giovedì 1 agosto 2013

Le difficoltà di creare un mondo nuovo

O meglio, di un nuovo modo di vedere e vivere il mondo.
 
La mia generazione, quella degli "enta" per intenderci, ha studiato negli anni della grande ubriacatura economica, o meglio, della grande menzogna economica, quella in cui la carta e il virtuale hanno sostituito il reale e, nella maggior parte dei casi, il lavoro vero e proprio.
Virtuale il lavoro, virtuale il denaro, meno virtuale il fallimento, chiarissimo in questa grave crisi, di un modello basato su arroganza e supponenza, in cui l'aggressività l'ha fatta da padrone.
 
Siamo stati forgiati da gente, per altro inammovibile, che non si è trovata a faticare per nulla, saturando posti e professioni. Figli di una generazione che invece tanto aveva faticato per sopravvivere e che tanto, in molti casi, ha viziato la successiva.
Abbiamo avuto questi cinquantenni rapaci come esempio, di un mondo professionale di cui hanno esasperato apparenza e pratiche barocche, costruendo un sistema (pensiamo alla follia, per esempio, di passare ore e ore a fare nulla, a presenziare soltanto in ufficio, a scaldare la sedia. Presenziare è diventato sinonimo di lavorare...) contro le persone, e non a loro favore. Pensiamo ai progressi della tecnologia che hanno fatto lievitare il lavoro, invece di semplificarlo e abbreviarlo.
 
Questa grande crisi ha spazzato via molte cose, e purtroppo ancora non questa gentaglia senza etica e senza morale.
Ma tutti quelli della mia generazione, al lavoro in condizioni disagiate e in posizioni sotto stimolanti, sono in bilico tra l'esigenza di cercare strade nuove e quella di mantenere il vecchio percorso mentale appreso in tanti anni di lavaggi del cervello.
 
Chi ha studiato economia lo sa benissimo, ti fanno credere che spaccherai il mondo, e come no, con quelle quattro nozioni...
 
E' difficile e doloroso questo percorso fatto di incertezze, senza una strada un modo di vivere, di ragionare e di agire predeterminato.
Siamo chiamati a forza a trovare nuove strade e a combattere quelle vecchie per riscoprire un nuovo modo di vivere il lavoro, che, attenzione, non è vita.
Solo chi salva delle vite ha una missione.
Chi certifica i bilanci ha un lavoro soltanto, che gli piaccia o meno.
 
Proprio nel momento in cui tutto vale poco e le persone ancora meno, in cui tutto è scontato e i valori e i diritti sembrano messi in discussione, si tratta di ripartire da capo, di ripensare tutto il meccanismo. E come sempre sono le donne, più fragili e più forti insieme, a fare da apripista.
 
Per fare questo è necessario disintossicarsi, innanzitutto, e nel profondo da tutte le bugie che ci hanno raccontato.
 
Per questo tanti di noi si sentono inadeguati a quello che fanno, tra compressioni e divieti.
Il vero orrore è che ci hanno creato un mondo senza rispetto per la vita, in cui si parla di persone in termini di "serve/non serve".
 
Il dolore e il disagio sono l'altra faccia del coraggio, con i suoi dubbi e le sue incertezze, la solitudine la sua condanna.
 
C'è la strada, ma non c'è la meta, ed è questo a spaventarci.

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