Eppure, una luce in fondo al tunnel ci deve essere.
Ho strisciato a carponi in mezzo a mucchi di spazzatura emotiva, schivato il lancio di una montagna di ciarpame intellettuale, scansato il risucchio della pochezza cosmica fatta di oggetti e trasmissioni vuote. E prima di trovarmi cieca e sorda alla mia mente e al mio cuore a testa in giù, immersa senza speranza nel nulla più bieco, che ha il sapore e l'odore della solitudine e dell'abbandono, nelle mie mani ho trovato un filo d'oro.
Ho sollevato la testa e davanti a me c'era un palcoscenico allestito in modo essenziale.
Sulla scena sia stava svolgendo una storia estremamente drammatica, ambientata della Germania nazista, dove degli studenti cercano di opporsi alla follia del regime in modo non violento.
Lo spiraglio di luce si apre sulla mia mente infeltrita e impolverata, abituata a rispondere a un ping pong di microcontenuti basilari, a produrre notiziole, invece che ad elaborare riflessioni.
In circa due ore si svolge il dramma dei ragazzi e in circa due ore si svolge la mia liberazione.
La mia mente si espande e comprende solo e soltanto l'opera, vive con lei, cresce con lei. Il mio cuore partecipa solo alla vicenda, si commuove, si immedesima, si scoglie.
Per un lungo periodo nessun altro pensiero killer subdolamente avvince la mia mente.
Sono tutta partecipe della vicenda.
Sono libera dai miei fantasmi.
Sono libera dal presente.
Esco leggera come una libellula.
Allora, placata finalmente, penso: è rimasto qualcosa. Dopo tutto questo stillicidio demolitivo, durato anni, è rimasto qualcosa.
Una frase diventa mia subito: - Le mie parole sono tutto quello che ho.-.
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