L'aria è ancora densa di nebbia, l'umidità mi si disegna addosso mentre avanzo, in religioso silenzio e in deliziosa solitudine. Percorro leggera e grave la stradina sterrata, costeggiata da alberi secolari, che distendono le loro fronde sul mio capo, quasi anticipando la benedizione francescana.
E' una prima mattina di maggio, ma sul monte Subasio sembra novembre.
Li ho battuti tutti, quei pellegrini vocianti armati di bastoni in ascesa all'Eremo delle carceri, ignari di cosa siano quattro km in salita.
Sono sgusciata via anche dai pullman, con la mia agile piccola Yaris.
Eccomi qui, non prima, ma quasi nel luogo che, per me, è il più mistico della zona.
Scivolo veloce tra i cunicoli dell'Eremo. Scendo le scalette, sguscio tra le porte minuscole, in cui solo i bambini e i nani come me possono passare agevolmente.
Così, nel silenzio più assoluto, eccomi di fronte al giaciglio del Santo e in preghiera nella minuscola cappelletta comunicante. Forte della mia piccola statura scendo quasi fino alle grotte, per poi risalire, nel bosco silenzioso, imponente, ma amico.
Tra la nebbia non cerco né il perdono francescano, né le risposte alle mie molte inquietudini, né altro. L'assoluto silenzio mi tranquillizza, e io mi fermo, guardando di sotto in un attimo irripetibile di pace perfetta, qualcosa di molto vicino, credo, all'illuminazione. In quell'istante so, con assoluta certezza, che questo senso di compiutezza non mi pervaderà ancora facilmente. In quell'istante non desidero, non soffro, non temo, non aspetto, non cerco.
Quasi dispersa rientro nella piccola chiesa e, dopo il consueto rito dell'accensione della candela, mi siedo per un ultimo momento di preghiera.
Quando, mentre sto seduta sugli scranni secolari, irrompe quella che è, senza ombra di dubbio, una turista americana. Essa porta un cappellino di tela in testa, dei bermuda color corda, delle scarpe da ginnastica massicce, calze di spugna e una bella felpona di colori vivaci. Al collo un paio di macchine fotografiche enormi, e uno zainetto sulle spalle. E non somiglia a Barbie, è poco ma sicuro.
Si precipita come una furia in chiesa, avanza a grandi passi (e dopo tre è già fuori dalla chiesa) e scatta una serie di foto nonostante il divieto con un flash che manco alla notte degli Oscar...
Dopo aver cercato di infilarsi di sotto, torna indietro e mi si rivolge trillante e travolgente: - Excuse me, bar? Cappuccino? -
La guardo attonita. Subito credo di non aver capito, oppure che si tratti di uno scherzo.
La cavallona mi guarda, pensando forse alla solita italiana che non capisce l'inglese (anche se probabilmente lo scrivo più correttamente di lei).
E mi ripete il tutto mimando quello che dovrebbe essere una tazza e fa il gesto di bere.
Credo che, in quel momento, mi sia caduta la mascella, e che le mani, in grembo mi si siano sciolte all'istante, cadendo lungo i fianchi. Quando ho realizzato che stava cercando il bar e che pensava di trovarlo lì dentro, mi sono depressa.
Sono stata tante volte negli Usa e so che, mediamente, loro cercano il folklore e non la conoscenza, salvo rari e selezionati casi.
Ma che cercassero un bar in un eremo...
Mi sono riavuta temendo che iniziasse di nuovo a starnazzare, e le ho risposto: - Outside, madame, I think. This is a Church, not a shopping center.-
Questa è uscita è ha iniziato a strillare :- Outside guys, outside. Is not here.-.
In quel momento ho capito che era giunta l'ora di andare.
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