sabato 30 novembre 2013

Mezza età?

Attrae la mia attenzione come un faro: si tratta di una macchia che, dal nulla, è comparsa sul mio viso. Dalla guancia sinistra, attira tutti gli sguardi.
La mia pelle pallida la mette in evidenza, e lei, apparsa lo scorso inverno sotto l'occhio, ha preso a espandersi gioiosa, scurendo nell'estate.
 
Io vedevo solo quella. L'ho fatta trattare con il laser in un periodo sbagliato e lei è peggiorata diventando color marroncino scuro.
Ho atteso lunghi, infiniti mesi. Quando l'inverno è inequivocabilmente arrivato, eccomi di nuovo in pole position per trattare la bruttarella sperando di cancellarla.
 
Mi reco in un posto di fiducia, il pieno centro, il tipico esempio di studio frequentato da vip, vippini, vippuzzi e... dalla mia amica Paola, che già in passato me lo aveva consigliato.
 
Ho sbagliato una volta, il mio povero volto ne porta i segni e l'ultimo dei miei desideri è quello di trasformarmi in un dalmata.
 
Non mi aspetto miracoli e so che sono seri.
A trattare la mia povera faccia è il gran capo in persona: il titolare di un'impresa milanese della bellezza, angiologo che ha pensato di gettarsi nell'estetica, nella lotta senza quartiere della cellulite. Un business di indubbio profitto, che lo mette a contatto con un infinito numero di brutte, bruttine, bruttarelle o convinte tali.
 
Deve essere bella questa posizione privilegiata che ti fornisce una platea femminile estremamente varia, ma colta in un momento di certa debolezza, di necessaria esposizione di sé.
Basti pensare a cosa comporta per l'italiana media il fatto di spogliarsi.
 
Mi aspettavo, quindi, un campionario delle consuete strategie di psicologia spicciola femminile applicate dal medico gigione. Mi è già successo e, non so perché (o meglio, certo che lo so, si sbagliano su di me, ecco) attraggo i medici come il miele con le mosche.
 
Questo secondo appuntamento è proseguito in modo assai strano.
Prima, attendendo il medico, mi sono trovata a parlare con l'infermiera novella, sviscerando tutto l'iter dell'assunzione, poi, al termine della "piacevolissima" seduta, mentre attendevo di scendere dal lettino (una pausa, non di corsa, prima che mi senta male) si è fermato anche il nostro dottore, che in passato (non è il primo trattamento che faccio, avevo già tolto un angioma anni fa), non si era mai fermato oltre il trattamento.
 
Stavolta assisto a una curiosa inversione di parti: io che ascolto e lui che parla di sé.
Riesce a raccontarmi del matrimonio andato male, della relazione con un'ex infermiera, della malattia che lo ha costretto a prendere un sacco di cortisone facendolo lievitare moltissimo, della dieta assurda a cui si è sottoposto a base di sola carne (un sacco di carne) che lo ha fatto dimagrire moltissimo. Mi parla dei figli, e torna sempre su questa folle dieta simil Dukan. Infine mi sprona a proseguire nella dieta, che ho mollato sotto l'impulso di grandi problemi, e cerca di convincermi a seguire un regime alimentare come il suo. Mi interroga sulle mie preferenze alimentari, mi chiede un sacco di cose. Mi racconta pure dove va a mangiare.
 
Alla fine, quando tutte le parole sono state spese (e qualcuna pure in avanzo) va a fumarsi l'ennesima sigaretta. Ma non senza avermi detto: - Devi insistere. Sei così una bella ragazza, con degli occhi davvero splendidi, forza.-.
 
Sono rimasta senza parole.
Mancanza di idee aggravata dal fatto che me lo sia trovata poi al momento del pagamento, mentre discuteva sull'organizzazione del trasloco prossimo venturo. Un controllo alla fattura (due volte hanno chiesto conferma del costo) e una battuta sulla disponibilità ad aiutare nel famigerato trasloco.
 
Sono uscita accompagnata da una strana sensazione.
Ma, cosa scatta in una persona al punto da eleggere come punto di arrivo e centro del proprio mondo il fatto di... non mangiare ed essere magro?
 
Lo vedo anche io l'aspetto estetico, che divora ogni cosa in questa nostra società, privilegia la confezione snella. Ma in fondo ho qualche kg in più non sono una balena.
 
Un problema di mezza età? Di uomo con seconda relazione con giovanissima?
Che cerca di tenersi al passo?
 
Forse è da compiangere, in competizione non tanto con i più giovani, ma con se stesso, con quello che è stato un tempo. E non c'è denaro sufficiente per placare il timore della perdita.
 
 
 
 
 
 

Silvio, addio (speriamo sia definitivo)

In questo periodo di importanti e pesanti riflessioni, a lungo mi sono interrogata sull'esito della votazione della scorsa settimana, e sulla tanto attesa fine (ammesso e sperato che possa considerarsi tale) del "nostro" ventennio.
 
Vent'anni in cui il nostro Paese e noi, quella generazione che io considero sacrificata, come le successive, sull'indecente preferenza per il tornaconto immediato.
Non che le generazioni politiche immediatamente precedenti abbiano fatto diversamente....
 
La differenza sta nel fatto che noi siamo cresciuti sotto Silvio, e, ancor di più, immersi in questa strana società fantoccio per gli anni più importanti della nostra formazione. Siamo cresciuti nel Paese della tv di Silvio. Tante volte, io, nata nella democrazia (quella che c'era finché non hanno cambiato il sistema di votazione) guardavo i miei nonni e mi chiedevo: - ma come hanno fatto a vivere a resistere vent'anni sotto il Fascismo? - .
 
E ora mi chiedo, con la curiosità e lo stupore della ragazzina, ma noi, come abbiamo potuto tollerare, accettare, stare a guardare, e più che noi i nostri genitori, la distruzione sistematica di un Paese, di un'economia e, soprattutto, della sua dignità?
 
Mi guardo indietro e mi chiedo, così impaurita da essere esterrefatta: - Cosa ne è dell'Italia? -.
Non ho ricordi nitidi, sono giovane per poterli avere, ma ho impressioni, di un mondo italiano pieno di persone con delle speranze per il proprio futuro, con la certezza che a un certo comportamento, impegno, lavoro, corrispondesse un determinato risultato.
La speranza che per i figli, che avrebbero studiato, la vita sarebbe stata migliore che per i padri.
Che i figli non avrebbero dovuto scappare dall'Italia per sopravvivere.
 
E ora sono senza fiato nel contemplare le macerie fisiche, morali e spirituali dell'Italia.
Qualcuno le vede?
 
Qualcuno ha fatto qualcosa contro questo?
 
E infine, alla sinistra interessano sempre e solo le minuzie isteriche delle loro faccende interne invece che lavorare per ricostruire.
 
Vent'anni che hanno bruciato speranze, valori, senso etico, conoscenze, patrimonio industriale... in nome del vantaggio di uno solo. E della sua cricca. Come liberarcene?
Come toglierli non solo dal Parlamento ma anche dai gangli vitali di questa società infettata dalla mafia e dalla corruzione?
 
E infine, nonostante timidi segnali di sovversione culturale passiva avanzino contro l'illusione permanente del Grande Pagliaccio, a qualcuno importa sul serio?
Interessa?
 
Abbiamo vissuto il nostro ennesimo ventennio italiano di perdizione: vogliamo accettarlo e... ricominciare?
 
 

martedì 26 novembre 2013

Pale al vento

Una premessa, è tutto vero....

Sonnecchiamo stremati durante la solita riunione settimanale di redazione.
Ciccio è particolarmente esagitato, probabilmente il diamonique da 19 euro era esaurito e gli toccherà spenderne almeno 5 in più e questi sono i risultati. Ore e ore di vaneggiamenti.

Da circa due ore mi sta affliggendo con la sua presenza ravvicinata oltre ogni limite, avendo incollato la sua sedia alla mia e avendo invaso con i suoi molteplici cellulari e cartacce la mia scrivania ordinatissima. Mentre sto mettendo in agenda, mentalmente, per la prossima settimana, la costruzione di una muraglia cinese di cartacce per difendermi e progettando un sistema di reminder incrociati per ricordarmi di usare un profumo pessimo e scaduto invece dell'accattivante Chloè per tentare di tenerlo a debita distanza, se ne esce con al cavolata del millennio.

E pure noi che lo conosciamo da tanto tempo rimaniamo sconvolti. Ci guardiamo attoniti. Inchiodati alle rispettive sedie che sembrano abbassarsi sotto il peso della Grande Idiozia.

- Ecco, dice battendosi la manotta cicciotta sull'enorme pancia e facendola rimbombare, ecco la mia idea per lo sviluppo aziendale! La scorsa settimana ve l'ho chiesto, e voi me lo avete tenuto nascosto quando ve l'ho accennato. Ma io me lo sono ricordato. L'eolico! Questa è la soluzione.
Creiamo un bel gruppo di acquisto. Consumatori per l'eolico. Facciamo una bella convenzione e installiamo delle belle pale eoliche sul tetto, no - e mi guarda - quanto pesa una pala eolica? No in cortile, meglio, troppo pesanti-.

Ho visto lo sguardo di tutti diventare improvvisamente acquoso e le mascelle cadere.
Sette volti con la bocca idiotamente semiaperta stanno immaginando contemporaneamente le palone che girano nel cortile, sollevano una tempesta da Giudizio universale e fanno decollare tutta l'azienda.
Un gruppo di acquisto.. Comprati un pezzo di pala eolica, da noi la migliore.
 
Perché il marketing ha le sue leggi che voi non capite, no, la gente non compra la cosa migliore, basta che gliela pubblicizzi e loro la comprano...
 
Mille argomenti vengono spesi da noi, esperti di tutto e chiamati anche a parlare di pale eoliche al consumatore fiducioso, per arginare il futuro cataclisma "pala eolica": il blocco degli incentivi statali probabile, i costi legati a permessi e impianti, le concessioni, la complessità dei calcoli per determinare il "miglior offerente"...
- Eh, ma se abbiamo le tariffe dell'energia avremo anche qualcosa per fare il calcolo sulle pale eoliche.-.
 
Mi sembra di essere sbarcata su Marte, o meglio, che Marte (il Pianeta, non il fascinoso eroe mitico) si sia pesantemente e rumorosamente stravaccato sulla mia scrivania per più di  un'ora, in orario abbondantemente prandiale, e mi abbia fatto cercare su internet aziende e pale, tante pale, minipale, maxi pale, multipale... la costruzione delle pale, i costi, le rese...
Il tutto lanciando grandezze a casaccio. Piovevano sul mio capo chino e sui miei occhi vitrei (calo glicemico) megahertz, kilowatt, volt, il tutto a cavolo completo.

Poi per fortuna Blondie ha mandato un messaggio su uno dei mille cellulari di Ciccioman e mi ha salvata.

Il grande Ciccio si alza, lasciandomi finalmente respirare.
Io pensavo di averne sentite di stranezze, ma questa, signori e signore, la supera tutte.
 
E non è finita qui. Nel pomeriggio compare da noi il terribile "amico" di un uomo senza amici. In sintesi, uno sfigatone che tira a campare vendendo boiate colossali al nostro Ciccetto, che, giustamente, lo paga come consulente. Il risultato è che ci crea un sacco di problemi con le sue trovate al limite del surreale.
 
A lui, viene annunciato, sarà appaltata la grana dello sviluppo aziendale. Cioè, lui, un esterno credibile come Topo Gigio che vince il Nobel per la Fisica, che si occupa di farsi venire le idee per il nostro sviluppo aziendale?
 
In agenda per la prossima riunione, metti il "progetto eolico".
 
Spero mi venga l'influenza..... Ho sette giorni di tempo...
 
 


lunedì 25 novembre 2013

Il ritorno del Grande Ciccio

Natale si avvicina e il Grande Ciccio si lambicca sul regalo da fare alla sua rinnovata bella.
Da gran signore qual è vuole fare una bella figura, mostrarsi magnificente in ogni suo gesto.
Insomma, surclassare il possibile avversario a suon di regali splendidi.
 
Altrimenti, ha sempre quel problema cronico di denaro, che si concretizza con i pantaloni "pezzati" che lo inchioda a una vita di regalucci miserrimi.
 
La soluzione gli viene, quasi per caso, da me.
Vado da lui per parlargli di uno spinoso problema di convenzioni, legato al rialzo infido dei tassi da parte di una banca rivale malefica giusto appunto una settimana prima del lancio della nostra iniziativa. E utilizzo un paragone inusuale per spiegarglielo, non possiamo promettere un diamante e offrire un diamonique.
 
Si ferma, l'unico neurone presente nella sua testa si sveglia di colpo e pare fissarmi  inebetito e allarmato. Mi chiede: ma cusa l'è un diamonique?
 
Quando gli dico che è la migliore imitazione del diamante, che la vendono su Qvc a un prezzo modesto, che sono fatti bene e che, se comprati di piccole dimensioni possono passare per un vero diamante è andato in estasi. Gli occhietti hanno iniziato a brillare, la bocca a sorridere come sotto l'effetto di una paresi, le mani si sono messe a battere sul pancione sognanti. Il neurone si è svegliato e mi è quasi sembrato di vederlo leccarsi concentrato la bocca e darsi una grattatina al capo.
 
Fammi vedere un po'? Come si scrive? No, non lo trovo...
Eccolo....
Dopo una ricerca frenetica, sullo schermo appaiono le immagini dei diamonique. Gli anelli che consolano ogni donna.... insomma. E che salvano le sue tasche...
 
E si è messo a contemplare estaticamente le foto, sembrava un bambino in un negozio di caramelle... Felice... Ha guardato i prezzi, il sito... e per lui l'ascolto era finito.
 
Ma tu ce l'hai? Quale, ah quello.
Mettilo lunedì che così lo vedo...
 
Finto diamond is in the air, insomma.
 
Da lì, la sua testolina è finita sopra una nuvoletta a forma di diamonique e buonanotte.
Ho avuto la certezza che non avesse più ascoltato nulla di quanto di serio gli avessi detto nel pomeriggio, quando la faccenda della convenzione è tornata in auge e lui non si ricordava neppure più quale banca avesse alzato i tassi...  
 
Stamattina, conscia del fatto che è più importante portargli da vedere il diamonique che non aggiornare le banche dati, mi metto il mio bell'anellozzo.
Arriva (non prima delle undici) e nel salutarlo gli porgo la mano. Gli dico: - Eccolo qui.-.
E lui mi fa: - Ci stavo pensando proprio ieri sera.-.
Che, tarato sulle balle di cui costantemente ci omaggia, sa tanto di verità.
 
Mi tolgo l'anello e glielo porgo. Lo guarda bene, alla luce naturale e artificiale.
Me lo fa rimettere e lo ammira indossato. Mi pare soddisfatto e stupito. Da buona imbonitrice gli faccio notare che è rifinito bene e che, se acquistato con la pietra di piccole dimensioni, può tranquillamente passare per vero.
 
Ci scommetto che ha passato il pomeriggio scandagliare il sito per cercare un diamonique da proporre alla bella in una falsa scatola di gioielleria.
Lo sapremo solo... dopo Natale quando faremo la posta ai due alla macchinetta del caffè perché per me... diamonique ci cova!
 
 

sabato 23 novembre 2013

Lo scrittore

Eccolo lì, davanti a me, un scrittore vero.
Uno che, per vivere, scrive e insegna a scrivere.
Nella sala "convegni" di una biblioteca di provincia profonda, davanti a un pubblico vario, arriva lui, lo scrittore appunto.
 
Finché non è entrato proprio non mi ero mai posta la domanda: ma com'è uno scrittore?
 
Questo scrittore, perché di questo si tratta, non è il tipico topo da biblioteca, non è il solito vecchio barbogio, non è il classico accademico paludato e neppure il patinato scrivano da casa editrice di moda.
 
Insomma, non è un sacco di cose, tra cui, non è freddoloso: sta in maniche di camicia rimboccate mentre alcuni dei partecipanti hanno indosso il cappotto.
 
Però è un bel ragazzo giovane, di quelli, penso, che non sfigurerebbero in una serata in uno dei locali della zona. Insomma, starebbe al suo posto anche in discoteca. Pensa, invece della solita nullità condita e leccata, vado a mangiarmi una pizza o a bermi un gin tonic, e mi trovo lo scrittore.
Ma che bella trovata. E può pure essere un tipo tatuato, pensa un po'.
 
Non me ne accorgo solo io. Anche la giornalista della Lomellina se ne accorge e, dopo aver scattato una serie di foto principalmente a lui, lo acchiappa subito. Di solito (lego i suoi articoli) scrive delle rielaborazioni riassunte di quanto le è stato detto a priori.
Ma stavolta non lo molla, si avvicina a distanza sospetta per una non conoscenza.
Modula la voce, si presenta.
Inclina il capo, appoggiando pensosa il volto alla mano artisticamente disposta.
Articola una domanda intelligente (nei limiti): lo scopo del corso.
Chiede poi, esibendo lo sguardo più acuto che possiede e dondolando la borsa che ruolo avranno le letture nel corso (un corso di lettura e scrittura critica, tengo a precisare....).
Ma il laboratorio deve iniziare e certo lei si sta pentendo di non aver cercato di parteciparvi come giornalista, dato l'insolito sviluppo, e anche di non essersi meglio vestita.
 
Superata l'iniziale perplessità mista a delusione quando si trova davanti a una platea di studenti delle superiori che hanno tutta l'aria di essere stati portati lì a forza, e una serie di carampane a cui interessa "tutto" e tutto allo stesso modo, parte con quella che non è una spiegazione, ma un iter veloce su un metodo di lavorare. 
Scrivere è un'arte e un mestiere, e si impara con fatica.
Il lavoro sul segno, sulla forma, sulla struttura e, la cosa più importante per chi scrive, su quello che non è indispensabile e va tolto dallo scritto è stato fatto con armonia, organizzazione, direi anche passione.
Scrivere è in gran parte decidere cosa eliminare.
 
Gli spunti letterari mi hanno intrigata, interessata e anche un po' commossa.
Il racconto breve della figlia orfana di  madre che si aspetta di vederla sula soglia mi ricorda tanto quella porta che mio padre non ha mai più aperto e da cui abbiamo tenuto la chiave sfilata per anni.
 
Mi proponi Calvino e mi fai leggere una delle mie poesie preferite.
Mi diverto a vedere le istituzioni della cultura all'opera, imbevute di sacrosanto spirito scolastico.
Il tempo vola, terminiamo in letizia.
 
Ecco, mi sento bene in questo momento.
Io che apprezzo la preparazione, la serietà, il buon eloquio e anche una certa modestia sono stata molto contenta di constatare che esiste ancora e non solo sulla carta.
Quindi mi sento sollevata.
Come avessi preso una boccata di ossigeno, oltre al tè e al bagno caldo.
 
 
 
 
 

venerdì 22 novembre 2013

La regina d'Inghilterra

L'effetto che fa, alla lunga, lavorare in un posto informale all'eccesso è visibile addosso alla "regina d'Inghilterra", una collega così soprannominata per l'alterigia del suo ingresso in azienda.

Glaciale, senza salutare nessuno, l'esemplificazione vivente del "lei" a tutti i costi, sembrava un manichino di H&M (diciamo che ognuno è regale come può) ha vissuto i primi mesi da noi sfilando per i corridoi con la stessa aria incavolata che hanno le modelle sui giornali.

Di cui per altro copiava lo stile, in tutto e per tutto, capelli, trucco... muso lungo....

Aveva fatto girare la voce che lei fosse reduce da un'azienda formale in cui non si usa, il tu, salutare, frequentare, e... vestirsi male.
 
Sono passati circa 6 mesi.
Incontro la nostra donna ieri al distributore dell'acqua.
 
In poche settimane abbiamo: preso 10 kg, mollato un pochino la frequenza della tinta dal parrucchiere (è riscrescita non shatush), e perso per strada tutti gli ensemble metto una volta e poi mai più di prima così british style.
 
Ieri eravamo con jeans anonimi, poncho di dubbia provenienza, e stivali dell'anno scorso.
Oggi eravamo, maglioncino horror nocciola con finto pelo coniglio,  jeans anonimi e stivali dell'anno scorso (quelli di ieri! oddio, fa come me).

Quello che non è sparito è il broncio, sempre sottolineato in rosso moda, ma, a quanto pare si trucca ora in metro....

Coma la vera Regina diminuisce le sue pretese, quella attuale le riadatta: con una bella borsa Burberry... finta!

Meditate gente, meditate.

Molto interessante articolo da La voce.info

Eccovi il prezzo pagato dalla crisi della generazione X (o y o z...).
La nostra.

http://www.lavoce.info/chi-paga-la-crisi-30-40-anni/

giovedì 21 novembre 2013

Imitation of life - Rem

Charades, pop skill
Water hyacinth, named by a poet
Imitation of life.
Like a koi in a frozen pond.
Like a goldfish in a bowl.
I don't want to hear you cry.

Thats sugarcane that tasted good.
Thats cinnamon, thats Hollywood.
C'mon, c'mon no one can see you try.

You want the greatest thing
The greatest thing since bread came sliced.
You've got it all, you've got it sized.
Like a Friday fashion show teenager
Freezing in the corner
Trying to look like you don't try.

Thats sugarcane that tasted good.
Thats cinnamon, thats Hollywood.
C'mon, c'mon no one can see you try.

No one can see you cry.

That sugar cane that tasted good.
That freezing rain, that's what you could.
C'mon, c'mon on no one can see you cry.

This sugarcane
This lemonade
This hurricane, I'm not afraid.
C'mon, c'mon no one can see you cry.

This lightning storm
This tidal wave
This avalanche, I'm not afraid.
C'mon, c'mon no one can see me cry.

That sugar cane that tasted good.
That's who you are, that's what you could.
C'mon, c'mon on no one can see you cry.

That sugar cane that tasted good.
That's who you are, that's what you could.
C'mon, c'mon on no one can see you cry

Corto circuito

Oggi è una serata ventosa e strana, temporalesca e dominata da un vento gelido che si infila nelle pieghe dei vestiti, nel collo, tra i capelli. Rabbrividisco nel mio cappottino leggero che è già ora di cambiare.
 
E' buio pesto e c'è un'aria di attesa, come dovesse nevicare da un momento all'altro.
Mi dirigo a casa, in cui entro al buio.
Blindato in cantina trovo il Teodoro, chiusa un porta, chiusa l'altra.
Il motivo è facile da dire: c'è in casa l'elettricista per l'impianto di allarme.
Dopo una pausa infinita me lo trovo in casa, ultima di una serie di mille priorità.
Appunto, la millesima.
 
Sono le sette e un quarto. Sono fuori casa da più di 12 ore.
Devo aspettare che termini il lavoro per potermi fare una doccia calda.
Intanto riesco anche a fargli un caffè.
 
Finalmente guadagno il bagno.
Termino con una bella passata di aspirapolvere, e poi la cena.
 
Non sono ancora seduta a tavola che vengo investita da una serie di "compiti".
Il primo raviolo rimane sospeso per aria. "Hai scritto all'avvocato?". "Devo comprare le catene, non posso più circolare, e dove vado e come faccio...". " E domani sera come facciamo..." mentre mi si prospetta un'anticamera di quasi due ore...
Infine ora, "mancano i cerotti, io domani non posso uscire".
 
Inizio quindi la mia seconda giornata lavorativa, qui al pc a cercare 'ste cavolo di catene, a scrivere a 'sto cavolo di avvocato e che altro...
 
Sono stanca morta, mi sembra di avere un cuore di latta in questo momento, attraversato dagli spifferi, così come mi pare di stare in mezzo agli spifferi manco fossi nella prigione del castello di Fenis.
 
Altro che valeriana, mi serve un valium.
 
I can't stand it anymore.


Un vestito troppo stretto

Gelosia, insicurezza o senso di soffocamento?
 
Cosa si nasconde davvero dentro questo mio malessere costante, che a volte resta silente per tanto tempo e poi si ripresenta implacabile?
 
Sono solo insicura e impaurita da una vita eternamente passata in difesa, oppure è una questione più complessa da affrontare?
 
Tante domande si affollano nella mia mente e certamente non c'è solo una risposta possibile.
 
Innanzitutto, partiamo dal carattere.
So di essere competitiva, per certi versi bisognosa di vincere, a tutti i costi.
Vincere, vincere, vincere senza ombra di dubbio.
Ogni volta in cui la mia mente percepisce l'ipotesi di una competizione scatta un meccanismo in me per cui io devo vincere, n'importe quoi.
 
Vincere non solo per avere conferme.
Vincere per il gusto della vittoria.
 
E poi, in fondo in fondo, molto in fondo, sono estremamente aggressiva, di un'aggressività da difesa, propria del felino all'angolo, che si trasforma di una belva.
Da sempre mi sono dovuta difendere e ho maturato quest'aggressività da strada che si mischia con la paura e la solitudine. Un mix tutt'altro che rassicurante e che traspare poco.
 
Per cui, ogni chiamiamola "minaccia" al mio orticello scatena la belva.
Insomma, Mister Hyde, il "secondo pesce", io lo chiamo così, quello che tengo nell'acquario in cantina, per capirci, prende l'ascensore e viene alla luce.
 
E poi c'è questa noia, questo fastidio, questo senso di soffocamento per la mia vita quotidiana.
 
Mi senti imprigionata in una routine che fatico a sostenere.
Detesto la vita d'ufficio, detesto vedere sempre le stesse persone, detesto anche tutto questo silenzio.
Ho cercato in tutti i modi una via d'uscita ragionevole per mantenermi e non essere "murata viva" in un posto squallido... e non mi è riuscito.
 
Non è solo questione di girare fisicamente, è anche la sensazione di progredire intellettualmente, di aumentare conoscenze, riuscite, vittorie (appunto), posizione lavorativa, competenze. Desidero, inutile nasconderlo, migliorare. E qui non lo posso fare, mi sento bloccata a tradimento in questa situazione anomala, un po' vittima dei tempi e un po' della contingenza familiare, come fosse un'anticipazione della morte.
 
Ok, scrivo, adesso scatto qualsiasi cosa, ma...
Mi sento come una che ha una taglia intellettual/emotiva XL, costretta in una vita S tendente talvolta all'XS. Mi manca il respiro, come tutti quelli che amano riuscire, anche solo per il gusto di farlo, e si trovano incastrati in una vita squallida, tutto sommato.
 
Sognare per evadere?
Bello, peccato che i miei sogni siano, ultimamente, degli incubi, in cui sogno di allestire processi sommari.
 
 
 
 

mercoledì 20 novembre 2013

Notte portami la pace

Notte, questa notte, portami la pace.
 
Distendi la tua mano pietosa sopra il mio capo stanco, chiudimi gli occhi, copri il mio volto turbato, sciogli le pene del mio animo sofferente.
 
Notte fammi dimenticare, portami via, rassicurami con un sonno di piombo.
 
Notte prega per me e per tutti i tuoi figli smarriti e incerti, infondi loro speranza, accoglili tutti, stanotte nel caldo abbraccio dell'oblio.
 
Fammi riposare, come dopo aver camminato troppo, come quando la testa è vuota, leggera, come dopo la fine del temporale.
 
Dammi il sollievo del nulla, facci dormire, ora, adesso, con gli affetti a brandelli e il cuore dissanguato.
 
Vienimi incontro, senza giudizio, senza consiglio, solo con l'amore di chi tutto comprende.
 
Notte, perdonaci, infine, per aver troppo cercato e troppo preteso.
Facci dimenticare, noi, loro, tutto. Almeno per una manciata di ore.
 
Notte, portami la vita, ancora una volta. Nei tuoi occhi vedo la fortuna, la pace, il sogno.
Buonanotte, o mia dolce notte pietosa.
 
 

Pelle disgraziata

Vi "cedo" i consigli di una mia collega che si occupa di cosmetici e che gestisce la nostra banca dati cosmetici critica.

Queste sono le sostanze che dovete assolutamente evitare se avete uan pelle disgraziata come la mia, piena di imperfezioni e straordinariamente delicata.

Controllate le etichette! E occhio ai parabeni.
E' vero che regalano un aspetto liscio e "imbalsamato" ma non fanno respirare la pelle.


Leggi la lista degli ingredienti (INCI) ed evita:
 
paraffinum liquidum
mineal oil
cyclopentasiloxane
dimethicone
parabeni vari (soprattutto butylparaben e propylparaben)
 
Buona lettura.

A grande richiesta... Italiano - Minions ;-)

ITALIANO - MINIONS
Ciao: Bello
Arrivederci: Poopaye!
Grazie: Tank Yu
Ho fame: Me want banana
Brutto: Bananonina!
Speriamo: Underwear
Al fuoco: Bee Do Bee Do Bee Do
Ti vogliamo bene: Tulaliloo ti amo!
Ti odiamo: Tatata bala tu!
Giocattolo: Baboi
Cosa: Po ka
Mela: Bable
Gelato: Gelato
Culo: Butt
Uno: Hana
Due: Dul
Tre: Sae
Per te: Para tu
Sedia: Chasy

I minions mi fanno impazzire.....


martedì 19 novembre 2013

Il gene malato della fotografia

E, complice la moderna tecnologia, mi si è risvegliato il mostro della malattia fotografica.
Me lo ha attaccato mio papà, insieme alla passione per l'astronomia e a una serie di altre cose (buona cucina, vino, pittura, disegno, passione per il bricolage, una somma disgrazia per le questioni sentimentali).
 
Erano gli anni '80 e, pezzettino per pezzettino, papà si è costruito una bella attrezzatura fotografica.
Soggetto numero uno da immortalare: io, ancora bambina e carina, con la bellezza dell'asino.
Abbiamo cominciato a far foto ovunque, per lo più in campagna.
Diciamo che mio papà non aveva paura di farmi provare e non temeva che sfasciassi qualcosa, con quella pazienza enorme (che ho ereditato) che faceva sì che mi insegnasse a usare anche il grandangolo (che in mano a una bambina di 5 anni era una bella scommessa).
Mi viene da ridere quando ci penso, ero alta come il cavalletto :-)
 
Per tanto tempo ho avuto perfino paura a toccarla la borsa, pur avendo sconfitto il desiderio di mia mamma di liberarsi di tutto - so essere molto persuasiva quando voglio.
 
Poi ho cominciato, goffamente, a fare foto durante i viaggi, come la bella addormentata a cui hanno dato la sveglia.
 
E ora... ora mi sono fatta Instagram! Su quel cellulare della mutua che mi ritrovo ho installato la magica applicazione che ti permette di condividere le foto con altri.
Tante foto... troppe forse.
Che divertimento con quegli effettini magici (ce ne fosse uno anche per me...) perfino le immagini più sciape acquistano spessore.
 
E così, continuo a fare foto. A pensare alle foto, alle immagini, a... scattare.
Scatta all'entrata in ufficio, scatta fuori, scatta sul passaggio pedonale (a momenti mi stirano) scatta per aria, scatta in basso... sono un click vivente!
 
E intanto, da impiegata nella comunicazione, mi diletto a informarmi.
Allora, tra le dieci cose più noiose ci sono le foto di gatti.
Augusti esperti di nuove tecnologie mettono al secondo posto tra le immagini più barbose i gatti.
Tengo a precisare che i cani non compaiono. E qui vorrei capire, gatti sì e cani no?
E perché?
E stanno pure prima in classifica dei piedi e delle prove di manicure. Ma si può?
 
Beh, la seconda cosa che ho piazzato bel bello è il Teo. Che dorme, altrimenti col cavolo che gli fai una foto.
 
E poi le foto dei piatti e le foto di se stessi allo specchio.
Ora, mi sono data una regola: oggetti, paesaggi e animali.
Non esseri umani (da quando mi occupo di privacy sono diventata maniacale, ho perfino badato che non si vedesse la targa di un'auto prima di mettere la foto del traffico milanese in un giorno di pioggia).
 
Poi c'è un sacco di gente che mette le proprie immagini in lingerie.
E anche se Pietro insiste da due giorni che tra i tanti corsi del cavolo faccia un bel training di burlesque, ecco, un mio prosciutto online non lo metterei.
Oltretutto, vorrei esprimere me stessa e non far vedere tutti i miei difetti.
Perché purtroppo quello che uno si immagina a volte... è vero!
 
Insomma, lo scatto selvaggio mi ha conquistata.
E mi accorgo che il bello è il fatto di vedere le cose in modo diverso.
Di guardare oggetti, situazioni, cose in modo diverso.
E' un po' come fermare l'attimo, quello è.
Perché a me piacciono molto le immagini, anzi, amo la pittura, ma sono pigra, per dipingere ci vuole tanto tempo, quello che non ho più...
E quindi, conscia della velocità della mia epoca (eh già i Futuristi roba recente...) scatto e riscatto e... posto....
 
Provo, riprovo....
Tra un po' vi metterò anche le fermate del tram.
 
E questo ho scoperto in questi giorni: che anche lo scorcio apparentemente più banale e squallido ha una sua dignità una volta immortalato.
 
E in queste immagini, voglio sperare, ci siano un po' gli occhi la mente e il cuore di chi guarda.
Cioè io.
 
P.S.: val la pena sapere che l'immagine più apprezzata fino a ora è la foto di un'etichetta di Chianti.
Per dire....
 
 

Italia straindebitata? Dipende dal metro di misura

Da un interessante articolo del Sole di oggi.

Per carità noi artisti...

Vi avevo scritto che ero curiosissima di assistere allo spettacolo teatrale di cui sotto per capire meglio la psicologia del soggetto.
Mi piace, non mi piace....
Non so, questa persona che non afferro appieno, questa donna che non si capisce se svagata o meno, se disorganizzata o furbastra in grado di farsi pagare per del fumo inesistente.
 
Dello spettacolo vi ho scritto in un altro post, adesso vi parlo del "dopo" spettacolo.
Gloria voleva a tutti i costi fermarsi a salutarla, da quella persona solare ed educata che è.
 
Siamo sedute in ordine sparso in sala, attendiamo un momento finché non ci fanno alzare per smontare la sala. La nostra scende dall'alto da cui dirige lo spettacolo e viene circondata da parenti, amici, e da  un'umanità varia tra cui spiccano bambini, studenti di varie specie di arti figurative, e alcuni esemplari di alternativi creativi che per forza debbono essere vestiti male, bardati in lana cotta, maglioni a trama larga e scarpe da papera con gonne pendenti per sentirsi parte del gruppo.
 
Aspettiamo mentre sfilano a omaggiare la nostra donna, che, inequivocabilmente, ci ha visto.
Indugia raccogliendo complimenti, anche lei vestita in tono con l'ambiente creativo, manifestando l'inequivocabile volontà di amalgamarsi al mood corrente.
 
Ci adocchia, ma rimane ferma, e si mette a parlare fitta fitta con quella che sembra essere un'amica.
Grandi manifestazioni di stima, al centro del palco, complimenti, scambio di cerimonie.
 
Intanto Gloria si mette a scattare foto, Antonella con un ghigno sardonico guarda la pupazza intenta a proseguire la recita, Alice è incerta, appollaiata sulle scale, perplessa. Sta pensando: - Perderemo il treno? Che fare?-.
 
Io mi godo la scena, finché dopo aver cercato in tutti i modi di tirare in lungo la nostra poco entusiasta insegnante ci concede un saluto, dopo averci fatto spostare fuori dalla sala. Un breve commiato, e neppure ci accompagna nel foyer.
 
Come dire, c'è ambiente e ambiente. Al chiuso della biblioteca vanno bene determinati rapporti, al di fuori no, vanno selezionati.
Una questione di feeling? Di educazione? Di sostanza?
Non so, ho fatto un corso con una che non mi ha detto un bel nulla.... ancora.
 
 

lunedì 18 novembre 2013

Il diario di Jane Sommers (Doris Lessing)

Ho conosciuto Doris Lessing con questo libro, cui è seguito "Se gioventù sapesse".
Strano modo per entrare letterariamente in confidenza con una donna nota per lo più per i libri sul Sudafrica.
 
Ho apprezzato la scrittura schietta, quasi trasparente, la rappresentazione della realtà senza filtri e senza manipolazioni, chiara e diretta.
Una voce nuova, un diverso modo di parlare, attraverso la scrittura quasi priva di retorica e di artifici romanzati. Mi ha subito conquistata, questa moderna forma di realismo, una voce quasi atemporale, che scava nei personaggi e nella loro vita senza annoiare e senza finzione.
Senza giudizio, anche.
 
Trasparente come un vetro, diretta come una freccia, capace di rappresentare la vecchiaia senza edulcorare e senza offendere, è la storia di una donna di mezza età e della sua amicizia quasi casuale per un'anziana in difficoltà.
Una donna di successo e una vecchietta in povertà, si incontrano e, nonostante differenze culturali e di vita, hanno qualcosa da regalarsi a vicenda.
 
E sarà proprio la più giovane a regalarle un sogno: un libro pacchiano con la sua vita misera e squallida di sarta dei bassifondi romanzata e resa felice e romantica quale la sua non è mai stata.
 
Il tema del decadimento, dell'invecchiamento, dell'abbandono e della solitudine che c'è già e quella che arriverà, sono descritti con cura, ma quasi con affetto.
 
Quello che mia madre ha descritto come un libro terribile è quanto ci aspetta, inevitabilmente, tra la vecchiaia e la morte, senza essere edulcorato in alcun modo.
 
P.S.: ha dedicato tanti libri ai gatti, ai suoi amatissimi gatti.
 
 

37.911,87

37.911,87 euro sono oggi:

una Porsche Boxster PZ Koblenz del 2011 usata (40.400 Km dichiarati)

un anello Two for trinity de Cartier (37.100 e il resto mancia, non siamo mica barboni)

un box singolo di 15 Mq a Milano in viale Stelvio

otto notti all'hotel SevenStars galleria di Milano più il biglietto del treno per arrivarci a Milano, mica vogliamo prender la multa (4.000 euro circa a notte)

un piatto (piccolo) di spaghetti al caviale per tutto il morto paesello (365 anime al censimento del 2007, ma non preoccupiamoci: ne saranno morti un sacco, e altrettanti saranno fuggiti).

37.911,87 euro sono, oggi, i trenta denari di qualche millennio fa.
Gli affetti (ad averli) non hanno prezzo?
Ebbene, un prezzo ce l'hanno e sono 37.911,87 euro.
Al lordo delle imposte.
Dei bolli di legge.

E della parcella dell'avvocato.
E della parcella del commercialista.

37.911,87 euro che saranno quindi molti di meno.
37.911,87 euro e una casa fatiscente su un angolo, circondata da un terreno pieno di sterpaglie.
Quello che un tempo era l'orto, quello che un tempo era il frutteto.
Intorno delle rive infide e bisognose di manutenzione continua.

Da una lato l'acqua inesorabile si mangia la terra, dall'altra la terra si mangia pian piano la casa con la sua umidità.

Sono 37.911,87 euro il prezzo del patto con il diavolo.
Dammeli, e io avrò diritto, perché è un mio diritto, a vivere senza far nulla.
Sì, faccio finta di fare il musicista, qualche mancetta da parte di qualche corale per qualche triste concerto nell'umido di qualche chiesa dei dintorni. Faccio il Ma-e-stro, io.
E poi....
Ma io ho fatto i conti, eccome.

Io con 37.911,87 euro potrò vivere 18 anni senza far nulla.
Spendendo come la nonna di 86 anni nell'ultimo anno malato della sua vita, impegnata a sopravvivere con l'ombra della morte nello specchio che teneva per mano quello della follia.

Finalmente la follia non era più sola.

Lavorare, ecco, quello no.
Alzarsi, scadenze, fatica...
E poi la gente, la gente...
La gente meno di tutto il resto, non la tollero.

Qualche soldino qua e là, io che ho imparato, eccome se ho imparato da mia madre.
Scroccare sempre, impietosire, mungere.

Ah, che soddisfazione, farsi pagare il treno dai vecchietti con la pensione minima.
Farsi regalare i vestiti dalla zia vedova, quando in casa entravano 5 milioni di lire al mese mal contati.
Sottrarre con l'inganno e con la finzione.
Oggetti, denaro, compassione, tempo, voti.

E ora ho i miei 37.911,87 euro.
La mia vita.
Per questo ho barattato tutto, presente, futuro, valori (onestà, chi è costei? dignità, mai vista, orgoglio, non ci conosciamo).

E poi?
Nonni morti, di qui di là, parenti ingannati e derubati.
Amici? Non ne ho, naturalmente.
Colleghi? Collega sarai tu, io sono un Maestro Solista.

Poi chi mi rimarrà da spremere?

Devo trovare una ricca scema.
E magari poi farla fuori.

37.911,87  euro fino ad allora mi devono bastare.
Ma sono tanti, vero?

Vent'anni di vita mi garantiranno.
Perché io sì che sono furbo.
Un testamento, chissà mai.
Me lo sono fatto da me, no? E che ci vuole, basta prendersi un fac simile in internet...

E poi, e poi....
Speriamo muoia qualcun altro... per sorte, malasorte o...
aiutino?














sabato 9 novembre 2013

Elena

Elena è una donna bellissima, certa che la sua bellezza, assoluta e quasi ultraterrena, le permetterà di ottenere tutto e di farsi perdonare tutto.
Elena usa raffinate armi di seduzione e di manipolazione, la sua bellezza non perdona, così come non perdona la sua divorante ricerca di attenzioni e prove.

Elena è la bellezza a cui tutto si sacrifica, intorno a cui tutto ruota, un fantoccio mostruoso che nasconde ogni dannazione, dietro una bellissima facciata.

Elena è la crudeltà della perfezione, la miseria della bellezza come unico scopo.

Sul palco dell'Elfo Puccini Elena coinvolge tutti in un'ora di intensissima interpretazione, facendoci precipitare nell'abisso del suo egocentrismo delirante, che vede solo se stesso, che ama, ma forse neppure, solo se stesso, bisognoso di ogni attenzione.

Solo la bellezza come valore, quella vuota ed esteriore, e il sogno infranto di lasciare la provincia e viverne l'esistenza favolosa.

Elena semina morte proprio come la sua illustre omonima di greca memoria.
E i morti, sotto forma di abiti vuoti e di attaccapanni vuoti giacciono per terra, nel buio di una sala in cui l'unica scenografia è un velo che nasconde un coro.

Due donne in scena, superlative,  che materializzano davanti a noi la morte che sta dietro la perfezione.
Finché la morte non fa tacere Elena per sempre accogliendola a sé.

Una tragedia che meritava di essere vista, una raffinata operazione intellettuale, non adatta a tutti.


L'educazione in un cioccolatino

Che sia giusto o sbagliato, che sia un obbligo o un piacere, per ogni compleanno è tradizione, nel mio ufficio e in quelli vicini, portare qualche cosa per festeggiare.
 
E' un modo per fare una pausa simpatica, per passare qualche minuto insieme diverso dal solito.
 
E' un giro di persone che partecipano a questo festeggiamenti più o meno fisso, e in genere educazione vuole che si ricambi.
 
C'è una persona, però, che pur non perdendosi un compleanno, facendo volentieri il bis, e anche il tris e il quadris, sollecitando anche l'apporto di determinate cose, non porta mai niente.
Il suo compleanno è tenuto rigorosamente segreto. Se ne poteva intuire la data, ma un silenzio tombale (e il vuoto assoluto) l'avvolgeva.
 
Ebbene, da quando ha avuto la brillante idea di appiccicare alla porta dell'armadio l'attestato del corso relativo alla sicurezza, non è più un mistero.
 
Il giorno deputato ha visto la nostra eroina assolutamente assente ed ermetica. Nonostante gli auguri.
 
Passano alcuni giorni e, al termine di uno squallido pranzo in mensa, la nostra estrae una manciatina di cioccolatini sciolti dalla borsa: - ecco, esclama petulante, ho portato un cioccolatino (sottolineiamo uno) per il mio compleanno. Non mi andava di festeggiare in ufficio (di mangiare a sbafo invece le va sempre).-.
 
Guardo i cioccolatini lanciati sul tavolo.
 
Sono un evidente avanzo di chissà che.
 
E sono uno per persona.
 
Salvo il fatto che in sala mensa c'erano più persone rispetto al nostro abituale gruppo.
 
Io ho rifiutato.
Anzi, l'ho trovato offensivo.
Era meglio non portare nulla.
 
Ma questo la dice lunga sull'educazione, l'opportunità e la delicatezza di questa tizia.
"Virtù" che naturalmente non manca di spalmare anche nel resto delle circostanze lavorative che via via si presentano.
 
- Non lo vuoi? - e si guarda intorno - beh io non ho voglia di portarli a casa, scusa, tu, Matteo, è avanzato un cioccolatino, mica lo vuoi? Non so, per la bambina...-.
 
Che ha un anno, e quindi non mangia cioccolato.
 
L'educazione, questa sconosciuta....

venerdì 8 novembre 2013


Oggi mi è scappata.
Ho contato fino a  50 ma non è bastato...

Chi decide chi devo essere?

E' la domanda che mi sono posta oggi, leggendo di quella coppia di coniugi alessandrini a cui hanno tolto la bambina perché troppo vecchi.
Ci sarà certamente una semplificazione giornalistica, non lo metto in dubbio.
Ma sono davvero senza parole di fronte a questo pronunciamento della Cassazione.
 
Si tratta di una brutta storia che parte da una denuncia di vicini, con cui i genitori della bambina hanno rapporti poco amichevoli, di abbandono delle piccola in macchina. In sintesi prima hanno portato in casa la spesa e poi hanno portato in casa la bambina.
 
Questa vicenda ha dell'incredibile.
La bambina di pochi mesi viene portata via ai genitori naturali, sfuma l'ipotesi di abbandono, e la piccola non sembra aver segni di maltrattamenti né di omessa cura.
 
Dopo diversi mesi leggo che la bambina verrà data in affidamento e potrà essere adottata.
 
Motivo: i genitori sono ritenuti troppo vecchi per potersene prendere cura.
 
Ma, dico io, se la figlia l'hanno potuta fare e la trattano bene, qual è il problema?
 
E poi, non si può essere vecchi e genitori, ma si può essere nonni e fare le veci dei genitori.
Chi può decidere quando è lecito essere genitori e quando no?
E' come decidesse di me o di te.
Tu puoi avere questo passato, tu non puoi.
E dato che tu sei anche il tuo passato c'è chi decide che vita devi o non devi avere.
 
In questo caso abbiamo due genitori che non potranno più vedere la bambina e una bambina in orfanatrofio. Pur avendo i genitori.
 
Si tollera che vengano mandati i bambini a mendicare, a prostituirsi e chissà che altro.
 
Però non possono avere i genitori "vecchi" anche se li hanno.
 
 
 
 
 
 
 

martedì 5 novembre 2013

Flormar (nuovo in via Torino)

Hanno aperto un nuovo negozio di cosmetici in via Torino, si chiama Flormar (spacciata per italiana, ma li fanno in Turchia). Potevo non visitarlo? Ovviamente no.
Ci  ho fatto un giro oggi pomeriggio, e, udite udite, non ho comprato nulla... Forse sto guarendo.
 
Insomma, i prodotti sono tanti (sono anche riuscita a farmi agganciare da un commesso che c'è mancato poco che non mi truccasse), e rispecchiano un pochino quelli di Kiko.
L'assortimento è inferiore, tranne che per i fondotinta che hanno anche dei colori chiari (era ora).
I prezzi sono abbordabili, e fanno offerte tipo 3X2 o 3+1....
 
Ho provato, tre fondotinta, una CC cream pesca e lo struccante occhi.
 
Lo struccante è del genere bifasico.
Ho cercato di togliermi un po' di cerone dalla mano, ma, a mio parere, toglie poco e unge assai.
E' di taglia media e mi serve, ma non mi ha convinta.
I fondotinta...
Mah, ne ho provato uno ad alta coprenza, è mi pareva cerone.
 
Forse da quando ho cominciato a usare altri prodotti ho perso un po' la mano con questi mascheroni.
 
La CC color pesca non ho capito, la mia mano era dello stesso colore di prima...
 
Insomma, sono riuscita a stare alla larga da onbretti e rossetti (2,9 euro, ma non li metto).
 
Ci penserò, sperando che alla prossima i commessi siano impegnati e possa guardare e provare con calma.

Via del deserto dei tartari

Solo l'autunno può sorprendere così, con delle giornate spumeggianti, uscite dal nulla, emerse come per incanto dal grigiore caliginoso dell'inverno incombente.
E così accade che dalle nuvole gonfie di tristezza di un sabato mattina di inizio novembre emerga un raggio di sole, tiepido e chiaro. Questo raggio speranzoso spazza via le nuvole in un istante.
Si posa sul selciato, scivola tra i cubetti di porfido allineati con cura, si stende sulle lastre di marmo del marciapiede. Costeggia la via tingendosi sulle pareti a volte scrostate dei palazzi lasciati andare, il cui tempo dei fasti è passato, indugiando sulle facciate di quelli appena rimessi a nuovo, soffermandosi sulla chiesetta di San Giorgio e compiacendosi del suo ordine assoluto.
Una veloce sosta la dedica anche al Liceo, doverosa e quasi rassegnata.
 
Sono le undici del mattino e io sono in via Cairoli, a Vigevano. Una delle vie centrali, appena dietro il Castello. C'è un silenzio di tomba. Non passa un'auto, non c'è un pedone, né una bicicletta.
 
Pende un pochino quel pezzo di scotch che tiene insieme dei fogli di carta bianca, che mascherano la vetrina del negozio. Una distesa di carta bianca impacchetta la via. Di alcuni ci sono ancora le insegne, di altri non c'è nulla più, se non questa mortale carta bianca.
Dovrebbe preservare il decoro ambientale, il non vedere i negozi drammaticamente vuoti, con il loro carico di fili tagliati, gli ultimi brandelli di carta, filo e stoffa a terra, le lampadine mancanti, le ombre disegnate dai mobili che non ci sono più.
 
In questa via, non c'è più un negozio.
Neppure più uno. Sono tutti chiusi.
Solo una panetteria resiste stoicamente: vive grazie alla scuola, scommetto.
Sembra essersi abbattuto un uragano.
 
L'isola pedonale ha ucciso il malato grave, credo.
Insieme alla crisi, all'esplosione delle tasse, ai parcheggi mancanti.
 
Mia madre racconta dei negozi che c'erano, dopo un primo momento di smarrimento, dicendo che, sì, venivano anche qui a fare un giro il sabato.
Io non ricordo nulla. Purtroppo, o per fortuna, non ricordo ormai più un periodo di "normale ottimismo" nella mia vita italiana.
 
In questo Paese dove nessuno mai è colpevole né responsabile, ma tutti si dipingono vittime, mio padre ha passato l'intera esistenza (breve) lottando contro lo spettro della disoccupazione e io sono cresciuta respirando insicurezza e recessione. E oggi sono qui in mezzo al nulla. Perché questo è, il nulla di questa strada vuota e la desolazione immensa di questi treni carri bestiami che portano al macello milanese la plebaglia lavoratrice, che qui non ha più uno sbocco.
 
Milioni di parole vere, finte, false, stupide e intelligenti sono state spese sulla crisi.
Oh, la crisi mica è caduta come la peste su questa sciagurata nazione.
Si sapeva, e a nessuno è importato di sacrificare una o più generazioni, la nostra, per il proprio immediato tornaconto.
 
E adesso questo c'è, il deserto.
 
E mi facciano il piacere, i soliti populisti da strapazzo che si sono fatti eleggere raccontando favole e dipingendosi immacolati, almeno di guadagnarsi lo stipendio in Parlamento.
Altro che sfasciare tutto, ... (starebbe per un bell'insulto), è già tutto sfasciato....
 
 
 
 
 
 

Il bicchiere del Teodoro II

Sapevo che togliere al Teodoro, il mio amatissimo e bisbetico gatto, il vizio di bere dal bicchiere sarebbe stato duro.
 
La terapia d'urto "disintossichiamoci dal bicchiere" ha avuto inizio qualche giorno fa.
Dalla sua posizione prediletta, angolo sinistro del lavandino, il bicchiere è stato spostato sul suo mobiletto, a fianco delle ciotole.
Dopo un paio di giorni il bicchiere è stato progressivamente abbandonato, mentre la fiammante ciotolina a fianco è stata più e più volte lavata e riempita di acqua fresca.
 
E, oggi, il bicchiere è scomparso.
Solo la bella ciotolina argentata al suo posto...
 
Facile, eh?
Vorrei poter scrivere che il bravo gattino, invece di dar di matto, si è messo a bere dal suo di bicchiere.
Ma non è così.
 
Un primo sentore di quel ciclone che avrebbe investito la mia cucina c'è già stato domenica, quando il piccolo felino, palesemente di malumore, ha cominciato a stazionare insistentemente sul lavandino cercando di farmi capire che mancava qualcosa a forza di miagolii (che vanno letti prima come un suggerimento poi come un richiamo e, infine, come una serie di accidenti). Nulla hanno potuto le crocchette specialissime al finto pollo.
 
Tre giorni di proteste sottolineate da cadute più o meno accidentali di oggetti sempre più grandi incontrati al suo passaggio (non è maldestro, è pestifero).
 
Finché stasera, la dolce bestiola ha preso, come si suol dire, il toro per le corna, zompando sul lavandino e... rotolandosi sopra la superficie bagnata strillando come un matto, il nasone rivolto insistentemente al luogo del bicchiere.
 
Non so dirvi, in questo momento, chi vincerà.
Perché, in quanto a testa dura, non c'è competizione con me.
 
Però il mio miciottolo tanto amato... insomma, basta che non inizi a voler mangiare con le posate....
 

domenica 3 novembre 2013

Chiuso per disgrazie

Da un po' di tempo a questa parte ho del malumore represso che mi accompagna costantemente.
Fino a ora l'ho gestito nel modo consueto, ovvero tacendo e mandando giù, un po' isolandomi dal mondo per isolarmi dal "problema".
 
Ma ora lo dico chiaramente: sono stufa e arcistufa di chi si spaccia per amico e poi c'è soltanto nel momento della disgrazia. La sua, ovvio.
In quei momenti la sua assiduità è paragonabile a quella di una zecca, salvo poi vaporizzarsi quando l'emergenza è terminata e, magari, s'è trovata un ometto con cui uscire.
 
Dal mio punto di vista questa non è amicizia, è opportunismo.
Perfino la formula del matrimonio recita: "nella buona e nella cattiva sorte".
Ricordiamoci, quindi, della buona ed evitiamo di ricavare del tempo solo e soltanto quando c'è qualche problema o lamentela o assenza.
 
C'è chi si sente realizzato a fare il salvatore del mondo.
Non io, però.
Se la giusta riconoscenza per aver sacrificato tempo, energie e possibilità sta nell'evanescenza e nell'omertà del non dire e non raccontare, ecco, facciamone a meno.
Facciamone a meno di starmi addosso, facciamone a meno di far finta di dire le cose nascondendo dietro un velo di Pulcinella quelle vere e importanti.
 
Diamo spazio a un altro prossimo magari meno egoista e più interessante.
 
Non obbligo sta dietro e dentro l'amicizia, ma un po' di decenza sì.
E di tempo "buono".
 

Il bicchiere del Teodoro

Credo di poter vantare uno dei gatti più viziati e indisponenti sulla faccia della terra.
Petulante, appiccicoso, insistente, è l'unico, qui dentro, non solo a fare esattamente quello che vuole, ma che riesce a farlo fare anche agli altri.

Un bel giorno il Teodoro ha deciso di non voler più bere dalla sua fiammante ciotola in alluminio, che sta nel suo mobiletto, ma di voler bere, esattamente come noi, dal bicchiere.
Quest'ultimo deve essere posizionato, però, sul lavandino, nell'angolo a sinistra.

Ho cercato in ogni modo di togliergli questo vizio, che mi costringe ad avere un bicchiere pieno di acqua fino all'orlo in permanenza ma non è stato possibile.
Miagola imperiosamente, cerca di bere da altri bicchieri, oppure, ancor peggio, si vede questo gatto magrolino e contrariato con le due zampe anteriori nel lavandino, in sedere per aria, la coda di lato, impegnato a fingere di bere dal fondo del lavandino.

Risultato: un gatto con le zampe bagnate che pesticcia ovunque, ma soprattutto sul fornello di acciaio, lasciando impronte ovunque.

In quei momenti lo detesto, dico sul serio.

Perché sono sicura che lo fa apposta, infatti si gira a guardami e ci manca solo più che si metta a ridere sotto i baffi.

Quindi... il mio gatto ha il suo bicchiere.
Il prossimo passo consisterà, che so, nell'uso del cucchiaino...
Per mangiar meglio lo yogurt.

venerdì 1 novembre 2013

Bridget Jones alla lezione di zumba

Non è una palestra, ma è una scuola di ballo, al secondo piano di un recupero industriale, a fianco del mio gommista di fiducia.
 
Martedì scorso sono stata assalita da un vero e proprio impeto di autoconservazione.
Da tanto tempo vorrei divorziare dalla mia pancia debordante, riscoprire il  mio punto vita, o meglio, ritrovarne uno, perso tra strati di faticosissimo far nulla.
 
Già, perché il problema risiede in una vita faticosissima ma assolutamente sedentaria.
Mi guardo allo specchio, se proprio devo, e mi trovo proprio inguardabile, fuori forma come non mai.
E, peggio ancora, distillo nervosismo da tutti i pori, che si accumula inesorabilmente sulla mia pancia.
 
Ho scelto questo dimesso edificio, spartano e lontano da ogni parvenza di palestra da incontri proprio per questo motivo: non voglio incontrare nessuno.
Non ha senso che mi iscriva in palestra per cuccare qualcuno: sono troppo bruttola e grassola in questo momento.
Chiunque mi vedesse, stasera, salire le scale dell'edificio in questione, non potrebbe far altro che scappare a gambe levate.
Pinza regolamentare (ho scoperto che non va bene, salta qui, salta là la perdo), faccia struccata in versione "mi sta venendo il ciclo", quindi occhiaie abissali aria grigiastra e brufolo d'ordinanza, abbigliamento incerto: non vado in palestra da una vita.
Indosso una giacca di pile, con sotto una maglietta molto spiritosa, ma da uomo, e che ho comprato a New York anni fa. Sembro avvolta in un sacco nero. Per non sbagliare mi metto anche una bella canottiera, non si sa mai che possa prendere freddo.
Infine, due paia di pantaloni: uno aderente e uno informe che metto in casa, provenienza... cinesi. ovvio. Tocco finale, una borsa di stoffa Esselunga... 
 
Entro nello spogliatoio e vengo presa dallo sconforto: ci sono tutte ragazze molto più giovani di me.
Poi per fortuna entrano due signore, sulla cinquantina abbondante.
L'insegnate, ragazza asciutta e sbrigativa, mi chiede se ho mai fatto zumba e io le rispondo di no.
Inizia la lezione: il tutto consiste in una serie di coreografie a ritmo molto veloce che uniscono latino americano, aerobica e danza del ventre.
 
Dopo dieci minuti ho il fiatone, dopo venti mi è passato.
Il fiato, infatti, pare non mancarmi affatto, tanto che sono l'unica, lì dentro, a non ansimare e sbuffare.
 
In pochi minuti mi sembra di ritornare indietro. Solito stanzone tappezzato di specchi, sbarra al fondo (dove mi posiziono e mi sono sempre posizionata).
 
Non conosco le coreografie per cui mi è complicato seguire i movimenti, in più è velocissimo.
E lì, improvvisamente, emerge il mio principale problema a danza.
Mi sembra di tornare indietro vent'anni.
Io sono mancina e gli altri destri.
Il risultato è che io parto spontaneamente "al contrario".
E devo impormi di recitare a ogni passo, destra, sinistra, destra, sinistra.
Un delirio. Di cui mi ero scordata.
 
E poi, in tre secondi scopro che la classica ti insegna disciplina postura resistenza e orecchio per la musica.
Ma sei rigido come un palo.
 
E qui ci si dimena da matti.
 
Aggraziata come l'orso Yoghi prima della dieta, un po' orba da lontano, tutta rossa e scarmigliata, ecco la nostra Bridget in nero completo (non sfina, fidatevi) che cerca di seguire l'indemoniata di turno alle meno peggio. A un certo punto mi dico: senti, lascia stare l'interpretazione e punta a non inciampare. Più volte mi trovo contro la sbarra, ma apprezzo il fatto di: non essere la più grassa, non essere la più molle, non essere la più vecchia e non essere la più scoordinata.
Alla fine, grondante sudore, ma non con il fiato corto, mi dirigo negli spogliatoi.
Mi sento, nel momento in cui mi siedo sulla panca, davvero bene.
Riesco a scambiare due parole e scappo a casa.
 
Per fortuna è buio e nessuno mi vede: sono una strega!
La notte, del resto, è quella giusta....