venerdì 20 giugno 2014

Le sanguisughe

Da circa dieci anni, senza apparente possibilità di evasione, sono condannata da innocente al supplizio di lavorare nel posto di cui vi ho già parlato in passato.
 
Un'azienda grande, ma un contesto davvero troppo angusto, l'ultimo giardinetto lasciato a un capo dispotico quanto ignorante e limitato, dotato di quelle "qualità", stupidità e cattiveria insieme, che rappresentano una miscela esplosiva per chi, come noi, è costretto a conviverci.
 
La nostra quotidiana esistenza è resa oltremodo frustrante dall'assoluta mancanza di livelli gerarchici superiori al suo in loco, lasciando quindi, con grande convenienza dell'azienda, campo libero al nostro frustratissimo capò di sfogare in quel piccolo giardinetto tutti i suoi problemi.
 
Ora, chiaramente l'intelligenza, immediata e prospettica, non sono il punto di forza del nostro uomo. Neppure la comprensione e l'umana empatia fanno parte del ventaglio di qualità che possiede. Se devo essere sincera, dopo anni di sfortunata convivenza, sono ancora qui a chiedermi se ne abbia, di qualità.
 
E così ha un comportamento borderline tra il sadico nazista e il vigliacco di tante commedie all'italiana. Consapevole di non essere all'altezza del ruolo che ha, raggiunto solo per anzianità e perché "arrivato per primo", vive nel perenne timore di essere scavalcato.
 
Fa e disfa in continuazione, crea casi, consuma energie psicofisiche in quantità.
Ma, soprattutto, usa l'arma del riportare sul piano personale ogni problema fittizio.
Incapace di scendere sul piano teorico e tecnico, queste dispute si avvinghiano su loro stesse trasformandosi in farse ridicole e snervanti.
 
L'effetto che ha su di noi questo mal lavorare lo vedo addosso ai colleghi. Siamo un ufficio di presone frustrate, che, in anni di lavoro lì dentro, hanno perso la loro professionalità e faticano a definire le proprie competenze.
Penalizzati da un contratto fasullo (facciamo i giornalisti, non i grafici pubblicitari) non sappiamo come rivenderci, e, quanto peggio, abbiamo perso quasi completamente le nostre competenze tecniche.
 
Insomma, sono satura. Satura di vedere le stesse facce lunghe intorno, per le quali il peso di questo emerito idiota nelle loro esistenza è troppo, e dico troppo, grande.
 
Quello che mi pesa veramente è questo senso di prigionia: vorrei evadere da questo posto... Detesto chi mi ricorda la mia fortuna. Ma quale fortuna, vorrei dirgli, quella di essere sottopagata per fare un lavoro degradante della mia professione e, per giunta, anche vessata da uno sfigato cosmico senza senso dell'umorismo e senza imparare nulla?
 
Di novità, per ora, non se ne vedono. Tanto più che non saprei proprio come rivendermi.
Concorsi pubblici zero, altre cose zero.
 
Non mi resta che scrivere signori, sperando che mai, dico mai, mi capiti di dare sfogo alle mie tensioni.
Altrimenti... sono dolori.
 
 

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