In queste ore concitate, costellate dalle voci di intervento sì/intervento no da parte degli Usa in Siria, continua a frullarmi nella testa una domanda: la democrazia è esportabile? In altri termini, intervento militare e democrazia come convivono?
La memoria mi torna ai tempi dell'intervento in Serbia.
Posto che lasciar far fuori gli altri inermi non è bello, far fuori i civili della parte avversa è altrettanto brutto. Come se, per esempio, ci fosse un'idea di guerra a senso unico, ci sono i buoni (ogni stato ex Jugoslavia aveva i suoi militari, invece, non solo i serbi) e i cattivi. Quelli giudicati dell'opinione internazionale cattivi, intendo.
E invece ci sono i civili poi, in mezzo, tutti gli altri.
Ora, in mezzo ai mille dubbi e alle incertezze di questo periodo, mi chiedo: sarà l'ennesima carneficina ammantata da nobili motivi umanitari?
La democrazia è la forma più imperfetta di governo, ma l'unica possibile. Chi ha detto questo?
Credo nella democrazia, ma non sono certa che tutti i popoli la vogliano a tutti i costi.
Alti costi per una democrazia fragile, pallido sembiante di quella sorta "dal basso", reale.
La democrazia valorizza tutti io componenti della società e rende loro giustizia.
Ma io penso all'Iraq e a quel fantoccio di finta democrazia imposto dall'alto, ai costi umani continui.
Gli attentati, i morti, le bombe, una storia e una cultura polverizzate e perse per sempre.
AlQaeda vive di queste vicende, vive meglio, pensa un po', dove si cerca democrazia a tutti i costi e a dispetto di tutto. A volte mi chiedo se, ovunque, in realtà, la democrazia sia una continua conquista, mai acquisita, mai ottenuta del tutto, sempre in pericolo, per tutti.
Quindi, dobbiamo bombardare la Siria sul serio?
Ciò è bene, è giusto, è doveroso?
Per questo non ho, ora, una risposta chiara, né razionale, né emotiva...
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