martedì 14 maggio 2013

La sala d'aspetto

Facevo prima media e, per imposizione materna, frequentavo l'unica scuola nei dintorni in cui non c'erano né amici né conoscenti. Quasi ogni pomeriggio ero impegnata in attività extra scolastiche per cui mi fermavo a scuola in attesa delle lezioni pomeridiane.
 
Era un pomeriggio di martedì, in cui avevo lezione di solfeggio nel primo pomeriggio.
L'insegnante aveva però comunicato che non ci sarebbe stato, ma solo verso le due. Da sola, perché tutti erano già a casa, mi ero diretta in stazione per prendere il primo treno utile per casa.
Una volta arrivata in sala d'aspetto avevo scoperto che, in seguito a uno sciopero, per altro già conosciuto, nessun treno sarebbe partito.
Avevo 11 anni, e non avevo un soldo in tasca, eccetto poche lire.
 
Ho provato a chiamare casa, ma non rispondeva nessuno.
Ho provato una seconda e una terza, niente.
 
Ho telefonato a mia nonna, ma neppure lei riusciva a contattare mia mamma, che era, come sempre, chissà dove.
 
Sono stata seduta su una delle vecchie panchine di legno della sala d'aspetto, a fissare l'orologio e i pochissimi passeggeri in transito fino alle 17 e 30 passate, immobile nello stesso posto e posizione. Ricordo ogni particolare come fosse stato ieri di quelle lunghe, interminabili e avvilenti ore.
Per fortuna il posto era un po' meglio frequentato rispetto a oggi. Infine, mia nonna è riuscita a chiamare mia mamma, che è venuta a recuperarmi, seccatissima e con estrema calma, a Mortara.
 
Io aspettavo da quasi 4 ore, senza mangiare, senza bere, senza andare in bagno e senza sapere che fare.
Quando sono uscita dalla sala d'aspetto, nonostante lo sciopero fosse noto anche a lei, si è stupita: - Insomma, io ero andata a fare la spesa, sei tu che devi preoccuparti di queste cose.-.
 
E così per tre anni, ogni volta che c'era sciopero era un terno al lotto. Andavo e incrociavo le dita per tornare, perché non avevo nessuno che veniva a scuola con me a cui poter chiedere un passaggio.
E nessuno, soprattutto, che mi venisse a prendere, che avesse voglia o si desse la pena di venirmi a prendere, nessuno che si preoccupasse di me.
 
Per questo, per questo fortissimo senso di abbandono, che permane, tranne rarissime eccezioni, sono sempre così distante. Perché non c'è niente di più umiliante, di più crudele, di più destabilizzante che aspettare con tutte le proprie forze qualcuno a cui ti sei affidato e che non verrà.
 
E quindi oo preferisco non aspettare proprio nessuno.
 
 
 
 
 

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