Inizia come un lieve dolore allo stomaco, impercettibile e vago. Il dolore, chissà come, parla con la mia mente, oppure è lei che chiama in aiuto il dolorino.
Un senso di stringimento allo stomaco mi invade non appena varco la soglia dell'azienda dopo pranzo. Fuori un sole delizioso mi sfiora le spalle mentre torno, e mi riporta alla mente il mio meraviglioso giorno di pace.
Ma io non sono in pace. Affatto. Sono combattuta tra il desiderio di andare a vedere e quello di seguire il corso della giornata, diversa, e di salirmene in ufficio, come sarebbe naturale che sia avendo pranzato fuori.
E però non lo faccio, entro, e immediatamente il dolore allo stomaco si rivela per quello che è.
Paura. Mi sento, improvvisamente, inopportuna. Come avessi scritto in faccia chiaramente per chi sono lì. Questo senso di inadeguatezza, mentre rimango lì impalata con il mio piumino nero, tutta vestita a lutto con 50 gradi.
Un po' mi vergogno, un po' mi intimorisco.
Per tutto il pomeriggio, mentre cerco disperatamente di dedicare l'intera mia mente al lavoro, che copioso mi assilla, schegge di dubbi come farfalle impazzite assalgono trasversalmente la mia mente. Studio gli atteggiamenti di questa persona e proprio non capisco perché non riesca a bucare quella specie di pellicola che c'è tra noi.
Questo disagio ha due spiegazioni.
Questa settimana mi sono impegnata. Mi sono anche sbottonata: ieri mi sono fermata a parlare più a lungo, lasciando che gli altri andassero via e cercando di dimostrare un interesse sincero per le sue vicende. Mi sono messa a parlare di me, chiedendomi, a posteriori, se non avessi parlato troppo, a qualcuno a cui magari non importa. Oggi, dopo essermi a lungo dibattuta, ho approfittato di una mail per avvisare che non ero a pranzo, specificando con chi sarei uscita e che magari sarei passata per un tè dopo.
Studio il comportamento di quest'uomo con altre persone. E, lo devo ammettere, è diverso. Più spigliato, più a suo agio, più tranquillo. Chiaramente non ha problemi a relazionarsi con le altre donne, anzi, sa di piacere e di non doversi sforzare molto per ottenere consensi.
Però con me è rigido, e mentre lo osservo con altre persone, mi intristisco.
Mi sento addosso tutti i difetti del mondo, in una volta sola.
Non so cosa fare, e soprattutto se ha senso fare qualcosa.
Mentre tiro a fine giornata, mentre cerco di anestetizzarmi in un libro il terrore mi coglie.
Ho paura, mi sento addosso un interesse che non è giustificato avere. Un pasticciato dolore presagisce quello che potrebbe accadere di fronte a un evento che considero quasi ovvio, come lo scoprire che sia altrimenti interessato.
Tutto questo dolore è assurdo: vista dal di fuori mi sento come un goffo elefante che cerca di accompagnarsi a un aggraziato felino. E la mia ironia si scioglie come neve al sole.
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