, è una giornata uggiosa, caratterizzata da un buio precoce che filtra dalle poche finestre.
 
Nel discount c'è l'atmosfera irreale dei centri commerciali, con la loro luce da sala operatoria.
Nonostante sia piuttosto tardi i carrelli non mancano.
La fauna del posto è variegata, ma non consolante.
Pendolari abbigliati per il viaggio, impegnati in acquisti economici, una serie di extracomunitari uno più dimesso dall'altro. C'è chi va a fare un giro, c'è chi riempie il carrello di schifezze a poco prezzo (stiamo costruendo una generazione di immigrati obesi a quanto ho visto, famiglie di Barbapapà a ripetizione).
 
Quando ecco che, tra la carta igienica e il cibo per cani, alzo il naso e vedo il cartello "Lusso per tutti".
Questo anacronistico proclama si riferisce alla "gamma lusso" di Lidl, una serie di prodotti alimentari, secondo il supermercato, di elevata gamma a prezzi concorrenziali.
 
Lusso, questo termine così amato ed abusato.
Negli ultimi decenni si è creato questo grande equivoco: tutti devono aver accesso al lusso.
Perchè non fa bello pensare ancora, in questo nostro mondo votato al culto dell'apparenza, di non potersi permettere delle cose. Questo è il principio dei coupon a prezzi stracciati, dei mille oggetti di scarso valore e pesante decorazione venduti ovunque, perfino, dunque, delle linee alimentari dei discount.
 
E io sono qui, in un posto pieno di scatoloni da cui ti prelevi la merce, pieno di ciarpame vario made in China e di gente triste che, anche se non lo sa, di lussuoso conosce solo la parola lusso.
 
Il vero lusso sta oggi altrove, nella possibilità di scelta, di rinuncia, di sostituzione.
Sta nella possibilità di dire no, di cambiare idea, di tornare indietro.
Nel tempo di cui disporre.
Non nella possibilità di permettersi kg e kg di cioccolatini di bassa lega a forma di zucca e salami in busta sottovuoto.
 
E intanto, eccoci qui, forzati del lusso da straccioni, incapaci di opporsi a questi specchi per le allodole.
 

martedì 22 ottobre 2013

Una gelosia tardiva

Entra torvo in ufficio, esibendo il consueto cellulare prima generazione (noi snob non ci facciamo possedere dalla tecnologia).
Con il maglione di ieri, la camicia di ieri l'altro, le scarpe di una vita e jeans non pervenuti bofonchia al telefono. Mostra una falcata ampia e sgangherata. Ma noi intellettuali siamo distratti da questi particolari irrilevanti, che sarà mai un orango se ha gli occhiali?
 
Sprofonda nella sua sedia, dietro una catasta abominevole di scartoffie, ere geologiche di giornali, porta documenti impolverati, oggetti di non ben precisata natura. Nessuno di questi, neppure per errore, ha il verso di uno degli altri.
 
Sguardo fisso e torvo, sembra aver digerito lo schermo del pc mentre iniziamo la riunione.
Non un battito di ciglia, non un respiro. Inerte. Neppure lo scorgo dal mio angolo così sepolto dal ciarpame.
 
Si risveglia solo per dar contro al mio capo, relativamente alle obbligazioni Mps.
E' contrario al consiglio di vendere le obbligazioni della banca disastrata numero 1 oggi in Italia.
Lo dice con stizza, con puntiglio, con capriccio.
Senza convinzione, solo con l'intento di protestare.
Ciccio lascia cadere.
 
Per una volta sono d'accordo con ciccio. Sono così sorpresa da temere una tromba d'aria istantanea.
 
A un certo punto suona il telefono dell'ufficio.
E' mammina oppure una delle sanghisughe.
Come avvolto nell'ovatta allunga l'arto superiore. Non solleva il busto di un millimetro, trillando: - E' una cosa tanto urgente? No perché sarei in riunione.-.
Io e ciccio ci guardiamo costernati per la seconda volta in pochi minuti.
Sono ancora più preoccupata. Due volte d'accordo è grave assai.
 
Le ore passano,  ma il nostro eroe non demorde.
Ogni scusa è buona: esco un secondo per andare in bagno e lo trovo che gironzola al mio tavolo.
Si deve discutere una cosa e ancora si precipita al mio tavolo. Percorre velocemente lo spazio in diagonale che lo separa da me.
E si piazza dietro la schiena.
 
Sento i suoi occhi puntuti che tutto controllano e scrutano.
Fruga lo schermo, fruga la posta, è come se ti frugasse addosso.
 
Sospetta.
Cosa sospetti esattamente, cosa lo preoccupi sul serio, da chi si senta minacciato e in che misura non è chiaro.
 
Ma, privo ormai di ogni attrattiva, non riuscendo più a provocare con i suoi atteggiamenti, orfano di applausi adoranti e di ogni comprensione, fiuta a caccia del nuovo possibile rivale.
Mi marca stretto, rinfacciandomi ogni battuta, e ogni sua parola mi scorre addosso come aria tra le dita di una mano aperta, senza toccarmi.
 
Diverso l'atteggiamento con il povero malcapitato.
Carica l'artiglieria pesante e lo sottopone a una vera lapidazione denigratoria.
Crea le occasioni, le cerca, gli cuce addosso un'immagine come di povero barbone pezzente.
Demolisce i suoi sforzi, ridicolizza le sue fatiche, il suo passato e il suo presente, sottolineando le mancate riuscite vere o presunte.
Con astuzia, con invidia, insiste sui suoi punti deboli, li cerca, li mira e affonda, sottile e cattivo come lui è nella buona carne del nostro uomo.
 
Gelosia, sentimento ridicolo secondo lui, così pieno di sé da attendersi ogni plauso e ogni giustificazione.
 
Benvenuto, amaro sentimento vendicatore.
 
 
 
 
 
 

lunedì 21 ottobre 2013

Problemi di lingua e dolcetti giapponesi

Dal Giappone ho portato a casa una serie di scatole di dolcetti, più per gli imballaggi di straordinaria bellezza che per il contenuto (eccezion fatta per i mochi la cui gelatinosa mollezza ha un che di affascinante).
 
Del resto, è pressochè impossibile capire cosa c'è in quelle scatole con esattezza.
Tutto è scritto solo in giapponese e i disegni sono bucolici e non significativi della natura del prodotto contenuto.
 
Sabato sera, dietro le insistenze di mia mamma, famelica, apro l'ultima confezione di dolcetti giapponesi.
 
Sono seduta al tavolo della cucina, dopo una triste cena a base di minestrone. Fuori è già autunno e io ho già indossato, nella mia casa gelida, la tenuta invernale, pantaloni di ciniglia e pile rosso fragola.
Nonostante i buoni propositi di diventare un pochino meglio sono qui in tuta, pinza regolamentare tra i capelli e solito aspetto da "caduta dal letto". Dopotutto sono a casa mia... Per cui, avanti calzettoni a rombi.
 
Apro lo scatolotto e fisso le due file di dolcetti, una fila incartata in lilla e un'altra in bianco.
Un imballaggio abbondante, in cui sono nascosti dieci mini dolcetti al cacao, buffi, tondi come mini muffin, incastrati in una specie di rastrelliera di plastica.
E sopra, una piccola bustina bianca.
 
Penso: - Toh va, anche i giapponesi usano lo zucchero in polvere proprio come noi. Però, che bustina piccola, penso, piccola piccola piccola. Certo, loro sono sempre misurati in tutto. -.
 
Apro la busta, scritta solo in giapponese e metto un po' di polverina sul dolcetto.
Che consistenza strana, mi dico, ma in quindici giorni di roba strana ne ho vista assai.
 
Assaggio, e... non sa di nulla.
Ma proprio di nulla.
Che strano, penso, tocco con il dito e sembra quasi rugosa questa roba.
 
Mah, non mi pare zucchero.
 
Giro e rigiro il dolcetto, e mi assale un dubbio.
Somiglia alla bustina che mettono nelle scarpe, consistenza diversa, ma identica apparenza.
 
Per farla breve: era silicone.
Mettono il silicone anche ne dolci, ma si può?
 
Un fantastico dolcetto al silicone.
Per ora nessuna ricaduta, pare.
 
Ma, credo, sarebbe necessario mettere almeno l'inglese....
Ok essere campanilisti, ma avvelenare la gente no.
 
 

mercoledì 16 ottobre 2013

Breathe

Sono le 4:11 del mattino.
La casa è buia e fredda.
Sono avvvolta nel silenzio.

Nella mia mente sento ancora l'eco dei sogni convulsi che mi hanno strappata a un sonno così poco ristoratore.
Il mio cuore batte forte, mi sento indolenzita come una che, invece di dormire, ha corso a perdifiato.

Sono le 8:00.
Sono in metro, sto per scendere a Maciachini.
Controllo la mail, come sempre.
Sono giorni che l'avvocato mi tormenta.
Si vede la fine, forse, ed è vicino il momento di incassare.

Sono le 8 e 10.
Ho già letto al mail, risposto, chiamato mia madre, girato la mail, spiegato cosa deve fare.

Sono già agiatata con l'adrenalina che mi cresce addosso.

Sono le 16 e 30.
Ho già risposto a n chiamate di mia madre, altrettante mail, riscritto all'avvocato e, lavorato, sulla nuova finanziaria.

Sono giorni che non riposo. Sono stanca, stressata, sento tanto la pressione, con l'avvocato che spinge da un lato e mia mamma dall'altro.
Ci manca solo che mi chiami qualche altro coinvolto e sbotto.

Giuro, sono di nuovo una pentola a pressione sul fornello, con accesa sotto la fiamma al massimo.
Ho caldo, ho freddo, ho fame, ho la tachicardia, mi fa male la schiena, mi sudano le mani, sono agitata e mi fa male lo stomaco.

Mi comprerei tutto.

Una pentola, un copriletto, un paio di scarpe, una valanga di cosmetici carissimi, sette coupon per centri estetici....

Mi devo calmare.

Adesso respiro profondamente usando solo il diaframnma come mi ha insegnato l'osteopata.....
E che Dio faccia finire tutto in fretta.




martedì 15 ottobre 2013

Il fiore dell'osmanto

E' buio, una sera umida di metà ottobre, fredda e autunnale.
L'estate settembrina è ormai un lontano ricordo.
 
Mi affaccio alla finestra prima di chiuderla, sento uno lieve profumo nell'aria. Aguzzo la vista: fuori ci sono solo le luci delle case circostanti, lontane. E la luce dietro le mie spalle, che disegna sul prato la mia sagoma.
 
Guardo meglio, ma sì, è un fiore quello. Un fiore bianco che sta sbocciando.
L'intero albero di osmanto sta fiorendo, di fronte a me.
In autunno, quando tutti gli altri hanno già deposto i fiori, e molti anche le foglie, l'osmanto fiorisce profumato.
 
Mi sembra quasi un miracolo.
Questo grande albero rimasto ostinatamente verde anche nella favorevole stagione estiva, fiorisce proprio ora, così tardi.
 
Mi sento proprio come l'osmanto.
Con ostinazione, con fierezza, con sacrificio, sono pronta a fiorire, come sempre tardi.
Mi sento quasi fortunata,
Se non mi fosse successo tutto quello che è successo, sarei vissuta in eterno con un grosso problema relazionale, con me e con gli altri.
 
Non so a che punto sono del mio cammino. Mi sento, però, come qualcuno emerso dall'Ade, dopo tanto tempo.
La più grande conquista è l'essere indiscutibilmente presente a me stessa in ogni momento, e non più preda della paura, della rabbia, della solitudine, dell'impotenza ogni momento.
 
Per tanto tempo sono stata in balia dei ricatti morali di una persona che sa quanto è stata importante per me. Per tanto tempo la mia personalità, la mia sicurezza, la mia autostima, sono state piano piano erose dal sarcasmo gratuito e menzognero di una persona per cui ero un oggetto e non un essere umano a cui dedicare rispetto. Quello che fai, e quello che non fai, quello che sei, e quello che non sei, ma anche quello che non fai/sei abbastanza bene, lentamente, giorno dopo giorno, bruci la tua esistenza intenta ad adorare un simulacro che si è costruito un piedistallo altissimo e irraggiungibile.
 
Sono stata a lungo cieca, abbagliata da quello che era il centro del mio mondo.
Le mie esigenze azzerate, le mie idee osteggiate o derise, io mai all'altezza.
Per moltissimo tempo ho creduto, come solo una persona innamorata può credere, a tutto quello che le raccontano. Come una farfalla attratta dalla luce mi sono dibattuta a lungo, imprigionata in un castello di bugie.
 
Sorda, disperatamente alla ricerca di una via d'uscita, ho cercato consolazione e soluzioni in ogni cosa. Nel cibo, nei viaggi, nello shopping, in ogni cosa.
 
E più mi accorgevo che non c'era sponda nel raggio di diverse miglia e più annaspavo angosciata.
 
Ho attraversato tutte le fasi del lutto: colpevolizzazione, disperazione, vuoto, solitudine, compensazione, agitazione, confusione, espiazione, presa di coscienza, fastidio, sofferenza, abulia, negazione, depressione.
 
Solo il silenzio e la verità, scomoda e antipatica, hanno potuto aiutarmi a voltare pagina.
 
Oggi, quando mi parlava, mi sono accorta dopo un po' di aver perso il filo del discorso.
Stavo pensando... all'agenzia delle entrate, ditemi voi.
Lui stizzito si è accorto che mi ero dimenticata della sua presenza.
 
Rise and fall.
 

lunedì 14 ottobre 2013

Service tax (Ciccio version)

Rientro in ufficio, dopo una brevissima assenza.

In maniche di camicia, bianca (sempre lei), stretta e affaticata, mi accoglie stravolto ciccio.

Con tono drammatico si alza sulle punte delle sue scarpe ortopediche.
 
Si gira e mi indica con tono perentorio: - Eh, tu sei proprio spacciata.-.
 
Lo guardo con aria interrogativa, pensando a cosa possa essersi inventato stavolta.
 
Poi si gira ancora e si rivolge a Dani: - Non ridere tu, che la pagano anche gli affittuari.-.


Trafelato, terrorizzato, fa: - Sono 30 centesimi di euro ogni metro quadro, fai il conto fai il conto.-.

E io faccio il conto, 30 euro.

- No, no, ma che conti fai, fai 100 x 30, fa 3.000 euro, 3.000 euro.-.

Rifaccio il conto, 100 x 0,3 = 30 euro.
Oddio fossero 30 euro, io pago una fucilata solo per la spazzatura...

- Ma no, ma no, scusa come hai fatto a far venire quel conto lì?-.

- E' una questione di unità di misura.-.

Ci mettiamo in tre, per una quarto d'ora, a spiegargli l'arcano.

Alla fine, dopo grande fatica, comprende ed è visibilmente sollevato....
Emette un sospiro di sollievo e se ne va contento, trullo trullo saltellando sulle scarpe dimagranti.

Questo è il mio capo.

Primo grado di separazione

Credo che il distacco inizi così:
le parole scorrono copiose in sottofondo e tu sei distratta.
Molto distratta. Stai lavorando/guardando la tv/mettendoti lo smalto.... e, improvvisamente, ti ridesti e pensi: - Oddio che idiota. -.

Oddio che scemate sta dicendo, e va avanti da mezz'ora.
Ma quando la smette?

Parole che si accavallano, parole che spumeggiano incontenibili.
Parole su parole, su parole.

Trilla, pigola e si mangia le parole, rotolando rumorosamente sulle consonanti per frenare di colpo sulle vocali.... e non la smette mai. A ripetizione infarcisce con le sue banalità ogni genere, con marcati risvolti maschilisti. Dopo aver massacrato una serie di poveri vocaboli con la r, e avermi ampiamente disturbato, il soggetto, dopo soli tre giorni dal refilè precedente, torna scodinzolando da me.
 
Posso offrirti un caffè?
 
Usciamo e inizia subito a vantarsi della sua nuova "stalker", una tizia argentina conosciuta tramite un amico che vuole trasferirsi in Europa e punta a lui, gli scrive dei papiri su Facebook e non so che altro.
Dopo essersi incensato a lungo, aver esibito una coda degna di un pavone, e aver magnificato il suo "fascino" fino alla nausea (della sottoscritta) mi chiede: come posso togliermela di torno?
 
Non ci penso un secondo: la battuta mi esce da sola.
 
Fatti conoscere di persona, così te la togli di torno subito.
 
Si è risentito.
Dopo una vita da "impunito" essere rimbeccato non gli piace.
 
Basta che le fai un trattamento come il mio e vedi come se la dà a gambe....

giovedì 10 ottobre 2013

Un filo sottile (Nobel ad Alice Munro)

Leggo, rileggo, e in un attimo mi passa la noia, la suprema noia di questi giorni, di queste ore.
 
Alice Munro ha vinto il premio Nobel per la letteratura.
 
Sono felice, davvero, per un breve, brevissimo spazio di tempo.
L'entusiasmo si dipana in fili sottili, elettrici, di scambi tra donne.
 
Il lato oscuro del quotidiano ha emozionato e avvinto molte donne.
E così la mia gioia mi spinge a mandare due righe a Moira, un sms a mia mamma, ad annunciarlo in ufficio....
 
Troppa felicità è il primo libro che ho letto, seguito da Chi ti credi di essere.

Amo queste pagine piane e profonde insieme.
Amo questa scrittura esauriente e non debordante, lineare, amo l'approccio a volte un po' freddino, un po' nordico, come me.
Amo quel calore nascosto, quel narrare tutto con i fatti e solo con i fatti.
Amo la sua essenzialità, quell'abbondanza geometrica delle parole.

Leggete un po' di questa scrittrice, che mi ha portato a chiedermi, e tu, chi ti credi di essere, davvero?

La tarma

Indosso oggi il mio bellissimo maglioncino Calvin Klein di lana finissima color panna.
Lo tengo come fosse d'oro: ha il suo sacchetto, viene ben stirato e messo via...

Lo indosso con grande gioia.
Almeno fino a mezzogiorno, quando vado in bagno.

In genere non amo guardarmi allo specchio e lo faccio il meno possibile.
Ma, stavolta, lo faccio (per controllare che non mi sia sbavata la matita).

E trasalgo.

Orrore!

Un buco, un buco! nel mio maglioncino meraviglioso che ho tenuto d'acconto stirato a temperatura bassa sennò infeltrisce lavato a mano in acqua fredda cavolo!

E dove?

Proprio sul seno sinistro dove è impossibile non vederlo!

Quindi io sto tutto il giorno a scervellarmi su: 1) come salvare il maglione (Una toppa? Un ricamo? Quale ricamo? Non ricamo più dalle elementari...) 2) come non  risultare una barbona per il resto della giornata. Per cui via a capelli fluenti su collo incriccato verso sinistra, borse a mano che diventano a spalla, sciarpe selvagge anche con 20 gradi in ufficio.....+

Ma soprattutto, porca miseria e schifo, ma proprio il mio maglioncino bianco 'sta.....

W il sintetico.

Altroché.

mercoledì 9 ottobre 2013

Discount d'Italia

Se dovessi dare ragione ai buddisti non mi stupirei affatto di questo andamento circolare dell'esistenza.
 
Le tue finanze migliorano, finalmente esci dal girone vorticoso dei discount per entrare nel magico mondo dei super, in cui puoi riempire il carrello comprando più o meno quel che ti pare.
 
Poi succede che i prezzi lievitano fino a esplodere, che le tariffe dei servizi si gonfiano come soufflè e che ti trovi a mantenere una casa più costosa.
I tuoi risparmi mensili si assottigliano. Qualche mese vai addirittura sotto, e ringrazi i soldi risparmiati i mesi precedenti.
 
La crisi è arrivata anche a casa tua, è entrata direttamente dalla cassetta delle lettere, passando per il conto corrente.
Addio attacchi di shopping compulsivo settimanali, addio pacchi di riviste, addio, addio.
 
Dalla porta da cui sono uscita, rientro, al discount.
 
Sono quasi le sette di sera, entro con la mia macchina (una delle più vecchie di tutto il parcheggio della stazione) nel parcheggio del Penny Market.
 
Sono spariti, per fortuna, gli accampamenti di personaggi poco raccomandabili all'uscita, che mi avevano fatto propendere per altri posti.
 
L'idea di essere accerchiata nel parcheggio da questi tizi, mentre armeggio con la spesa non mi rende felice.
Ma stasera non c'è nessuno e io posso quindi prendere il carrello con calma e... riempirlo.
 
Ancor prima di entrare ci sono già problemi.
La porta ad apertura "automatica" non si apre. Quando mi avvicino con la punta del carrello alle due parti automatiche un allarme assordante si mette a gracchiare.
 
Come fosse successo nulla.
 
La porta non si apre, e l'allarme continua a strillare.
 
Dopo cinque imbarazzanti minuti, finalmente, le porte della convenienza si spalancano.
 
Manco quelle funzionano bene...
 
Una volta entrata scopro che hanno cambiato per la settantesima volta la disposizione della merce.
E sempre, magicamente, in modo da rendere meno razionale possibile la disposizione e meno agevole che mai la deambulazione all'interno del posto vendita.
E, infine, non capisco perché, ci si blocca davanti agli yogurt.
Non so c'è sempre un imbuto.
Spostano gli yogurt e spostano anche gli scaffali, che dire...
 
Riempio il carrello dei tipici articoli discount: grissini, yogurt, latte, cereali e legumi secchi per le mie minestre (farro, orzo, lenticchie...) gallette di mais, acqua minerale (costa la metà del primo prezzo al supermercato) couscous assorbenti cotone pecorino cipolle.... e via dicendo. Non compro la carta igienica solo perché ho la casa invasa da rotoli e rotoli.
 
Mi guardo intorno, per osservare la popolazione discount.
Tutti che vagano con carrelloni pieni di articoli malsani (sono l'unica senza merendine o patatine o succhi di frutta), tutti ipnotizzati davanti a scaffali e ripiani semi vuoti.
Già, perché tanti spazi sono vuoti: il motivo è semplice, il personale è troppo scarso.
 
E così, su una lista di 10 cose, due non le trovi di certo.
Garantito, dalla notte dei tempi.
 
Mi avvicino alla cassa. Non faccio in tempo ad appoggiare il primo articolo che la cassiera urla, con una punta di isterismo: - Sono chiusa!-.
Il suo tono di voce, che pur comprendo, mi fa sospettare che nel cast dell'opera, venerdì, ci sia anche lei.
 
Mi scuso e mi dirigo verso l'unica cassa aperta.
Tra le dieci/dodici persone in fila sono una delle poche italiane. E gli altri che lo sono puzzano come caproni, in particolare di birra.
 
Queste casse perverse, con un nastro anteriore lunghissimo e tronche alla fine, ti costringono a gettare tutto alla rinfusa nelle borse (e a me piace mettere tutto in un certo ordine geometrico, separando le cose fresche da quelle che sono a lunga conservazione, mettendo quelle fragili sopra e le altre sotto).
 
Quando finalmente approdo a pagare il conto mi impietosisco per un povero papà mediorientale che il figlio ha tirato scemo con richieste a raffica.
Lo compatisco un po', evitare che il bambino riempia il carrello di caramelle e affini (avete notato come tutto alla cassa è ad altezza bambino nel seggiolino?) e mettere su la spesa, inscatolare, pagare....
 
Tutto come da copione: la cassiera mi lancia il resto sgarbatamente dopo che io ho lanciato la spesa in disordine nelle borse.
 
L'unica soddisfazione: il conto finale, finalmente umano.
 
Esco ed è l'imbrunire.
Esco dal discount con il mio carrello e penso: - Tanto camminare, per tornare al punto di prima.-.
 
Eppure non è il punto di prima.
E' un modo per ritornare a dare il giusto valore a cose e persone.
 
Spero di aver imboccato una nuova, giusta strada.
 

martedì 8 ottobre 2013

Papere (senza papaveri)

Speravo durasse a lungo, lo confesso, questo limbo delizioso.
 
Lunghe giornate di ameno lavoro, intensi pomeriggi di studio e analisi senza interruzioni spiacevoli.
Certo, il barbuto è andato avanti per un po' con il suo carosello, chiedendo a voce squillante a Miky di uscire per il caffè.
Immaginava, forse, che mi avrebbe infastidito la cosa.
E con il suo tono due ottave più alto del dovuto pensava di fare buona pubblicità delle sue attenzioni, rotolando intorno alla mia scrivania per guardare cosa stavo facendo (lavoro, cosa vuoi che faccia non siamo a Beautiful).
 
Non c'è nulla di più bello del distacco con cui si osserva, per bene e da lontano, un ex amore che si rode nel vederti indifferente.
 
Ma, ahimè, non è durato questo soffice limbo vellutato di pace.
 
Come un condor, ieri si è piazzato lì, avvicinandosi a me come fanno certi cani, che hanno paura di essere cacciati. Avanzando obliquamente, mi si è fermato di lato, e, sempre con la sua vocetta stridula, mi implora di potermi offrire un caffè.
 
Alzo lo sguardo su questo tizio, che, se non l'avessi conosciuto anni fa, mai e poi mai guarderei troppo da vicino ora. Capelli scompigliati dalla dubbia pulizia, barba lunga, incolta e con una serie di peli disagiati e isterici che puntano verso direzioni inconsulte. Sguardo cisposo dietro occhiali dalle lenti unte, camicia... da quanti giorni ha su questa camicia verde marcio, che sarà pure Timberland, ma dopo tre giorni... con il colletto slacciato che lascia intravedere una drammatica maglietta fu-bianca, di quel giallino grigino che chiede e implora Omino Bianco.
 
Pancetta protesa in avanti e braccia magre lunghe ai fianchi.
 
Il mio sguardo scende e... trasale!
Dai jeans ampi, sdruciti, scoloriti, senza cintura emergono delle papere!
 
Sissignore. Papere. Papere bidimensionali giallo canarino, con un occhione tondo e nero, su fondo rosso vermiglio.
 
Spuntano dai pantaloni aperti di Lorsignore (o il Giovin Signore come lo ha soprannominato mammà), che franano sulle scarpotte da ginnastica.
 
Papera my love, non solo i piedi a papera, ma anche intimo a papera.
 
Subito ringalluzzito il nostro somaro trilla davanti a tutti: - Ma insomma, insomma, cosa continui a guardare lì!.- Tutto esaltato, come solo Nelson a Trafalgar poteva essere.
 
Ho masticato qualcosa sulla riapertura della caccia, ma non credo abbia colto...
Con lo sguardo attonito lo spingo in ascensore: - Ma insomma manco i pantaloni...-.
Diciamo con la familiarità di tanti anni, ecco.
 
Il genio se ne accorge, e si mette, improvvidamente, ad armeggiare con i pantaloni e con me chiusa nell'ascensore. Ma un piano solo è vicino e, oltre a corsi di buon gusto, al nostro serve un corso di chiusura bottoni in tempi umani e non da asilo. In alternativa, una cerniera!
Oddio, le porte si aprono e io, terrorizzata, immagino la scena, con questo tizio che armeggia davanti alla platea e io, sempre, io chiusa in ascensore con lui.
 
Veloce come un razzo schiaccio il piano zero, e intanto la mia minaccia romba come un ruggito.
- E non eh? Che non ti venga in mente manco per sbaglio di non sbrigarti...-.
 
Arriviamo a piano terra, mi faccio offrire questo caffè.
 
Cielo, credo sia questa la stagione della migrazione dei palmipedi, no?
 
Che tristezza.
L'amore è cieco, pure sordo.
Va comunque rispettato in ogni sua forma.
 
E tuttavia, passi il rispetto, passi l'adorazione, ma un pochino di cervello, in mezzo a tutta quella nebbia potevo anche usarlo...
 
E mi trovo davanti, ogni giorno, quest'ominide sciatto, schiumante insoddisfazione e malanimo per aver perso il suo giocattolo, o meglio, tutto il suo potere su di me.
La sua stellina luminosa è tornata ad essere di latta, opaca e ammaccata.
Nel suo angolino, dietro quell'ammasso di cartacce, c'è proprio solo lui.
 
Lode alla vita ritrovata.
 
 
 


Christmas

Ho cominciato a comprare i regali di Natale....

E' grave secondo voi?

lunedì 7 ottobre 2013

Pietà

In questi giorni dominano le notizie sulla tragedia di Lampedusa.
Prima come news del giorno e poi, via via, in secondo piano.
 
Pensandoci attentamente,, leggendo i fiumi di parole spese spesso a vanvera, mi sono accorta che nessuno spende una parola di gratitudine per tutti coloro che, per professione, si sono trovati di fronte a una condanna.
A morte.
 
Guardie costiere, medici, sub, tutti.
 
Da vent'anni queste persone sono condannate a vedere ogni sorta di scempio.
Sui corpi dei vivi, su quelli dei morti.
 
Da più di vent'anni, impiegati in missioni terribili.
A volte criticati, in particolare da inetti seduti nelle loro poltrone, con mezzi scarsi, spesso mettendo a rischio la loro vita, per terra, per mare.
 
Ignorati, da un' Europa lontana, impegnata a occuparsi dell'Italia per questioni di rigore o di regolamentazione, e completamente assente quando si tratta di gestire un problema.
 
Sono gli italiani che non lo sanno gestire, addirittura criticati dall'Europa intera perché poco umani verso gli immigrati. Come se fosse facile, in un'isola che è uno sputo gestire ogni giorni centinaia di nuovi profughi.
 
 
 



Confused

In questi giorni sono assillata dai dubbi.
Mi sento come una equilibrista con le vertigini, che procede a balzelloni sulla sua corda sospesa in aria.

Esserci, questo è stato il mio primo voto, qualche tempo addietro, il primo dopo la "riemersione" dall'abisso della negazione del sé.

Ma come esserci?
Come essere presente in modo equilibrato, discreto, ricco di tatto e diplomazia nel momento del bisogno?

Per una persona come me, sempre intenta a giocare a nascondino con i suoi fantasmi, il fatto di esserci, la decisione di non sparire è una scelta di notevole coraggio.

Per essere di supporto, la generosità d'animo non basta.
Non basta la volontà, non basta la presenza.

Ci vuole equilibrio.

Non sono tutt'ora certa che si tratti di una dote diffusa.
Il mondo intero va cianciando consigli a fiotti, indicazioni a mazzi.
Io mi chiedo cosa possa mai insegnare....

E poi in che modo.
Perché nella disgrazia niente è peggio del giudizio insito in alcune pietose condivisioni.

Come posso, come posso suggerire il calore della mia presenza senza imporre il peso del mio giudizio?

Perché qualche idea ce l'ho, ma nessun giudizio, si intende... e non vorrei che questo malinteso aggiungesse sofferenza alla sofferenza.

La mia timidezza, profonda, radicata e tenace, mi condiziona in ogni cosa.
Mi spinge via, mi crea fantasmi cugini di quelli veri, dona di me un'immagine diversa da quella reale.

Quali parole usare, quali tempi adottare, quali delicatezze?
Lo so, lo sento, che ogni parola va pesata, ogni circostanza valutata con attenzione.

Esserci è più di una parola, è più di un impegno, è più di un progetto.

Anche più di una prova, richiede una grande maturità e la serenità suprema che deriva dalla certezza che, prima o poi, si sbaglierà. Sempre in buona fede.



domenica 6 ottobre 2013

Invecchiare

L'invecchiare è come un fiume, in alcuni periodi della nostra vita è lieve come un rigagnolo, altre volte il corso d'acqua si ingrossa e travolge la nostra apparenza.

Così, per caso, quasi a tradimento lo sguardo si sofferma sul tuo braccio, sul quella piccola porzione di avanbraccio che la tua maglia lascia scoperta.
Una porzione modesta, che tradisce un braccio pallido, un lembo di pelle impietosamente esposto alla luce. Una pelle sottile, grinzosa, disidratata.

Così, anche se ti vedo tutti i giorni, mi accorgo di quanto sei invecchiata.
Saranno i contorni del tuo viso meno fermi, quella parte sotto il mento così poco tonica, qualche segno di troppo, più scavato del solito. Sarà la pelle più opaca, le borse sotto gli occhi, qualche macchia di troppo.

Sei invecchiata, sotto il peso delle sventure che ti sono arrivate e che si sei cercata.

Da come parli, da come ti muovi e ti atteggi, pare che tu non lo abbia notato.
Ma chi di noi è obiettivo su di sé?

Non sembri proprio più una giovane donna, ma una signora di mezza età.

Ti auguro di vederlo, adesso, non so se potresti sopportare anche questo.

venerdì 4 ottobre 2013

La cipolla


La cipolla

La cipolla è un'altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla...
Fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.

In noi ignoto e selve
di pelle appena coperti,
interni d'inferno,
violenta anatomia,
ma nella cipolla – cipolla,
non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,
fin nel fondo e così via.

Coerente è la cipolla,
riuscita è la cipolla.
Nell'una ecco sta l'altra,
nella maggiore la minore,
nella seguente la successiva,
cioè la terza e la quarta.
Una centripeta fuga.
Un'eco in coro composta.

La cipolla, d'accordo:
il più bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole
da sé si avvolge in tondo.
In noi – grasso, nervi, vene,
muchi e secrezione.
E a noi resta negata
l'idiozia della perfezione.

(Wislawa Szymborska)

giovedì 3 ottobre 2013

Lo shopping è una malattia?

Secondo me in certi casi può esserlo, e può diventarlo in casi di particolare fragilità personale.
 
Ieri sera, non riuscendo a sopportare il buffone piangente in ogni dove, sono capitata per caso su Real Time e ho visto l'intera trasmissione "Malati di shopping".
Un'americanata, lo ammetto. Ma alcuni spunti di riflessione sono stati interessanti.
Innanzitutto, il riempire.
 
Le due ragazze protagoniste vivevano in case stracolme di oggetti.
Ridondanti di cose che a loro non servivano.
Pur trattandosi di casi molto diversi, un'ereditiera e una persona di origini modeste, i punti in comune erano molti.
 
Oltre al riempire oltremisura, la solitudine.
Questo comportamento compulsivo provocava indirettamente il vuoto intorno (nel caso di chi ha perso amici e familiari cui deve molti soldi) oppure isolamento volontario (nel caso di chi, temendo lo sfruttamento degli altri, si rinchiude in casa ed esce solo per shopping).
 
Cambiano le cifre, cambiano gli oggetti, ma non cambiano le premesse: un disagio alla base, e l'allontanamento dal mondo reale riversando le proprie aspettative e angosce sugli oggetti, difendendosi con gli oggetti, stordendosi con gli oggetti.

Ne parlo con cognizione di causa. Non con questa gravità, ma ho avuto anch'io qualche problema del genere, nato in concomitanza con l'inizio della crisi sentimentale.
Ho pensato, ingenuamente, che dare un po' di lustro alla mia immagine avrebbe contribuito a rendermi più attraente e interessante (ho il sospetto che gli uomini non notino queste cose).

Complici le vendite online, mi sono riempita la casa e svuotata il portafoglio per avere cose che non mi servivano, anche mal fatte, ma di marca.
A digiuno di vizi da una vita, a corto di progetti di vita, mi sono buttata a capofitto tra scarpe, borse, accessori. E più compravo, e meno ero felice.

Però non lo sapevo, pensavo che mi avrebbero portata più vicina ai miei progetti.

E invece mi allontanavo.

Poi mi sono resa conto, in tempi non sospetti, che stavo risparmiando pochissimo.
Questo mi ha un po' scossa, dato che il mio divertimento preferito da bambina era quello di ammonticchiare le monete del porcellino e guardarle soddisfatta.

Osservando i miei armadi stracolmi, e tutte le cose improponibili che buttavo a sacchi, il disordine permanente, mi sono resa conto che non ero io a possedere gli oggetti, ma loro a possedere me.

A tiranneggiarmi, a dominarmi, a condizionarmi.

Come ho risolto il problema?
Innanzitutto limitando lo shopping online.
Mi sono accorta che il denaro virtuale pesa per la nostra mente meno di quello reale.
E' diverso spendere 100 euro con la carta che di carta.
Quindi provando e vedendo le cose, che così spesso rimangono lì dove sono.
Non comprando mai a prima vista, ma riflettendoci su.

Poi, in questo periodo di promozioni e sconti perenni, alla fine non fa nemmeno più presa su di me la percentuale di sconto, diventata rumore di fondo.

Infine, regalandomi esperienze, invece di oggetti.

A volte più impegnative (richiedono tempo) ma molto più arricchenti, come una mostra, o uno spettacolo. E mi sento meglio, più leggera e più lucida.

E poi, dato che le disponibilità di ognuno sono sempre più scarse, bollette e tasse fungono da potente deterrente in materia.

mercoledì 2 ottobre 2013

Picolissime gioie femminili

Devo comprare un fondotinta.
L'abbronzatura è un ricordo lontano, la mia faccia sempre bruttina e i campioncini improponibili.

Ma... Quale?
E poi non ho voglia, è solo mercoledì, Santo Cielo, non ci ho ancora pensato.
Ma è così che alle 6 e 10 di stamattina scopro, magicamente, un avanzo di fondotinta della passata primavera.

Immensa gioia!
Sublime felicità.
Delizioso scampato pericolo....

Posso aspettare qualche promozione.

Profondo sospiro di sollievo...

Ho di nuovo un colorito umano.

Primi effetti dell'aumento dell'Iva - vendite Privalia

Hop! l'Iva, una delle imposte più inique che ci sono, ieri è balzata dal 21% al 22%.
Sorpresa? Dalla sera alla mattina?
Nemmeno per sogno, annunciata, rimandata, e poi resa inevitabile dalla mattane governative, il 1° ottobre ci siamo svegliati con l'Iva ingrassata.

A quando il dimagrimento del portafoglio?

In genere almeno qualche giorno intercorreva tra l'aumento dell'imposta e l'aumento dei prezzi.

Stavolta no: è scoccata la mezzanotte e si è gonfiato il prezzo.

Da qualche giorno tenevo d'occhio una delle vendite di Privalia.
Colpita da un articolo particolarmente fantasioso, stavo riflettendo sul da farsi.
Sapete come funziona, no?
Vengono aperte le vendite speciali, con prodotti scontatissimi, magari delle collezioni precedenti. Durano pochi giorni, e poi si concludono. Gli acquisti vanno fatti in quel periodo, salvo esaurimento della merce.

Lunedì 30 settembre contemplo gli articoli in treno.
Martedì li ricontrollo e... sorpresa!
Il prezzo è lievitato! Non quello originale, ma quello proposto in sconto al lettore.
Non serve una laurea per calcolare l'entità del rincaro, l'1%.

Incredula penso: - Ma come, su una vendita già aperta!.-.
Per togliermi ogni dubbio scrivo al sito.
Chiedo il perché del rincaro.

Di seguito la risposta.
Scusate se è così sgranata, ma era minuscola.



 
Penso che sia del tutto legale modificare i prezzi in corso di asta.
 
Ma l'aumento dell'Iva non è piovuto come la Cometa di Halley...
Insomma, si sapeva, appariva inevitabile già prima dell'inizio della vendita.
L'ho trovato una caduta di stile. Compro il 30 e pago x e la mattina dopo l'x + 1%?
Non ho ribattuto, ma l'ho trovato ai limiti della presa in giro.
E così ho deciso di non comprare nulla.
 
Posso sopravvivere senza, e, dato che mi sono sentita un po' presa in giro credo che li metterò in quarantena per un po'. Sarà che ultimamente l'offerta è un po' scaduta, sarà che hanno l'aumento facile... Mi rivolgerò altrove.
 
 

 

 
 

martedì 1 ottobre 2013

Peter's speech

Vignetta divertente Ecco cosa me ne faccio delle tue parole

Faccia di terracotta

Post assolutamente leggero: ma perchè fanno tutti dei colori scuri per i fondotinta?
Stamattina ho provato un campioncino della BB Cream della Bottega Verde, colore beige naturale.
 
Naturale un fico secco.
Giro dalle sei e mezza di oggi con uan faccia color terracotta che fa pietà.
 
Ma... perchè non commerciano colori chiari come lo sono la più parte delle italiane senza fondi rosa rosolia o giallo itterizia ma normali?
 
Oh, un trucco deve essere non  un mascherone.
 
Mica tutte siamo la Santanchè....

La toppa (Cicciomoda autunno inverno 2013)

E' un bigio e freddo giorno d'inizio ottobre. Altrettanto bigio è il mio umore, con la prospettiva di una lunga quanto noiosa riunione e la mancanza assoluta di stimoli di ogni genere.
 
Oggi indosso un profumo diverso, bene, direte voi, mica tanto, dico io. Non ci sono abituata e mi dà vagamente fastidio.
 
Verso le 11 meno un quarto arriva il nostro supremo ciccio condottiero (non prima, dato che è occupatissimo a prendere il caffè con Blondie, che, almeno, questo privilegio glielo ha lasciato, offrirle il caffè). Entra in ufficio, prima la panza, poi lui in rigoroso ordine, fasciato dalla consueta camicia bianca d'ordinanza, infilata con spasmo nei jeans smilzi e corti.

I bottoni vecchi sono stati probabilmente sostituiti da un nuovo esercito, dopo essere stati decollati dal novello Robespierre, non ghigliottine, ma strati di lardo li hanno decapitati.

I nuovi soffrono atrocemente, mentre arriva ondeggiando sulle sue scarpotte ortopediche. Più che Mbt mi sembrano Mtb o qualcosa del genere cinese. Aria plasticosa, andatura da tricheco raffreddato, il nostro si esibisce in una camminata rotolante.

In questo continuo ondeggiare in cerchio, il nostro descrive traiettorie degne di un derviscio, rotola rotola si appoggia alla scrivania di Alberto, pensando, dico io, di mostrare i suoi adorati jeans vissuti.

Ed è in quel momento che il jeans sdrucito rivela il suo segreto: una bella toppa finto jeans, di quelle che si incollano con l'ausilio del ferro da stiro. Applicata con incomparabile imperizia esattamente in mezzo alle gambe. Eh sì mie care, la ciccio moda prevede anche il rattoppo casuale oltre che l'analisi finanziaria a muzzo. Due belle toppone ovali, immagino la soddisfazione del nostro quando ha così pensato di salvare i jeans lisi, imploranti la morte per consunzione.
Un colpo di ferro qui, uno là, e.... la toppa pende.

La toppa pende senza pudore, scollatasi a sinistra, che rivela, ogni qual volta si pieghi, un accenno di gambetta pelosa e un bordo di mutanda d'antan.

E così, per quelle due ore di riunione, è ballonzolato davanti ai miei occhi con quella toppa decadente, così poco bohemien....

Incredula osservo la danza della toppa chiedendomi quando sarebbe crollata a terra definivamente, immaginandomi il tipo che, con la solita enorme faccia tosta avrebbe, fatto finta che fosse di qualcun altro.

Invece, stranamente, regge.

Chissà, mi sono chiesta, cosa direbbe Enzo Miccio?