Attrae la mia attenzione come un faro: si tratta di una macchia che, dal nulla, è comparsa sul mio viso. Dalla guancia sinistra, attira tutti gli sguardi.
La mia pelle pallida la mette in evidenza, e lei, apparsa lo scorso inverno sotto l'occhio, ha preso a espandersi gioiosa, scurendo nell'estate.
Io vedevo solo quella. L'ho fatta trattare con il laser in un periodo sbagliato e lei è peggiorata diventando color marroncino scuro.
Ho atteso lunghi, infiniti mesi. Quando l'inverno è inequivocabilmente arrivato, eccomi di nuovo in pole position per trattare la bruttarella sperando di cancellarla.
Mi reco in un posto di fiducia, il pieno centro, il tipico esempio di studio frequentato da vip, vippini, vippuzzi e... dalla mia amica Paola, che già in passato me lo aveva consigliato.
Ho sbagliato una volta, il mio povero volto ne porta i segni e l'ultimo dei miei desideri è quello di trasformarmi in un dalmata.
Non mi aspetto miracoli e so che sono seri.
A trattare la mia povera faccia è il gran capo in persona: il titolare di un'impresa milanese della bellezza, angiologo che ha pensato di gettarsi nell'estetica, nella lotta senza quartiere della cellulite. Un business di indubbio profitto, che lo mette a contatto con un infinito numero di brutte, bruttine, bruttarelle o convinte tali.
Deve essere bella questa posizione privilegiata che ti fornisce una platea femminile estremamente varia, ma colta in un momento di certa debolezza, di necessaria esposizione di sé.
Basti pensare a cosa comporta per l'italiana media il fatto di spogliarsi.
Mi aspettavo, quindi, un campionario delle consuete strategie di psicologia spicciola femminile applicate dal medico gigione. Mi è già successo e, non so perché (o meglio, certo che lo so, si sbagliano su di me, ecco) attraggo i medici come il miele con le mosche.
Questo secondo appuntamento è proseguito in modo assai strano.
Prima, attendendo il medico, mi sono trovata a parlare con l'infermiera novella, sviscerando tutto l'iter dell'assunzione, poi, al termine della "piacevolissima" seduta, mentre attendevo di scendere dal lettino (una pausa, non di corsa, prima che mi senta male) si è fermato anche il nostro dottore, che in passato (non è il primo trattamento che faccio, avevo già tolto un angioma anni fa), non si era mai fermato oltre il trattamento.
Stavolta assisto a una curiosa inversione di parti: io che ascolto e lui che parla di sé.
Riesce a raccontarmi del matrimonio andato male, della relazione con un'ex infermiera, della malattia che lo ha costretto a prendere un sacco di cortisone facendolo lievitare moltissimo, della dieta assurda a cui si è sottoposto a base di sola carne (un sacco di carne) che lo ha fatto dimagrire moltissimo. Mi parla dei figli, e torna sempre su questa folle dieta simil Dukan. Infine mi sprona a proseguire nella dieta, che ho mollato sotto l'impulso di grandi problemi, e cerca di convincermi a seguire un regime alimentare come il suo. Mi interroga sulle mie preferenze alimentari, mi chiede un sacco di cose. Mi racconta pure dove va a mangiare.
Alla fine, quando tutte le parole sono state spese (e qualcuna pure in avanzo) va a fumarsi l'ennesima sigaretta. Ma non senza avermi detto: - Devi insistere. Sei così una bella ragazza, con degli occhi davvero splendidi, forza.-.
Sono rimasta senza parole.
Mancanza di idee aggravata dal fatto che me lo sia trovata poi al momento del pagamento, mentre discuteva sull'organizzazione del trasloco prossimo venturo. Un controllo alla fattura (due volte hanno chiesto conferma del costo) e una battuta sulla disponibilità ad aiutare nel famigerato trasloco.
Sono uscita accompagnata da una strana sensazione.
Ma, cosa scatta in una persona al punto da eleggere come punto di arrivo e centro del proprio mondo il fatto di... non mangiare ed essere magro?
Lo vedo anche io l'aspetto estetico, che divora ogni cosa in questa nostra società, privilegia la confezione snella. Ma in fondo ho qualche kg in più non sono una balena.
Un problema di mezza età? Di uomo con seconda relazione con giovanissima?
Che cerca di tenersi al passo?
Forse è da compiangere, in competizione non tanto con i più giovani, ma con se stesso, con quello che è stato un tempo. E non c'è denaro sufficiente per placare il timore della perdita.