giovedì 29 agosto 2013

Inquinamento emotivo

Sono bastati tre giorni, dico tre, di lavoro per generare quella cappa tenace di malumore che mi ha rovinato il pomeriggio.
Una spessa, coriacea cappa di emotività, frustrazione, risentimento, delusione e, soprattutto, stanchezza. Il primo passo è stato riconoscerla, individuare con chiarezza il ventaglio di sentimenti che mi sommergeva e ammetterlo.
La colpa è di un pranzo concesso con leggerezza, sulla scia della stessa leggerezza con cui sono planata alla scrivania, dopo ferie assai vivaci. Un regalo e una telefonata gentile, alcuni complimenti e mi ritrovo, mio malgrado, a pranzo con il mio ex carnefice.
 
Le premesse non erano delle migliori.
Un forte temporale e un robusto acquazzone hanno colpito la periferia Nord Est di Milano, stazionando sulla nostra zucca per due ore. La mattina, da freschina è diventata fredda. La mia gola delicata era già in fiamme, aiutata da un abbigliamento assai estivo e del tutto inadeguato.
Il nostro campione è arrivato di umore plumbeo, non ha detto una parola a nessuno, se non un rimprovero a Dani per l'odore delle sue gallette di riso (!). Ha spalancato le finestre ed è sprofondato sulla sua sedia.
 
Ho pensato:- No, io un musone così non lo reggo. Con questo non vado a pranzo, non sono mica un'assistente sociale.-. Ma come fare per non urtare ancor di più lo spiacevole commensale?
Ho cercato di convincerlo ad estendere l'invito ad altri.
No. Nisba. Nada. Non se ne parla.
 
Complice la pioggia andiamo in un bar vicino, e io attacco a parlare delle vacanze.
L'argomento Giappone è gettonato, la meta piuttosto esotica anche per lui.
Conto di tirar così la fine del pranzo, io che non amo i monologhi.
Parlo, mi mostro gentile, educata, simpatica e cordiale.
 
Ma non resiste, lui, a bersagliarmi con il racconto delle ferie offerte alle sanghisughe.
Due settimane al mare più una bella vacanza stile famigliola in Umbria, con lui, che non si muove mai in auto, che scarrozza i vampiri per il Centro Italia.
Il racconto, in parte comico, in parte ridicolo, fatto da lei a lui dei tanti numeri di telefono di uomini ricevuti e poi buttati, mi ha strappato una battuta. E come no, immagino, è il partito ideale lei. Di gran classe poi.
 
E così, lo capisco ora, mi sono rannuvolata.
Io non voglio essere la sua confidente.
Io non voglio essere educata.
Io non voglio essere gentile.
 
Io non voglio più, ogni giorno, rappresentare un'immagine di me stessa, di quella superiore a tutto e tutti. Per stare bene devo smettere di voler dimostrare qualcosa, di recitare me stessa.
 
Semplicemente questo. Per salvare me, devo liberarmi di me, prima di tutto.
Devo smettere di resistere.
 
E così ho annullato un appuntamento con un'amica.
L'umore terreo mi ha afflitta fino a casa, annacquandosi prima in treno e poi dissolvendosi sotto una lunghissima doccia profumata.
 
Quello che mi è ogni giorno difficile è perdonarmi.
Perdonarmi per non essere riuscita a raggiungere i miei obiettivi.
Ma tutto questo arrovellarsi deve finire, perché non solo è inutile, ma è come cercare di fare ginnastica nelle sabbie mobili.
 
Tutto quello che c'è da fare, è rimanere e andare avanti.
 
 

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