Da più parti, e con sempre maggiore insistenza si parla di decrescita 'felice' dell'economia.
Il concetto è nato come conseguenza dei primi accenni di crisi dell'economia occidentale, basata sulla valutazione di un indicatore, il PIL, o prodotto interno lordo, che appare del tutto inadeguato a soddisfare le esigenze descrittive moderne.
Questo movimento di pensiero parte una considerazione semplice: può un'economia crescere per sempre? Ovvero, è possibile che si espandano senza fine consumi e spesa pubblica per soddisfare le esigenze di una economia in costante espansione?
Conquistare nuovi mercati, creare infinite esigenze, rendere più economici i beni sembrano essere, tra le altre, le strade percorse fino ad ora per sostenere questa forma di espansione economica.
Peccato che l'Italia, insieme a molti Paesi d'Europa, non cresca più, ma anzi, vada all'indietro come i gamberi.
Mi limito a osservare che i ritmi di vita moderni hanno reso il tempo il bene più prezioso per tutti noi. Nonostante le moderne tecnologie, il nostro carico di lavoro (spesso lavoro del tutto fine a sé stesso) è aumentato e i tempi della giornata lavorativa si sono dilatati.
Il fatto di aver a disposizione una sovraofferta di beni ci ha fatto dimenticare quali sono le nostre esigenze primarie: dormire, mangiare e scaldarsi.
Esigenze che, negli ultimi anni, pare siano state messe a dura prova. La necessità indotta di essere sempre connessi riduce i tempi del sonno, una serie di problematiche infinite legate alla difficile gestione dei rapporti umani e lavorativi, oltre alla sofisticazione degli alimenti, ci crea non pochi problemi alimentari.
Eppure l'Italia potrebbe essere un esempio di crescita alternativa. Quanti di noi sostituiscono (o cercano di farlo) con il superfluo che invade le nostre esistenze?
Ritrovare un giusto equilibrio nelle cose dell'esistenza potrebbe essere un inizio.
Io non esisto perché compro, come sembra suggerirci la televisione, ma perché sono io.
Questa perenne insoddisfazione nasce dalla difficoltà di far fronte alle esigenze minime quotidiane. Il vivere di corsa sempre impedisce di pensare e di osservare e di capire.
Io voglio esserci nella mia vita, può essere il motto giusto per iniziare.
Fare fare fare, un imperativo moderno.
Fare cosa esattamente?
Questo è il problema.
Io vedo tutta questa gente che corre e corre, ma... per arrivare dove?
Spesso mi capita di trovare al semaforo rosso il tizio che mi ha appena sorpassato.
In Italia mancano servizi, manca una vera cultura della trasmissione del nostro patrimonio artistico e culturale in senso lato. Potremmo trasformare l'Italia in un ricettacolo di turisti impegnati a cucinare e a girare per i fori imperiali con il naso all'insù, ma senza inciampare, senza essere taglieggiati per mezzo litro d'acqua e con delle guide che parlino correttamente qualche lingua.
Un paradiso di musei, ma anche di divertimento, magari senza devastare il nostro patrimonio artistico cementificando ovunque.
Per fare questo ci vuole un cambio di mentalità, pensare al bene comune invece che a quello del singolo dietro l'angolo. Poi ci vuole volontà, investimenti nella cultura e non solo in ciò che è immediatamente fruibile. Il pensiero mi corre all'idea di scuola-azienda e rabbrividisco, soprattutto pensando a come va male Mediaset....
Io credo che si debba ripartire da questa parola: studiare.
Dopo decenni di approssimazione e stupidità collettiva, sarebbe bene ripensare a tutto il meccanismo economico italiano, evitare di devastare il Paese con opere pubbliche inutili, favorire quelle utili e puntare sulla rinascita sostenibile del nostro Paese, adoperando le nuove tecnologie per migliorare la vita della gente e non per aumentare la "schiavitù".
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