Aprire un'anta del mio armadio significa, come minimo, rischiare di vedersi franare in testa qualche cumulo di abiti.
Strati di vestiti che somigliano a ere geologiche: abbiamo l'era taglia 46, quella taglia 42, quella taglia nd.
La più pericolose sono certamente le compere fatte per "far contento" qualcun altro, dalla mamma che vuole che tu vada al lavoro "vestita bene" ignorando il posto dove ti trovi ad andare e il viaggio che ti tocca fare per arrivarci, l'amica che ti vede "in un certo modo" e ti trovi a portare a casa, dopo una sessione di shopping, un guardaroba che pare appartenere a un alieno, visto mesi dopo. Non parliamo dell'influenza nefasta di giornali e programmi tv dedicati: lì fioccano le super dritte di qualche spostata che, evidentemente, non vive nel mondo reale, non ha bisogno di fare le scale, di usare i mezzi pubblici e neppure di guidare l'auto.
Ecco il mio guardaroba: una pigna enorme e confusa di oggetti di natura varia (perché il bagnoschiuma che mi ha regalato l'Antonia a Natale è finito tra i maglioni), con una netta predisposizione per due cose: polo blu a manica corta e jeans o pantaloni modello jeans. Ne ho contati 4 paia beige, praticamente identici.
Un discreto campionario di golfini Benetton di ogni colore si aggiunge a questi ultimi. Ogni anno, acquisto dei maglioni di cotone Benetton in saldo. La tintura, lasciatemelo dire, è a dir poco pessima. Motivo per cui, ogni anno, rinnovo il mio parterre di maglioni Benetton di cotone neri o blu.
Sarebbe il caso, forse, di smettere di comprare maglioni Benetton in saldo da gettare l'anno successivo.
Il nocciolo della questione sta nel fatto che per qualche oscuro motivo mi sento obbligata a fare acquisti "sensati", adatti alla mia età anagrafica.
Peccato che io non sia così, che in genere non vesta sportivo, e neppure da vecchia babbiona, che certe mise modello "scolastico" non le senta più mie, e che, se la parte più nuova del mio armadio è letteralmente invasa da abiti e scarpe con tacco, evidentemente, un motivo c'è.
Sarebbe interessante capire il motivo per cui, molti capi, cadono nel dimenticatoio. Una prima banale spiegazione è legata al fatto che, sepolti, sotto cumuli di ciarpame, molti di questi capi diventano quasi invisibili dopo la naturale euforia della prima stagione.
In molti casi, però, vedo che quello che scarto è quello che non mi convinceva già al primo sguardo.
Camicioni informi, pantaloni ascellari, colori deprimenti e via dicendo.
Del commercio e degli acquisti online posso dire tutto il male che voglio, ma in genere, sono meno squinternate delle altre, forse perché sono seduta davanti al mio pc, da sola, e non ho intorno un sottofondo musicale accattivante, o l'ingerenza di qualche commessa, o il consiglio "interessato" di qualche accompagnatore.
Fatto sta che la mia sensazione è sempre quella di essere oppressa dagli oggetti: intasata da cose che non mi appartengono, affaticata quasi da questa massa di roba che mi costringe a un iperlavoro di organizzazione e manutenzione.
Fatico anche a eliminare le cose che non mi servono, come se avessi costruito intorno un muro protettivo che mi può difendere da ogni possibile penuria.
L'elemento sorpresa allieta talvolta le mie ricerche.
Non è infrequente che ritrovi capi e oggetti di cui non ricordavo la presenza e, mi duole dirlo, nemmeno l'acquisto.
Sono stanca, però, di questo modo di vivere: dopo aver apprezzato l'essenzialità giapponese e il vuoto (che l'altro aspetto del pieno) sono arrivata alla conclusione che meno oggetti significa una vita più facile.
Come fare?
Non mi sento più di mettere in atto quelle "purghe" staliniane che portano all'eliminazione feroce di tutto in un colpo solo, un'operazione stressantissima e spesso fallimentare.
Piccoli passi, un cassetto alla volta e poche cose alla volta.
Intanto ho isolato una serie di oggetti che non metto, con questa precisa idea: se entro il prossimo anno non li avrò usati, andranno dritti e filati al Centro di aiuto alla vita, in modo che possano servire a qualcosa e a qualcuno.
Del commercio e degli acquisti online posso dire tutto il male che voglio, ma in genere, sono meno squinternate delle altre, forse perché sono seduta davanti al mio pc, da sola, e non ho intorno un sottofondo musicale accattivante, o l'ingerenza di qualche commessa, o il consiglio "interessato" di qualche accompagnatore.
Fatto sta che la mia sensazione è sempre quella di essere oppressa dagli oggetti: intasata da cose che non mi appartengono, affaticata quasi da questa massa di roba che mi costringe a un iperlavoro di organizzazione e manutenzione.
Fatico anche a eliminare le cose che non mi servono, come se avessi costruito intorno un muro protettivo che mi può difendere da ogni possibile penuria.
L'elemento sorpresa allieta talvolta le mie ricerche.
Non è infrequente che ritrovi capi e oggetti di cui non ricordavo la presenza e, mi duole dirlo, nemmeno l'acquisto.
Sono stanca, però, di questo modo di vivere: dopo aver apprezzato l'essenzialità giapponese e il vuoto (che l'altro aspetto del pieno) sono arrivata alla conclusione che meno oggetti significa una vita più facile.
Come fare?
Non mi sento più di mettere in atto quelle "purghe" staliniane che portano all'eliminazione feroce di tutto in un colpo solo, un'operazione stressantissima e spesso fallimentare.
Piccoli passi, un cassetto alla volta e poche cose alla volta.
Intanto ho isolato una serie di oggetti che non metto, con questa precisa idea: se entro il prossimo anno non li avrò usati, andranno dritti e filati al Centro di aiuto alla vita, in modo che possano servire a qualcosa e a qualcuno.
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