giovedì 29 agosto 2013

Gelosia canaglia

Ieri pomeriggio stavo faticosamente lavorando al solito metro cubo di idiozie post ferie.
Preso lo slancio, stavo scrivendo le consuete banalità economiche condite, dopo un mese di digiuno.
 
Il nostro barbuto mi chiama, brandendo un foglio.
Accidenti, penso, accidenti, proprio adesso che avevo ingranato.
Esco dall'ufficio pensando a un argomento lavorativo.
Proprio in quel momento, davanti all'ascensore, staziona il bello con tutto il suo ufficio.
 
Così, con un saluto e con le consuete banalità, inizia il balletto del Geloso.
Il quale crede che il bello sia il suo rivale e, quindi, non perde occasione per tentare di svilirlo ai miei occhi, dipingendone un'immagine poco attraente, se non scostante.
 
Cerco di smarcarmi, immaginandomi cosa ne seguirà e volendo a tutti i costi continuare a lavorare in santa pace.
 
Ma non ci riesco. Gli propongo di sbrigarsela tra loro due, mentre striscio verso la fontanella dell'acqua. Nossignore. Il barbuto lo bersaglia di domande. L'altro risponde, cortese, educato, gentile.
A tratti ironico. Io osservo il nostro uomo che blatera ridicolmente, annotando mentalmente tutte le idiozie che dice. La sua facondia nell'affermare banalità pare senza limite.
E l'immagine è questa.
Uno uomo dai tratti delicati, sciatto in una Lacoste rosa che ha visto tempi migliori, jeans informi e sandali orripilanti è appoggiato al davanzale della finestra. A fianco, un uomo alto e con un bel fisico, non bellissimo di volto, ma impeccabile nell'aspetto gli sta accanto.
Entrambi si voltano verso di me, e io capisco che è venuto il momento di cominciare le danze.
 
Il grande blateratore parte facendo osservare a me e a lui quanto lui sia invecchiato. Gli fa notare con grande delicatezza i capelli grigi, e i fili bianchi della barba, ammettendo che, sì, anche lui, che è più vecchio, ne ha qualcuno. Ah, ma lui li ama i suoi, sissignore.
Fanno uomo vissuto.
 
E così, la scena si ripete all'infinito, a colpi di fioretto. Uno avanza, allunga la stoccata, l'altro arretra, schiva con classe o in silenzio e l'altro incalza ancora. E io, mio malgrado, mi trovo in mezzo ai due, arbitro, giudice, oggetto.
 
E alla fine, il test.
Il Geloso si piazza tra noi due e ci sottopone a un test sulla nostra modernità.
Un'idiozia cosmica, senza risultati.
A questo punto è lui a essere in mezzo a noi due.
Alle domande il geloso si premura di dare anche le risposte, per tutti e tre.
E con fatica si attacca a ogni frase, a ogni risposta, a ogni pausa.
Con pennellate forsennate dipinge il ritratto di un uomo per me irraggiungibile, attratto solo dalle donne più giovani, rigido e terribilmente salutista.
Lui ammorbidisce, esprime eccezioni, stempera.
 
E poi, mentre il geloso, per la milionesima volta, imbastisce il teatrino in cui chiede a lui quanti anni ha, finge di sorprendersi scoprendo che abbiamo la stessa età, ribadisce il concetto della mia "vecchiaia", e si mette a indagare sul mese di nascita, lui se ne esce dimostrando perfettamente di ricordare il mio compleanno.
Lo pronuncia con sicurezza, appoggiato alla mensola, guardandomi negli occhi.
E io, lo confesso, mi emoziono.
 
Senza riflettere iniziamo a parlare, in una schermaglia di battute che sa di flirt, mentre il geloso, che non capisce bene ciò che accade, ci guarda preoccupato e ansioso insieme.
Neppure io so bene cosa succede, a dire il vero.
 
Ma, quando tutto è finito, il sapore di un sorriso mi rimane sulle labbra.
 
 
 
 

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