E' partito male: la circostanza per questo eccezionale pranzo "allargato" è la fine del contratto di una collega molto simpatica.
Gli auspici erano pessimi: pioggia a catinelle che mi ha costretta a passare mezze ore, la sera prima, alla ricerca di un look semplice, ma non banale, ricercato, ma non fuori luogo, elegante, ma non inamidato, tenendo conto di non volermi bagnare i piedi, dato il raffreddore.
Insomma, un look inarrivabile per me, per la cicciottella che c'è dentro e fuori di me e per il mio guardaroba allo sbando.
E poi, ho maturato delle attese. Di più, ero emozionata. Davvero una scemenza, non c'è che dire.
Al momento buono non sapevo cosa dire.
Dopo aver manovrato ed essermi con naturalezza (questa vera) piazzata esattamente davanti a lui a pranzo, mi sono resa conto dell'infelicità della scelta.
Il posto era rumorosissimo, con un chiasso apocalittico che rendeva impossibile parlare, anche urlando.
E questo che, come una mummia, di stava davanti senza guardarmi quasi.
Io, che ho un tono di voce già basso, che non sapevo che dire.
L'omino barbuto che strillava e si lanciava nelle solite noiose tiritere. L'altra che trillava solo un po' meno forte di lui.
Oddio, hanno anche finito il pesce spada che io desideravo...
Accidenti, la mia sicurezza si è polverizzata di fronte alla mia emozione. Alla sensazione di essere inadeguata. Al fatto che sembrava pensare che dicessi scemenze a ogni frase. Ne aveva proprio l'aria, l'aria superba e annoiata di chi è stato in qualche modo costretto a mescolarsi a questa platea poco affine. Guardava in giro, oltre e fuori dalla finestra. Il passo successivo era quello di erigere una barricata con il cestino del pane, fortificata con gli stuzzicadenti e difesa dall'olio!
Una mummia sarebbe stata più vitale. E comunque più cordiale con me...
Al ritorno mi sono sentita profondamente ferita nell'amor proprio.
Sensazione che continua e che cercherò di seppellire nella lettura.
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