Finalmente uno spettacolo capace di rapirmi e coinvolgermi, tanto da farmi dimenticare completamente le tre ore passate seduta sulle poltrone del Piccolo, imbalsamata nella posizione del fenicottero, nel tentativo di vedere oltre la testa della ragazza che avevo di fronte (sempre più alta di me nonostante l'inclinazione del piano).
Ho letto a sufficienza l'opera per riuscire a districarmi tra le sanguinose vicende che portano il Riccardo protagonista della tragedia a divenire re d'Inghilterra.
Riccardo è un personaggio destinato a essere crudele, così come la natura è stata crudele con lui. Deforme, ripugnante, non amato, diverso, si fa largo a suon di omicidi.
A volte sembra quasi che sia l'omicidio in sé quello che cerca, come se il sangue altrui potesse placare la sua rabbia congenita, che nasce dall'impossibilità di relazioni normali e dall'aver respirato violenza e odio senza sosta.
Riccardo è un personaggio assolutamente negativo, la cui brama di sangue confina con il demoniaco.
In lui non c'è un barlume di pietà, di ravvedimento, di dubbio.
Ma è in questo specchio deformato e a tratti caricaturale che possiamo scorgere la verità sui suoi tempi. Molti sono i personaggi in scena, legati tra loro da un filo di rancore, rivalsa e lutti. Si scopre subito come la corona d'Inghilterra sia grondante di sangue: non c'è stato re che non abbia ottenuto la corona se non con guerre e con esecrabili spargimenti di sangue.
Alla fine Riccardo non è poi così diverso dagli altri, solo, non ha cuore.
Non ama nessuno, neppure se stesso.
In un vortice di violenza che chiama violenza senza fine elimina tutti coloro che ritiene ostacoli verso il trono. Una volta salito al trono è vittima dell'insicurezza che ha animato molti potenti sanguinari, da Nerone a Caligola, che vedono dietro a ogni volto un possibile traditore. Vittima dei propri incubi, anche in questo non mostra un'umanità che va oltre la paura, infantile e cieca.
L'escalation di omicidi prosegue senza sosta, la sensazione di rotolare verso gli inferi sempre più forte e la conclusione più scontata, la morte del tiranno senza pietà e senza Dio.
Nonostante qualche attualizzazione e qualche contaminazione che lascia perplessi (per esempio lo strano mix di costumi, che uniscono il medievale alle divise degli anni '40 del 1900, con richiami austroungarici, la convivenza ambiziosa tra spade e armi da fuoco) lo spettacolo mi è sembrato coerente, armonioso, ben equilibrato tra le parti.
Non c'era, insomma, quella mezz'ora di troppo che fa sì che mi metta a guardare l'orologio, e neppure una caduta di tono, mai.
Due parole sul cast: quanto sia difficile portare il cognome Gassman e recitare credo sia comprensibile. Una parola sola, superlativo, e non lo dico perché come la maggior parte delle donne sbavo dietro a quel bellissimo e affascinante uomo che è.
E' proprio un degno erede.
E gli altri, soprattutto il sicario e la madre, sono altrettanto bravi.
Da vedere e rivedere.
Infine, mi si scioglie il cuore quando, nel teatro buio, dopo che la rappresentazione è rotolata verso il tragico finale in un crescendo di emozioni, si levano le note dei Dire Straits, e la chitarra di Marc Knopfler pizzica le corde più delicate della mia emotività.
In quel momento vorrei che non smettesse mai, e che le luci non tornassero mai a riaccendersi.
In quello stato d'animo sarei pronta ad accogliere quasi chiunque si presentasse al mio cospetto con le mie stesse emozioni in mano e nello sguardo.
State tranquilli, non si è presentato nessuno, e me le sono portate come sempre a casa le mie emozioni con tutto quello che le sta intorno. E chi le vuole, siamo seri.
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