Vivo queste mie ultime ore di felice anonimato con ansia, scoramento e timore.
Dalla prossima settimana diventerò, assolutamente controvoglia, un volto pubblico.
La mia immagine verrà pubblicata sulla rivista, corredata dal mio nome e cognome.
Nessuno, e sottolineo nessuno, mi ha chiesto né un parere né un consenso.
Il progetto prevede anche il fatto di farmi rispondere al telefono direttamente ai soci, al call center.
Il tutto in aggiunta ai miei compiti, che nel tempo si sono notevolmente dilatati.
Non so ancora esattamente dove verrà messo il mio volto, in corrispondenza di quale rubrica. In realtà, nell'ipotesi in cui venga messo a introduzione dell'intera sezione obbligazioni, si tratterebbe o di un falso, dato che io mi occupo solo di una parte, oppure di un'ulteriore espansione della mia attività, non discussa, né meditata né quantomeno, comunicata.
In tutto questo l'azienda tace. Nessuno, apparentemente, si preoccupa di definire i confini di utilizzo della mia immagine, le modalità, e i tempi.Credo sia evidente l'impatto che, potenzialmente, questa scelta possa avere sulla mia privacy.
Stiamo parlando di denaro, non di arachidi, e il risultato potrebbe essere potenzialmente devastante, divenendo capro espiatorio di una serie di decisioni di cui non ho responsabilità.
Emblematico il caso greco: mi sono opposta con tutta me stessa, ma potrebbe ripetersi e il mio faccione a completare il consiglio.
Naturalmente i motivi di conflitto subiranno un'impennata. Vale di più un volto a fianco di un consiglio, o una dicitura microscopica a fine giornale in cui si dichiara una responsabilità?
Sono amareggiata: con tutto questo avrò ancora il contratto da grafico pubblicitario, dopo 8 anni di lavoro giornalistico di straforo. Che altro ci vuole: ho la foto, scrivo pubblico, un giornalista cos'è altrimenti?
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