Ieri pomeriggio io e le mie occhiaie ci siamo trascinate al piano ammezzato, sostenute da quel briciolo residuo di spirito di sacrificio e attaccamento al lavoro dettato dal semplice fatto che tra due settimane dovremmo vivere una piccola rivoluzione nel nostro piccolo universo lavorativo: cambiare nome, logo, lay out, colori... anche ruolo, nella buona sostanza.
Michela, che stava seguendo il progetto, da tempo è malata. E ovviamente non si è minimamente preoccupata di condividere nulla, all'insegna del più grande menefreghismo. Noi viviamo nel limbo più completo, o meglio, vivevamo fino a ieri, quando Ale e io ci siamo premurate di iniziare il giro delle sette chiese per fare il punto della situazione.
Il che significa mettere le mani nel favo delle api, di norma, e portarsi a casa un sacco di grane.
Nel mentre i nostri colleghi macinavano le parti mancanti al completamento della nostra suprema rivista, niente meno che la responsabile del personale in persona calava sulle sue gambe fino ai nostri piani bassi, dall'empireo dell'ultimo piano.
Meta, il nostro ufficio. Un posto dove, in genere, non viene mai nessuno.
Entra, e saluta il nostro caro Danilo, tutto intento a cercare di concludere la giornata lavorativa. In un angolo della sua mente alberga un pensiero accattivante. Una serata di divertimento che lo aspetta, gente, novità. Un sottile senso di soddisfazione e rilassamento che precede l'inizio di un we promettente.
Lei entra e lo sventurato alza la testa. Lo chiama per parlargli un momento.
In pochi istanti, nella mente del nostro gran lavoratore inizia un carosello di speranze, un intero film che si svolge nella sua mente. Brillano stelle alte in cielo, il mio impegno è stato riconosciuto, le sirene dell'apprezzamento cantano alte portando carezzevoli novità future dritte dritte tra le braccia stanche del nostro eroe.
Danilo come Ulisse approdato dopo mille e mille ore in ufficio a sgobbare nell'empireo dei promossi.
Il mio impegno finalmente, dopo mille insulti, soprusi e cattiverie gratuite è riuscito nel miracolo: avrò un'etichetta tutta per me! Un aumento, un qualcosa...
Sfodera il suo miglior sorriso e le dice: - Angela andiamo pure nel tuo ufficio.-
E poi, capisce che qualcosa non va, di fronte a un secco e asciutto: - Va bene qui.-
E così, un venerdì di gennaio il nostro lavoratore n°1 si sente dire che fa troppi straordinari, dopo un prologhino striminzito di circostanza in cui gli si dice :- So che lavori molto -. con le stessa convinzione con cui in Italia si combatte la corruzione. Ma fai troppi straordinari, non si può, se viene un controllo dell'Inps io cosa gli dico, e quindi, da gennaio, da subito, devi tagliare.
Intanto arriva il panzone imperiale, preceduto dal suo ventre sfacciato e seguito dalle sue gambette volgari. E rincara la dose, mentre si becca con la suddetta. Morale, il nostro Stakanov deve organizzarsi meglio. E' ancora colpa sua, chissà che in ufficio non stia a riscaldarsi a lungo per risparmiare sulle spese di casa...
Ammaccato, umiliano, bastonato, ma indomito, invece di cedere ai più bassi istinti, il nostro torna in ufficio per terminare il lavoro, invece di sbattere la porta, iniziare ad accidentare e inveire ad alta voce, dare un calcio alla sedia, staccare il pc di botto e mandare a... chi di dovere prima di uscire e mollare tutto.
Morale: non è normale che la responsabile di un'azienda con 200 dipendenti ti abbordi in corridoio per dirti una cosa, così come sarebbe stato normale chiedersi e chiedere perché in un ufficio tante persone fanno tante ore così. E non è normale che il tuo capo, chiunque sia, ti sbeffeggi davanti alla suddetta. Non solo non è normale, ma è anche male.
Viene il dubbio che ci sia un po' di approssimazione nel ricoprire il proprio ruolo, quanto meno.
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