Ho pochi anni di vita e sono seduta, come ogni sera, nel salotto di mia nonna. Stiamo guardando la televisione e non è molto tardi. In quegli anni le trasmissioni televisive iniziavano dopo il telegiornale, che terminava alle 20:30. I ritmi di vita erano diversi, mi viene da dire più normali.
Occupo la mia poltroncina di vimini accanto alla stufa e come sempre sto bevendo la mia camomilla serale.
Non sono uno di quei bambini che vanno a letto presto. Questa infelice tendenza è cominciata più tardi, con la compressione degli spazi vitali legata al pendolarismo.
Stiamo guardando alla televisione un film, appena uscito. Ne guardiamo molti, e tanti ne trasmettono in televisione. Non ci sono videoregistratori, non ci sono altri mezzi di trasmissione differita. Lontana anni luce è la televisione on demand e la visione in streaming.
Il film si guarda, se si vuol vedere, quella sera, e in quell'orario.
Stiamo vedendo Non ci resta che piangere, un film uscito qualche anno prima, che in breve tempo ha riscosso molto successo di pubblico, successo che è arrivato fino al paesello.
Lo seguo con fatica, comprendendo soltanto le battute di Benigni, mentre rimane per me del tutto incomprensibile la parlata bassa e aggrovigliata di Troisi.
Anni dopo rivedo il film, senza riuscire a comprendere, lo stesso, nulla. Non capisco nemmeno dove stia questa grande comicità, che proprio non mi giunge.
Qualche giorno fa, immagino per celebrare il ventennale della morte di Massimo Troisi, mi trovo a vedere in televisione un suo film, e, con mio grande stupore, a rendermi conto che, al di là della parlata per me semi incomprensibile, dietro alla recitazione c'è uno studio comico che si muove secondo binari e regole a me poco note, ma che hanno una storia e un codice complesso proprio. Mi rendo conto, anche, del garbo del personaggio, di questo modo di recitare quasi se stesso. Infine, mi accorgo del fatto che, pur non rappresentando il mio genere maschile e mostrando, inequivocabilmente, qualche segno della sofferenza portata dalla malattia, è un uomo di un certo fascino.
Il fatto di riuscire a vedere aspetti diversi e lati differenti è uno dei tanti segni dell'età adulta, o meglio, della continua evoluzione del mio modo di essere. Vedere quello che prima mi era precluso, riconoscere aspetti che prima non avrei notato, un passo verso l'essere adulti?
E mi coglie la nostalgia pensando a tutto quello che mi sono persa in questi anni rincorrendo treni e occupandomi di cose stupide e banali, di cui, francamente, tutto il mondo potrebbe fare a meno.
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