lunedì 30 giugno 2014

Miracolo a Milano

Lunedì mattina.
Dopo una notte fatta di bravi pisolini tra tanti, angosciosi risvegli, mi appresto a tornare alla mia scrivania.
 
Sono reduce da una assenza, e mi chiedo con stizza che razza di pasticci troverò al mio arrivo.
(Vi dico che ne ho trovati diversi...).
 
La strada che dalla metropolitana arriva allo stabile è lunga, ma questo viale è assai lontano dall'infinita strada costeggiata da palme altissime.
 
Altro che Palm Spring.
Questa è la via Valassina.
 
Traffico impazzito, smog, tempo incerto e alberi rachitici mezzi malati o proprio morti e una pazza in mezzo ai binari del tram intenta a spogliare dei poveri cespugli di lavanda, tagliandone tutti gli steli.
 
Brava, brava, mi dico, portateli a casa e facci i cuscini da mettere nel cassetto della biancheria, saranno un po' seccati soltanti i cani che l'hanno eletto loro bagno preferito...
 
Eppure vorrei che questo viale fosse lunghissimo, eterno.
 
Il problema, sempre, è che sono una persona seria che ci tiene a fare bene (leggi: perfettamente) le cose che fa.
 
E, Dio mio, è sempre il solito schifo qui dentro.
 
Entro e, almeno il badge funziona ancora.
O purtroppo funziona ancora, questo lo decideremo solo nel corso della giornata.
Mi permette anche di prendere un caffè, wow....
 
E mi porto dietro la collega cleptomane, chiaro, non posso lasciarla sola in ufficio, iniziare settimana e finire il mese facendomi fregare qualcosa, il portafoglio o altro.... Eh no, meglio offrirle il caffè.
 
Il solito frustrato egocentrico passa circa tre ore a imprecare contro i nostri colleghi vittime di uno sciopero selvaggio (nei Paesi del Nord non ci sono fasce protette) che, a detta sua, tardano ad arrivare.
Peccato che lui di solito arrivi alle 10 e che nessuno si sia mai lamentato, e loro siano intrappolati dalle 5 del mattino in code eterne per arrivare al lavoro e siano solo le nove.
 
Insulta qualsiasi cosa/persona gli capiti a tiro, senza chiedermi come sto.
Siamo in ufficio da tre ore e ho il forte istinto di alzarmi, avvicinarmi con stile caracollando sulle zeppe e centrarlo con un cazzotto.
- Taci, idiota egocentrico, e fammi lavorare.-.
 
Sono impegnata a domare colleghi, mail, articoli, normative fiscali, siti internet, come un guerriero ninja, quando il pc si impalla.
 
Questi maledetti catorci, che si ostinano a caricare di aggiornamenti, si bloccano in continuazione.
 
E così, mentre aspetto che si riavvii apro Instagram.
 
E accade il miracolo: vedo la foto di questa mia collega/amica che ha appena pubblicato il suo primo libro di poesie.
 
Appena posso le scrivo due righe, di complimenti e di "informazione".
 
Ehi, anch'io ho la stessa passione, ma le rime mi stanno strettine.
Scrivo racconti.
 
E, così, come un faro nella notte, come la fiamma in fondo al tunnel, come la pioggia che cade sul deserto, come un sorriso tra le lacrime penso: - Allora c'è speranza.-.
 
In mezzo al nulla c'è qualcosa, c'è qualcuno con cui vale ancora la pena stare. Con cui si può parlare. Con cui ci si può intendere.
 
Signore, grazie.






venerdì 27 giugno 2014

AAA salvate questa professionista

Sono molto scoraggiata: ho passato l'intera serata di ieri a caccia di un corso che possa ridare smalto al mio curriculum, rovinato (mi dispiace usare questo termine, ma è la pura verità) da un lavoro poco dignitoso per il mio pedigree lavorativo.
 
In sé non è il lavoro a essere poco dignitoso. Lo sono tutte le attività lavorative oneste, svolte con impegno. E', per la mia particolare professione, la società a essere un problema.
 
Quando si cerca lavoro si dà importanza alla durata del contratto e a una certa stabilità nella corresponsione dello stipendio.
 
Il fatto è che lavorare lì è... buttarsi via. Buttarsi via professionalmente. Non solo perché, meritatamente o meno, la società gode di scarsa fama, ma perché non ci sono percorsi professionali che migliorino competenze e conoscenze dei dipendenti.
 
Il risultato è che, nel giro di pochi anni, la maggior parte delle competenze e delle conoscenze acquisite vanno perse perché non utilizzate, non valorizzate, non attualizzate.
 
Mi sono messa d'impegno: ho setacciato ordini professionali, ho analizzato corsi e percorsi formativi. E mi sono depressa: tutti, dico tutti, anche quelli online, sono dedicati a persone con ampia disponibilità di tempo, serale o durante la settimana, e di denaro, dato che un corso costa diverse centinaia di euro.
 
Ma, quello che più mi colpisce di questa faccenda, è il fatto che questa offerta formativa somigli a una giungla. Non si capisce bene, infatti, se questi corsi servono a chi li propone o a chi li fa.
In altri termini, sono una fregatura per ricevere sovvenzioni dall'Unione Europea? Danno qualche opportunità reale?
 
Non mi sento più di fare un Master. Ne ho già fatto uno, molto impegnativo, che non ha portato a un bel nulla, se non a perdere un anno di vita e di opportunità.
 
Mi sento... in trappola, ecco, e molto sfiduciata.
In questo momento non vedo vie di uscita.

giovedì 26 giugno 2014

Gatto versus umano

- So che sei il mio animale umano, che sei più grosso, mangi sul tavolo e hai una ciotola enorme, ma io, che sono il tuo animale felino, ho il naso fino e non credere di fregarmi: questo è filetto, succulento filetto al sangue. Non ho diritto a qualche bocconcino? Vorrai mica mangiare tutto tu.-.
 
Questo pare pensare il Teo, che con la testa spinge come un ariete per arrivare alla mia bistecca.
 
Sono malaticcia e ho deciso che una bella dose di carne rossa non potrà farmi che bene.
Mia nonna approverebbe di certo, e io, che non temo il colesterolo (non vedo perché dovrei, ho gli esami in perfetto ordine), mi sono comprata una bella bistecca di filetto che costa almeno tanto quanto l'intero servizio di piatti dell'Ikea in cui sto cenando.
 
Al mio gatto concedo molto, direi moltissimo, tanto da doverlo dissuadere dal cercare di fregarmi la bistecca fumante dal piatto medesimo.
 
Se ne sta in un angolo, e mi guarda in tralice, indirizzandomi uno spicchio di pupilla sottile come una fessura. Il suo occhio rotondo mi guarda risentito. Si ferma un attimo e poi, lentissimamente, con la somma grazia dei felini spinge avanti, impercettibilmente, la zampa sinistra, seguita fulmineamente da quella destra. Mentre cerco come posso di opporre resistenza all'avanzata del testardissimo felino, il cui gusto è certo (mai e poi mai darebbe l'assalto a una bistecca di reale, per esempio), mi rendo conto della difficoltà di erigere barriere che possano aver ragione dello sgusciante esserino agguerrito e peloso.
 
Finisce così, naso contro naso (piatto quello del Teo e "importante" il mio), e mentre io ringhio, o almeno ci provo, e lui, con le zampe nel  mio piatto tenta di arpionare un pezzo di bistecca.
 
Con scatto felino si disimpegna dalla mia fronte e agguanta con la sua bocchina un bel pezzo di carne e, eludendo la mia difesa, se la dà a gambe portandoselo via, mangiandolo con calma e poi, leccandosi pure i baffi.
 
Il tutto alla faccia mia...

Oppresa dagli oggetti

Aprire un'anta del mio armadio significa, come minimo, rischiare di vedersi franare in testa qualche cumulo di abiti.
 
Strati di vestiti che somigliano a ere geologiche: abbiamo l'era taglia 46, quella taglia 42, quella taglia nd.
 
La più pericolose sono certamente le compere fatte per "far contento" qualcun altro, dalla mamma che vuole che tu vada al lavoro "vestita bene" ignorando il posto dove ti trovi ad andare e il viaggio che ti tocca fare per arrivarci, l'amica che ti vede "in un certo modo" e ti trovi a portare a casa, dopo una sessione di shopping, un guardaroba che pare appartenere a un alieno, visto mesi dopo. Non parliamo dell'influenza nefasta di giornali e programmi tv dedicati: lì fioccano le super dritte di qualche spostata che, evidentemente, non vive nel mondo reale, non ha bisogno di fare le scale, di usare i mezzi pubblici e neppure di guidare l'auto.
 
Ecco il mio guardaroba: una pigna enorme e confusa di oggetti di natura varia (perché il bagnoschiuma che mi ha regalato l'Antonia a Natale è finito tra i maglioni), con una netta predisposizione per due cose: polo blu a manica corta e jeans o pantaloni modello jeans. Ne ho contati 4 paia beige, praticamente identici.
 
Un discreto campionario di golfini Benetton di ogni colore si aggiunge a questi ultimi. Ogni anno, acquisto dei maglioni di cotone Benetton in saldo. La tintura, lasciatemelo dire, è a dir poco pessima. Motivo per cui, ogni anno, rinnovo il mio parterre di maglioni Benetton di cotone neri o blu.
 
Sarebbe il caso, forse, di smettere di comprare maglioni Benetton in saldo da gettare l'anno successivo.
 
Il nocciolo della questione sta nel fatto che per qualche oscuro motivo mi sento obbligata a fare acquisti "sensati", adatti alla mia età anagrafica.
 
Peccato che io non sia così, che in genere non vesta sportivo, e neppure da vecchia babbiona, che certe mise modello "scolastico" non le senta più mie, e che, se la parte più nuova del mio armadio è letteralmente invasa da abiti e scarpe con tacco, evidentemente, un motivo c'è.
 
Sarebbe interessante capire il motivo per cui, molti capi, cadono nel dimenticatoio. Una prima banale spiegazione è legata al fatto che, sepolti, sotto cumuli di ciarpame, molti di questi capi diventano quasi invisibili dopo la naturale euforia della prima stagione.
 
In molti casi, però, vedo che quello che scarto è quello che non mi convinceva già al primo sguardo.
Camicioni informi, pantaloni ascellari, colori deprimenti e via dicendo.

Del commercio e degli acquisti online posso dire tutto il male che voglio, ma in genere, sono meno squinternate delle altre, forse perché sono seduta davanti al mio pc, da sola, e non ho intorno un sottofondo musicale accattivante, o l'ingerenza di qualche commessa, o il consiglio "interessato" di qualche accompagnatore.

Fatto sta che la mia sensazione è sempre quella di essere oppressa dagli oggetti: intasata da cose che non mi appartengono, affaticata quasi da questa massa di roba che mi costringe a un iperlavoro di organizzazione e manutenzione.

Fatico anche a eliminare le cose che non mi servono, come se avessi costruito intorno un muro protettivo che mi può difendere da ogni possibile penuria.

L'elemento sorpresa allieta talvolta le mie ricerche.
Non è infrequente che ritrovi capi e oggetti di cui non ricordavo la presenza e, mi duole dirlo, nemmeno l'acquisto.

Sono stanca, però, di questo modo di vivere: dopo aver apprezzato l'essenzialità giapponese e il vuoto (che l'altro aspetto del pieno) sono arrivata alla conclusione che meno oggetti significa una vita più facile.

Come fare?
Non mi sento più di mettere in atto quelle "purghe" staliniane che portano all'eliminazione feroce di tutto in un colpo solo, un'operazione stressantissima e spesso fallimentare.
Piccoli passi, un cassetto alla volta e poche cose alla volta.

Intanto ho isolato una serie di oggetti che non metto, con questa precisa idea: se entro il prossimo anno non li avrò usati, andranno dritti e filati al Centro di aiuto alla vita, in modo che possano servire a qualcosa e a qualcuno.

 
 
 

lunedì 23 giugno 2014

Abito lungo per nane

La moda femminile è spesso impietosa, e, in questo caso, lo è doppiamente.
Quest'estate sono di moda short minuscoli e abiti lunghi con modelli in stile premaman che, a dir la verità, stanno male anche alle modelle di Zalando.
 
Inutile dirvi che io, purtroppo, non ho il fisico di una modella di Zalando, cioè, ho delle proporzioni invertite. Potessi stirarmi come si fa per la pasta della pizza, passare un mattarello virtuale che mi permetta di stirare le troppe "gonfiosità" e nel contempo allungare la mia compatta persona....
 
Per inciso, il prossimo che mi dice che magari sono di costituzione robusta lo centro con una scarpa. Non sono di costituzione robusta, ho una xxxx di reggiseno. Prima entra quello e poi seguo io...
 
Se per gli short mi sono messa il cuore in pace, per l'abito lungo.... è più difficile.
Mi piacciono. Mi danno l'illusione del vestito da sera.
 
Insomma, in pochi giorni sono diventata la regina del click online alla ricerca dei modelli di abito lungo più gettonato, degli abbinamenti consigliati, dei tagli più indicati per le cicciotte.
 
Ho cercato fiduciosa, nella mia beata ingenuità, il termine: abiti lunghi per ragazze piccole e robuste.
 
Online, mi sono detta, c'è di tutto.
 
Errata corrige: online non c'è di tutto. Perché non ci sono abiti lunghi che vanno bene per le ragazze cicciotte e basse.
 
Per meglio dire: tu che hai la colpa di essere bassa e per giunta grassa, vorrai mica un abito lungo?
 
Ecco, io sì, lo vorrei. Ma non quelle specie di catafalchi che, partendo arricciati da sotto il seno, mi fanno sembrare una prossima partoriente. Oppure quelli così larghi che paiono adatti più a una mongolfiera che a una donna (essere umano di sesso femminile, dotato di fianchi e seno).
 
L'effetto panettone stradale è quello che più temo, un cubo che pare marmoreo in cui altezza e larghezza si confondono. L'effetto panettone stradale fantasia, con righe che si trasformano in corsie autostradali, rose che sembrano reduci da un harakiri, miti motivi tribali che dilatati diventano simili agli sguardi malefici degli idoli Inca, sono probabilmente peggio.
 
Ho rastrellato come un'indemoniata tutti i siti che vendono abiti online.
 
Niente da fare.
 
Non capisco, però, perché debba rinunciare al mio vestito lungo (o lunghissimo, temo).
Perché la moda (o gli stilisti) hanno stabilito che noi nanette non possiamo essere à la page perché il nostro fisico non è "adatto"?
 
Ebbene, li smentirò.
 
La mia ricerca prosegue, finché non avrò trovato un abito lungo su misura per me.
 
 
 
 

domenica 22 giugno 2014

Lo sguardo dell'adulto

Ho pochi anni di vita e sono seduta, come ogni sera, nel salotto di mia nonna. Stiamo guardando la televisione e non è molto tardi. In quegli anni le trasmissioni televisive iniziavano dopo il telegiornale, che terminava alle 20:30. I ritmi di vita erano diversi, mi viene da dire più normali.
 
Occupo la mia poltroncina di vimini accanto alla stufa e come sempre sto bevendo la mia camomilla serale.
 
Non sono uno di quei bambini che vanno a letto presto. Questa infelice tendenza è cominciata più tardi, con la compressione degli spazi vitali legata al pendolarismo.
 
Stiamo guardando alla televisione un film, appena uscito. Ne guardiamo molti, e tanti ne trasmettono in televisione. Non ci sono videoregistratori, non ci sono altri mezzi di trasmissione differita. Lontana anni luce è la televisione on demand e la visione in streaming.
 
Il film si guarda, se si vuol vedere, quella sera, e in quell'orario.
 
Stiamo vedendo Non ci resta che piangere, un film uscito qualche anno prima, che in breve tempo ha riscosso molto successo di pubblico, successo che è arrivato fino al paesello.
 
Lo seguo con fatica, comprendendo soltanto le battute di Benigni, mentre rimane per me del tutto incomprensibile la parlata bassa e aggrovigliata di Troisi.
Anni dopo rivedo il film, senza riuscire a comprendere, lo stesso, nulla. Non capisco nemmeno dove stia questa grande comicità, che proprio non mi giunge.
 
Qualche giorno fa, immagino per celebrare il ventennale della morte di Massimo Troisi, mi trovo a vedere in televisione un suo film, e, con mio grande stupore, a rendermi conto che, al di là della parlata per me semi incomprensibile, dietro alla recitazione c'è uno studio comico che si muove secondo binari e regole a me poco note, ma che hanno una storia e un codice complesso proprio. Mi rendo conto, anche, del garbo del personaggio, di questo modo di recitare quasi se stesso. Infine, mi accorgo del fatto che, pur non rappresentando il mio genere maschile e mostrando, inequivocabilmente, qualche segno della sofferenza portata dalla malattia, è un uomo di un certo fascino.
 
Il fatto di riuscire a vedere aspetti diversi e lati differenti è uno dei tanti segni dell'età adulta, o meglio, della continua evoluzione del mio modo di essere. Vedere quello che prima mi era precluso, riconoscere aspetti che prima non avrei notato, un passo verso l'essere adulti?
 
E mi coglie la nostalgia pensando a tutto quello che mi sono persa in questi anni rincorrendo treni e occupandomi di cose stupide e banali, di cui, francamente, tutto il mondo potrebbe fare a meno.


venerdì 20 giugno 2014

Le sanguisughe

Da circa dieci anni, senza apparente possibilità di evasione, sono condannata da innocente al supplizio di lavorare nel posto di cui vi ho già parlato in passato.
 
Un'azienda grande, ma un contesto davvero troppo angusto, l'ultimo giardinetto lasciato a un capo dispotico quanto ignorante e limitato, dotato di quelle "qualità", stupidità e cattiveria insieme, che rappresentano una miscela esplosiva per chi, come noi, è costretto a conviverci.
 
La nostra quotidiana esistenza è resa oltremodo frustrante dall'assoluta mancanza di livelli gerarchici superiori al suo in loco, lasciando quindi, con grande convenienza dell'azienda, campo libero al nostro frustratissimo capò di sfogare in quel piccolo giardinetto tutti i suoi problemi.
 
Ora, chiaramente l'intelligenza, immediata e prospettica, non sono il punto di forza del nostro uomo. Neppure la comprensione e l'umana empatia fanno parte del ventaglio di qualità che possiede. Se devo essere sincera, dopo anni di sfortunata convivenza, sono ancora qui a chiedermi se ne abbia, di qualità.
 
E così ha un comportamento borderline tra il sadico nazista e il vigliacco di tante commedie all'italiana. Consapevole di non essere all'altezza del ruolo che ha, raggiunto solo per anzianità e perché "arrivato per primo", vive nel perenne timore di essere scavalcato.
 
Fa e disfa in continuazione, crea casi, consuma energie psicofisiche in quantità.
Ma, soprattutto, usa l'arma del riportare sul piano personale ogni problema fittizio.
Incapace di scendere sul piano teorico e tecnico, queste dispute si avvinghiano su loro stesse trasformandosi in farse ridicole e snervanti.
 
L'effetto che ha su di noi questo mal lavorare lo vedo addosso ai colleghi. Siamo un ufficio di presone frustrate, che, in anni di lavoro lì dentro, hanno perso la loro professionalità e faticano a definire le proprie competenze.
Penalizzati da un contratto fasullo (facciamo i giornalisti, non i grafici pubblicitari) non sappiamo come rivenderci, e, quanto peggio, abbiamo perso quasi completamente le nostre competenze tecniche.
 
Insomma, sono satura. Satura di vedere le stesse facce lunghe intorno, per le quali il peso di questo emerito idiota nelle loro esistenza è troppo, e dico troppo, grande.
 
Quello che mi pesa veramente è questo senso di prigionia: vorrei evadere da questo posto... Detesto chi mi ricorda la mia fortuna. Ma quale fortuna, vorrei dirgli, quella di essere sottopagata per fare un lavoro degradante della mia professione e, per giunta, anche vessata da uno sfigato cosmico senza senso dell'umorismo e senza imparare nulla?
 
Di novità, per ora, non se ne vedono. Tanto più che non saprei proprio come rivendermi.
Concorsi pubblici zero, altre cose zero.
 
Non mi resta che scrivere signori, sperando che mai, dico mai, mi capiti di dare sfogo alle mie tensioni.
Altrimenti... sono dolori.
 
 

giovedì 19 giugno 2014

La banalità del male

Prendo a prestito il titolo della Arentd per riflettere sui fatti di cronaca degli ultimi giorni.
In queste ore è impossibile ignorare l'evoluzione dei fatti riguardanti il delitto della giovanissima Yara.
 
Per fortuna (e talvolta per sfortuna) in Italia vige un sistema legislativo che presuppone l'innocenza dell'accusato fino all'ultimo grado di giudizio. E, come mostrano taluni casi in passato, tra cui, ad esempio il caso di Chiara Poggi, non è affatto semplice dimostrare la colpevolezza di qualcuno, per quanto gli indizi siano forti e le prove molteplici.
 
In questi giorni, poi, si è assistito a un exploit di delitti a carico di donne, compiuti da familiari.
 
Insomma, da Motta Visconti alla provincia di Bergamo, ci sono molte mogli, compagne, sorelle e madri che, improvvisamente, si svegliano un mattino e scoprono di avere avuto a fianco un mostro. Un essere capace di uccidere, violentare, aggredire, far sparire un altro essere umano, tipicamente una donna o dei bambini, e di mentire, mentire, mentire.
 
Il copione è quasi sempre questo: uomo aggressore e assassino, donna vittima.
 
Oltre la selva dei commenti del tutto inutili, del tipo "era una persona bravissima" di cui, francamente, potremmo farne a meno, mi sono chiesta se è davvero impossibile che la parte femminile della coppia non si sia resa conto di avere accanto qualcuno con qualcosa che non andava.
 
Comportamenti strani, propensioni poco nella norma, reazioni al limite dell'inaccettabile.
 
Possibile che tutte queste persone si siano nascoste così bene da sorprendere tutti con i delitti conseguenti? Proprio tutte?

Non è che, forse, semplicemente non si è voluto vedere? Più comodo e semplice ignorare quella sensazione fredda e straniante che comunica la paura?

Sperando che tutto vada bene, drammaticamente bene, fino alla fine.
 

lunedì 9 giugno 2014

La sposa e l'autoabbronzante

No, non è un titolo per un nuovo racconto inventato di matrice surreale, è proprio quanto mi è successo stamattina.
 
Lunedì mattina, ho necessità impellente di recarmi in farmacia per comprare una pomata capace di alleviare il prurito terribile che sprigionano alcune punture di zanzara (sono allergica anche a quelle, olé!). Mi reco quindi alla farmacia all'angolo, convinta che si tratti di una commissione semplice e veloce.
 
Chi vuoi che ci sia il lunedì mattina presto in una farmacia di periferia che non abbia fretta di fare la sua commissione e correre al lavoro?
 
E invece no.
 
Entro e sono dapprima contenta di vedere che davanti ho una sola persona.
Una ragazza piccolina un poco sciatta, che parla con la farmacista.
Dopo qualche minuto mi rendo conto che si sta facendo consigliare un autoabbronzante: è davvero incredibile vedere dove la gente butta il suo denaro, mi dico perplessa.
Perché, e lo sanno tutti. l'autoabbronzante macchia, dona un colorito atrocemente arancione, e non dura.
 
I minuti passano: la nostra donna è orientata su delle salviettine impregnate di autoabbronzante (insomma, di male in peggio) a detta della farmacista in offerta (2 euro a salviettina, per capirci).
Minuziosamente descrive l'intero abito, le scarpe, le parti scoperte, quelle coperte e semi coperte, la durata della cerimonia, il luogo e, infine, pure la luna di miele. Il tutto per decidere quante salviette comprare.
 
- me ne bastano due o tre? ma no, esageriamo, facciamo quattro.-
 
La farmacista le fa notare che l'abbronzatura, seppur finta, modello "muratore" o "gambaletto" che dir si voglia, non è il massimo, considerando la prospettiva di una prima notte di nozze e di una successiva vacanza al mare. Ma la nostra, imperterrita, aggiunge solo una salviettina in più.
 
Vai che abbiamo finito, mi dico io, mentre il prurito aumenta, se possibile.
 
No, perché parte la discussione sul tono dell'autoabbronzante: chiaro, medio o scuro?
 
Dopo cinque minuti di valutazioni interessantissime su tono e sottotono della pelle della ragazza, la farmacista le consiglia, prima, di fare uno scrub per un risultato migliore, in particolare sui piedi.
 
Non hanno ancora finito di discutere dell'applicazione ma, finalmente, vengo salvata da un'altra farmacista, la quale mi serve. Esco con la mia pomata, pronta finalmente a schizzare al lavoro (per scoprire che non funziona nulla.... e perdere così due ore a guardare per aria).
 
Intanto mi chiedo: ma, se proprio ci tieni a essere abbronzata, non puoi farti due lampade/andare in piscina????
 
Ti sposi una volta nella vita (o un numero limitato di volte). Ma cosa ti costa evitare di fare delle cose raffazzonate a tutti i costi ed essere semplicemente se stessi? 

sabato 7 giugno 2014

Young forever (and ever)

E' un sabato di inizio giugno, straordinariamente caldo già a metà mattina.
L'umidità è palpabile nell'aria e scivola addosso implacabile.
 
Tra le bancarelle del mercato, attraverso le quali non un filo d'aria passa, l'afa è ancora più implacabile.
 
Ma nemmeno una tromba d'aria può distrarre le fashion galline intente a frugare nel più grande e figo banco da stocchista, quello della Tina, con la quale ho quasi un rapporto di amicizia, dopo anni e anni di frugamento.
 
Tra le tante donne la individuo subito: e come non farlo dato che è letteralmente giallo limone?
E' in coda a fianco a me, alta grazie a 12 cm di tacco giallo evidenziatore, chiaramente a spillo. Ha addosso quello che si ostina a considerare un vestito, ma che in realtà è una maglia lunga, di tessuto sintetico lucido, con una bella fantasia a fiori, e uno sfondo giallo potente.
 
Completa il tutto un'abbronzatura terracotta, un capello lungo e corvino, un trucco adeguato e dei Rayban a specchio, oltre alla borsa Luis Vuitton d'ordinanza. Insomma, perfetto stile Billionaire.
 
Dov'è il problema?
Beh, ha l'età di mia madre, e si vede, nonostante zio botulino sia intervenuto con generosità.
 
Non resisto e, compreso il tipo umano, attacco bottone.
 
- Che bel vestito, ti sta divinamente.-.
 
Massaggiare l'ego, tutto sommato i vanesi sono una categoria semplice da abbordare (e abbandonare).
 
La nostra donna non aspetta altro evidentemente che di essere ammirata e inizia a spararmi tutte le informazioni del caso sull'abito e su... tutti quelli che ha.
Mentre siamo in coda per provare i nostri acchiappi di moda, mi illustra i banchi presso cui acquista, il fatto che lei viene tutti i mercoledì e i sabati, che ha moltissimi abiti e di alcuni ha perso proprio memoria.
 
Con fare imperioso quasi fa scendere a forza dal camion le malcapitate che ci precedono, "tanto hanno delle magliette" e mi trascina con sé. Si vede che è una donna poco abituata ad attendere ed è ansiosa di provarsi degli abiti incredibili che solo lei, oggettivamente può pensare di indossare.
 
Tra questi un abito lungo giallo limone.
 
Mentre si accovaccia per provare una lunga serie di vestiti incappa nel tipico "incidente da camion", la stessa cosa che accade in palestra: ci si spoglia davanti a tutti.
A lei piace esibirsi, è chiaro, e la biancheria che indossa, un triplo pushup e un'illusione di mutanda lo dimostrano, però, tolti gli abiti, si scopre un corpo che deve molto alla chirurgia, e poco alla natura. E, quando di peggio, un sedere cascante... L'età, ahimè, è tremenda.
 
In men che non si dica, come un uragano si mette a dare consigli di moda a tutto in camion. Non c'è una signora che scampa al suo occhio-moda bionico.
- Questo sì, questo no...-.
 
Ho quasi vergogna a spogliarmi: ecco, meno di prima, ma sono sempre fuori forma, e in questo periodo sono tornata a soffrire molto di colite e colon irritabile, per cui sono gonfissima. Alla fine, mi fa prendere due abiti, non senza prima avermi coinvolta in un turbine di complimenti seguenti il suo defilé.
 
Già, perché la nostra donna non si accontenta di provare le cose, ma, a ogni abito, deve saltare giù dal camion e chiamare a raccolta l'intera cittadinanza per valutare quanto bene le stanno gli abiti che sta provando, certa del suo successo. E così volteggia implacabile davanti al camion in una nuvola, manco a dirlo, gialla.
 
- Tina, tesoro, cosa ne dici? -.
 
E, alla fine, prende ovviamente tutto.
Contenta di sé e del mio apprezzamento entusiastico. - Ti sta benissimo, non puoi lasciarlo lì-.
 
Vengo via soddisfatta, pensando che oggi ho fatto un buon bottino.
 
Un personaggio per i miei racconti.
Perché questa davvero la piazzo in un racconto, sissignore.
Non mi sfugge, che diamine.
 
 
 
 

giovedì 5 giugno 2014

10 anni dopo: cena con gli ex compagni

E' un mercoledì dal meteo incerto e capriccioso, che promette tempesta.
 
Non è certo la serata ideale, per una che si fa 100 km al giorno come pendolare, per farne altri 60 per incontrare dei vecchi compagni di corso.
 
Considerate anche che la sottoscritta è un tantinello pigra, e che preferirebbe farsi un bagno caldo e sprofondare sul divano a bere tè verde e leggere piuttosto che incamminarsi sui trampoli verso l'auto e un temporale in arrivo.
 
L'appuntamento è per le ore 21, altro handicap mentale per una che detesta ciondolare per casa aspettando che arrivi l'ora, per così dire. E, in genere, prima dell'ora a me arriva il sonno.
 
Non sono né tesa né in ansia per un appuntamento che so creare qualche problemino a molte persone. Non ho investito ore nel definire il look della serata, anche perché in questi giorni sono stata costretta a sfornare look a raffica per una strana congestione di impegni mondani.
 
So che Carla inorridirebbe, che mi direbbe che è sempre necessario avere (e studiare) un look opportuno per ogni situazione. Ma, dato che ho fatto pace con me stessa e con la mia immobilità forzata dalla crisi, e che certe persone le vedo costantemente, non ho il desiderio di sbattermi più di tanto.
 
Tanto più che, così com'era stato annunciato, il diluvio universale venne.
Per fortuna ero prossima al parcheggio, quando le cateratte del cielo si sono aperte implacabili riversando su di noi, che stavamo rintanati come cricetini ognuno sulla sua auto, fiumi di acqua.
 
La pizzeria era proprio lì, a pochi passi da noi, ma in mezzo c'era il diluvio di Noè a costringerci per circa mezz'ora in auto. Una situazione surreale, in cui il tempo, tranne per i messaggini di wup, era scandito con un ritmo proprio. Fuori dal tempo tecnologico, ecco, al di là di quello sociale, dominato solo da quello della natura.
 
Dopo trenta minuti, affamati, ci siamo rassegnati alla doccia.
 
Sono bastati pochi passi in equilibrio sui sassi scivolosi e un breve tratto di marciapiede per bagnarci completamente.
 
Addio piega: Teresa guarda sconsolata i capelli arricciarsi.
Anna è come sempre impeccabile, gli altri un po' stanchi, stroppicciati.
 
Vedere persone note dopo 10 anni è come vedersi allo specchio di colpo: osservandosi ogni giorno si finisce per perdere inevitabilmente il filo con il proprio decadimento fisico. Perché c'è, non per tutti allo stesso modo, ma comunque c'è.
 
Ebbene, noi reggiamo egregiamente.
C'è chi è uguale, e chi è anche meglio di 10 anni fa.
 
La cena scorre bene, peccato per il locale molto rumoroso e per la mia infelice posizione a capotavola.
 
Una cena breve, motivata dalla tarda ora e dalla giornata lavorativa di oggi.
 
La strada è lunga, a tratti deserta, mezzanotte si avvicina e tiro un sospiro di sollievo quando parcheggio nel mio cortile. A terra, molte pozzanghere che testimoniano il passaggio del temporale anche sopra il mio tetto. In questa notte senza luna ho percorso le strada con il fiato sospeso.
Per fortuna i tanti animali selvatici che infestano le strade della zona travolgendo auto e automobilisti hanno pensato che con quel tempaccio era meglio starsene nella tana.
 
Ed è lì, nella mia tana-prigione in cui io entro, cercando come al solito uno dei miei gatti appostati ad aspettarmi. Stavolta però sono tutti in casa, a poltrire sul divano.
 
Saggi micioni.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

mercoledì 4 giugno 2014

Personal prince charming

Ci sono essenzialmente due modi di leggere Orgoglio e pregiudizio, uno legato alla vicenda e un altro focalizzato sulle atmosfere e sull'ironia della scrittrice.
 
In genere, la prima volta in cui una liceale mette il naso nel libro della Austen (e se lo trova incollato alle pagine fino alla fine) è alla vicenda che bada, ansiosa di arrivare al termine della storia, sperando in un lieto fine.
 
Quello che non sa è che quel maledetto libro e la perniciosa malattia del principe azzurro se le porterà dietro per tutta la vita. Più o meno consapevolmente ognuna di noi ha un suo "tipo" di principe azzurro, ovvero quel tipo di uomo che insegue e che, talvolta tenta inutilmente di ritrovare in una serie di fantocci che incrociano la sua strada (meglio non continuare).
 
Un genere di uomo, possiamo chiamarlo prototipo, che vive quasi di vita propria rispetto agli esseri in carne e ossa, una sorta di fantasma che permea le nostre fantasie e spesso, scherma o sostituisce la realtà. Un fantoccio da cullare e vezzeggiare, una maschera da far indossare forzatamente ai poveri esseri umani che si incontrano.
 
Un eccesso di fantasia, insomma, che con energia inesauribile ci fa cercare un soggetto che diventi oggetto delle nostre fantasie.
 
Come si costruisce un Principe azzurro?
 
Diciamo che si costruisce da solo, usando la fervidissima fantasia del soggetto sognante. A questa va aggiunto: un pizzico di noia, una spolverata di solitudine, un tocco di ingenuità e, talvolta, un imbarazzante rifiuto della realtà.
 
C'è chi ama l'uomo dal fare impositivo e maschile, il macho per eccellenza, chi preferisce il bellone e chi l'amicone.
 
Io, invece, amo il genere orsacchiottone, ovvero il maschio apparentemente innocuo, tranquillo e non votato alla corsa sfrenata alla gonnella più corta. Non amo il maschio patinato, quello, per intenderci, bardato con tutte le firme d'ordinanza, che frequenta i posti giusti, la gente giusta e che tiene più al suo bicipite che alla mia incolumità fisica.
 
Quindi, già partendo così, sbaglio.
Sbaglio per principio: non ci sono uomini innocui.
Ci sono uomini che "sembrano" innocui.
Ma tutti gli uomini, ma proprio tutti, amano vezzeggiare il proprio ego con una bella sventolona a fianco. Alcuni sono anche in grado di amare e apprezzare la tua bellezza interiore, certo, ma lo fanno molto meglio partendo dalla tua bellezza esteriore, che ci deve essere.
 
E poi, ho un debole per gli intellettuali sensibili.
Con queste premesse sono già in pole position per prendermi una fregatura colossale.
 
Avete idea di quanti cialtroni pseudo colto/artista ci siano nel sottobosco di alcuni ambienti?
Moltissimi, tanti quanti i granelli di sabbia su una spiaggia caraibica.
Ad aver fascino, per me, è probabilmente la luminosa attrattiva delle loro ambizioni e dei loro interessi intellettuali. Il perché è presto detto, perché io sono un'intellettuale, ovvero il mio approccio all'esistenza è di questo tipo: mi piace sapere il perché delle cose, vedere come funzionano e da cosa si originano. Non si tratta solo di avere a che fare con un essere "pieno di nozioni", ovvero colto. Quello che mi intriga di più è la curiosità e la capacità di aprirmi nuovi orizzonti, farmi conoscere delle cose diverse, non imbottirmi di cultura take away.
 
La curiosità è l'altra faccia della noia, e io che vengo da un posto noioso, fatto di vite noiose e perfino di fantasie noiose come le canzoni degli 883, mi esalto subito all'idea di prospettive diverse.
 
Che bello, gracchia la mia testa scema e piena di nuvole, perdersi in alta montagna a osservare la marmotta... senza tener conto del fatto che 1) soffro di vertigini 2) detesto camminare in salita 3) ho il menisco malconcio 4) la marmotta dovrebbe venire a presentarsi direttamente da me per far sì che io la riconosca tra le altre bestie 5) odio il freddo, la polenta con il capriolo (orrore!) e gli scarponi che fanno venire le vesciche.
 
Questo per darvi un'idea.
 
Un'idea del fantasma che mi impedisce di apprezzare, forse, delle persone "normali" ma a modo loro eccezionali.
Peccato che con il mio essere di indole inquieta il quieto fascino delle normalità abbia poca presa.
 
E dunque, via con i casi umani, i tanti squinternati che ho incontrato e che, francamente, mi chiedo da dove siano usciti.
 
Ora sono nella fase dissipa il fantasma: ovvero, una volta riconosciuto l'inganno evita la fregatura.
Come si fa? Oltre a riconoscere i tratti salienti del mio naturale "candidato fantasma o principe" è con la conoscenza approfondita e continuata che la leggenda si sfata.
Perché solo non conoscendo bene una persona si riesce a incastrarla in un abito che non è il suo, in una personalità che non è la sua.
 
Purtroppo (o per fortuna, dipende dai casi) la fantasia non resiste alla realtà. E talvolta la realtà può anche sorprendere più della fantasia, in un mondo bidimensionale fatto solo di aspettative unilaterali.
 
Il fatto è che per realizzare questo tipo di conoscenza serve tempo e coscienza di sé, due cosette non proprio da nulla....

lunedì 2 giugno 2014

Sos cibo

Come si fa a difendersi da una storia familiare di food addicted?
 
Saranno stati gli anni difficili della guerra, le incertezze legate al futuro, la scarsità di beni, ma nella mia famiglia, da entrambe le parti, si è sempre mangiato troppo.
 
E, per giunta, anche male.
Il cibo più sano e più desiderabile è sempre stata la carne. Avessero potuto mi avrebbero imbottita di carne mezzogiorno e sera. Le leggende metropolitane circolanti sulla carne erano molte: fa crescere, fa sangue, non fa ingrassare (soprattutto la cotoletta alla milanese!). E allora dai con una bistecchina o due al giorno, belle dure e carbonizzate, perché la bambina è così pallida (sono bionda non sono pallida), non ti piace, e allora mettiamoci su sottiletta o maionese o tutt'e due....
Per non parlare della platessa impanata e fritta, oppure di qualche altra bella creazione culinaria.
 
I bei tempi dei sofficini, dei buondì o delle girelle.
Io sono cresciuta così a Spuntì e bastoncini Findus, magari a hamburger surgelati.
 
Finché non ho cominciato a cucinare io.
 
Fatto sta che io, di natura, sono un soggetto poco appetente, dal metabolismo lento, amante di una serie limitata di cibi possibilmente non bisunti e trasudanti grassi saturi.
 
Ma sono assediata da gente che mangia troppo, che cucina troppa roba, che mi rende impossibile seguire le mie esigenze. E' così comodo cucinare in anticipo, sostiene mia madre, che mangia, di norma, almeno il doppio di quanto mangio io. Così ci sono dei comodi avanzi per il giorno dopo.
 
O per l'intera settimana, penso io, riflettendo su quelle teglie infinite di zucchine ripiene che mi perseguitano anche nel sonno. Fatto sta che gli avanzi sono sempre troppi, e per non buttare il cibo (Sacrilegio!) si finisce per mangiare troppo.
 
I risultati poi si vedono, e sul cibo, la cui abbondanza nella nostra moderna società è simile a una persecuzione, vengono scaricate tutta una serie di problematiche e distorsioni.
 
Sono assolutamente consapevole del fatto che, per perdere peso, sarebbe sufficiente che io mangiassi solo quanto e quando (perché tante volte non mi viene fame) ho bisogno, senza diete.
 
Mia mamma non finisce mai di mangiare, dicendo che mi ingozzo velocemente. Le sfugge, forse, che io semplicemente mangio molto meno di lei, e non mi sforzo neppure...
Eppure se viene avanzato del cibo che poi "non va" è sempre automaticamente colpa mia che non l'ho mangiato e non che ne è stato cucinato troppo. Insomma, ogni volta che vedo circolare quelle confezioni famiglia di pollo ho il disgusto.
 
Così ho iniziato io a fare la spesa: cercando confezioni "umane" e preferendo i quantitativi da single.
Ma neppure così riesco a salvarmi: arrivano nel mio frigo salami infiniti, quarti di forme di formaggio che poi, per non far andare a male, si finisce per mangiare tutti.
 
Insoddisfazioni, noia, fastidio, tutto viene proiettato lì, e non serve non comprare certe cose se poi ne compaiono altre...
 
 
 
 
 

domenica 1 giugno 2014

Bricodelinquenti

E' domenica mattina, mi sono svegliata più volte nelle notte per colpa della solita allergia ai pollini. Con fatica ho ripreso sonno, per svegliarmi ancora verso le 7.
 
Ho un fastidioso cerchio alla testa, un principio di malumore e... un martello, o una mazza, che pesta in modo assordante proprio vicino casa.
 
E che cavolo, mi dico, alle sette del mattino di domenica no...
 
E invece sì.
Nel cortile di fronte ecco campeggiare l'homo italicus bricolensis, ovvero quell'essere di sesso maschile, educato dalla mamma italiana che, per il solo fatto di essere uomo, è in possesso di singolari virtù pratiche, al contrario delle donne, che, per giunta, è pure ingegnere.
 
Egli ha assoldato anche moglie e figlia (scommetto per i lavori pesanti) per costruire una copertura semovente fai-da-te per un barbecue di dimensioni monumentali, della tipologia di quelli americani, per evitare la seccatura di doverlo continuamente movimentare per fare due braciole.
 
Io per fare due braciole avrei anche evitato di comprarlo, ma comunque...
 
Ecco che dal felice nulla sta sorgendo una vera schifezza architettonica in puro stile brico: mentre già inizio ad avere nostalgia del buio che stava oltre la siepe, ecco venirmi incontro la visione di un orrore a scaletta, con quattro pali sbilenchi in finto legno, che, dopo alcune ore di battitura senza sosta (e senza alcuna forma di pudore domenicale) sormontano un tettuccio rosso in finti coppi di plastica.
 
Mi pare di essere il vecchietto che dà istruzioni su come far procedere il cantiere, mentre troneggio dall'alto del mio balcone, sconsolata. Ecco, mi dico, quei quattro pali nudi sono proprio simili ai patiboli. Anzi, in Iran li fanno proprio così...
 
Ma che bello, c'è chi ha il laghetto con le carpe, chi una Madonna di gesso a dimensioni naturali, chi i nanetti da salvare e io, invece, ho il patibolo delle salamelle.
 
E c'è solo da sperare che il vento non soffi costantemente verso casa mia... giusto per raddoppiare la sofferenza.
 
Tutto soddisfatto il nostro ingegnere contempla il bel risultato. E' una bella giornata, l'ideale per un giro in bicicletta. Dopo aver lasciato da pulire e sistemare al comparto femminile (as usual), il nostro abile professionista scappa via.
 
Io intanto penso che un conto è progettarle le cose, un altro è realizzarle manualmente.
La manualità prescinde dalle certificazioni scolastiche (così come un sacco di altre cose) e, spesso, non coincide con una laurea.
 
Mentre il bricoleur se la dà a gambe, le donne puliscono io mi chiedo: ma, avranno pensato che può pure piovere di traverso prima di mettere in piedi una simile schifezza?
 
Intanto prego, prego che non venga una tromba d'aria, e che qualcuno lassù ci protegga dal patibolo volante...