domenica 30 marzo 2014

Donne plagiate da Sex&thecity

Premetto di non essere una fan dell'omonimo telefilm, che ho trovato, per quanto poco ne abbia visto, quando di più lontano dalla nostra realtà femminile e quanto di più pieno di stupidi luoghi comuni sul gentil sesso.
 
Tuttavia, ho potuto notare come il costante senso di inadeguatezza femminile, sempre rinfocolato da giornali e trasmissioni tv, abbia trovato in questo telefilm americano imperitura fonte di ispirazione, tanto da rendere alcune donne schiave delle mise imposte da Carrie&Co (date un'occhiata a come si veste davvero nella vita quotidiana, per favore).
 
Avere presente lo storico locale Zelig a Milano? Quello in viale Monza 140, per intenderci, nato come circolo.
 
Ecco, chi non c'è mai stato non sa di cosa si tratti. E, in particolare le donne, vengono abbigliate come dovessero andare in discoteca o in tv, senza rendersi conto che ci si trova in una stanzetta molto ruspante, con tavolini di alluminio, e tre gradinate decisamente alte su cui arrampicarsi e star seduti come appollaiati  su  un ramo.
 
La discesa è poi la parte migliore...
 
Quelle che non ci sono mai state si individuano subito per le loro mise inappropriate.
Ma ogni tanto qualcuna riesce a spiccare nella folla.
 
Abito estivo semi trasparente rosa cipria (guai se non è all'ultima moda), calze bandite, abbronzatura finta, orecchini a lampadario e scarpe con tacco chilometrico, trucco in quantità industriali: l'occhio si appanna quando vede dove è finita e, soprattutto, dove dovrà arrampicarsi e da dove dovrà scendere per vedere lo spettacolo. I gradoni sono alti almeno 40/50 cm, sono foderati in linoleum d'antan rosso, e sono duri come il marmo. Il cappotto, se ce l'hai devi tenertelo in braccio e la borsa poggiata a terra.
Non è, insomma, il posto giusto per sfoggiare le ultime tendenze in fatto di moda.
 
Intorno, lo sguardo divertito delle altre donne e ragazze, quelle che, di certo, lei ha pensato di abbagliare con la sua mise d'attacco (una vittoria facile facile in mezzo a quel popolo di jeans).
Ridono sotto i baffi ed è come una rivincita della donna normale e... reale su quella plastificata dei telefilm.
 
Per due ore, la nostra modaiola rabbrividisce nella sua canottiera, seduta scomodamente con i gradini, seduta a fianco di un poveretto assolutamente normale, che alla fine dello spettacolo deve caricarsela letteralmente in spalla per farla scendere, infreddolita e anchilosata.
 
Forse, stando a come guardava le altri "sciattone", avrebbe preferito essere lì con una che è in grado di muoversi con le sue gambe e che non deve essere poi rianimata come un bastoncino di pesce...
Morale: se tutti sono in jeans e tennis, spesso, c'è un perché....
 



sabato 29 marzo 2014

Una identità diversa

Al peggio pare non esserci limite e la riprova vivente della suprema verità enunciata, parecchi anni orsono, da un compagno di Liceo, il quel sosteneva che una volta toccato il fondo si potesse sempre scavare, è il nostro orribile ciccio. Dopo aver dato segni di isterismo per due giorni di fila, ieri mattina ha avuto la grandiosa idea di chiamarci nel suo ufficio uno alla volta per farci una sfuriata, basata, come sempre, su motivi del tutto pretestuosi.
 
La spiegazione vera sta nel fatto che lui scarica nell'unico posto dove può farlo e sulle uniche persone su cui può prendersela i suoi problemi di tipo personale e lavorativo.
 
Mentre aspettavo la "convocazione" mi sono ritrovata a pensare con distacco a come reagire.
Il mio problema sempre quello di non trascendere nelle reazioni, più che non di reagire, come tutti coloro che fanno un impiego esasperato di diplomazia e pazienza.
 
Inoltre, in questo periodo e ormai da diversi mesi, sono sovraccarica di lavoro, il quale resta sempre mal distribuito e ancor peggio retribuito.
 
Da tempo sto accumulando stanchezza "cattiva" quella che inquina i pensieri, che rende le persone astiose e insoddisfatte, che logora loro l'esistenza, facendole concentrare su inezie e distogliendole dalle cose importanti.
 
Ebbene, stavolta gliene ho cantate quattro.
E credo che non sarà neppure l'ultima.
 
Di fronte al solito copione, ovvero sfuriata basata sul nulla, con silenzio seguente del malcapitato che, in parte esterrefatto, in parte compatente, cerca di abbozzare perché ogni affermazione basata sulla razionalità è destinata a fare un buco nell'acqua, stavolta ho un po' rimescolato le carte, saltando su con un: - Ma cosa stai dicendo? Ma secondo te io faccio una cosa contro di te? Ma cosa dici è una cosa talmente stupida che è evidente che una persona intelligente come me non può nemmeno pensare lontanamente di farla. -.
 
Mi pare che abbia avuto il suo effetto, così come l'ignorare palesemente certe affermazioni provocatorie.
 
Confesso di avere avuto la fortissima tentazione di piantare lì tutto e dire: - Sai che c'è, fattelo da te.-.
Ma non ho intenzione di dar nessun tipo di soddisfazione e neppure di lasciarmi intimidire.
 
E questa trasformazione, in parte, la devo anche allo scrivere, che mi ha reso più forte e più consapevole.
 
Si prevedono scintille.

martedì 25 marzo 2014

Il naso

Sono seduta in metropolitana, come al solito carica di borse, avviluppata nel cavo delle cuffie, reggendo in bilico sulle ginocchia la borsetta, la custodia dell'iPhone, il Kindle e il mio quaderno degli appunti e un libro intenta a pasticciare per cercare la canzone giusta su Spotify quando il mio occhio cade sulla mia dirimpettaia.

E' una ragazza giovane, seduta nel posto d'angolo, di fronte a me. 
Oggettivamente non è una bella ragazza, ha tratti poco regolari, ed un fisico altrettanto poco regolare.
E, soprattutto, ha un gran nasone.
La vedo bene, di profilo, ha proprio una super gobba.
Cerco di osservarla senza farmi notare, non vorrei essere maleducata.

Mmmm, ha un naso proprio come il mio. 
Un bel nasottone, quello che, già in fasce, i miei avevano individuato tra i miei tratti come una poco piacevole eredità paterna, pronosticando una bella operazione correttiva da adulta.

Eppure, guardando bene la ragazza davanti a me, ne scorgo anche i pregi.
Nel suo insieme, ha un viso interessante e non scontato, un aspetto non banale, anche se poco consueto. 

Ci penso su mentre torno a casa, e la mia sorpresa è grande quando mi rendo conto che, sì, anche un volto che non rispetta canoni estetici propriamente classici può avere il suo fascino. 

Il mio, purtroppo, non li ha. 

Sarebbe opportuno e sensato farsene una ragione, cosa che, poco opportunamente e ancor meno sensatamente, io non sono stata, fino a poco tempo fa, in grado di farmene.

Però, mi chiedo, se riesco a vedere il bello anche addosso a chi ha i miei stessi chiamiamoli difetti, potrei anche trovare il modo di, non dico apprezzare, ma accettare i miei. Che per una che si è sempre vista bruttina non sarebbe affatto male.

lunedì 24 marzo 2014

La scrittura è come una pianta

Mi sento svuotata.

Dopo tre riscritture, se non quattro, e altrettante pesanti revisioni, posso considerare finito il racconto per il concorso.

Lo odio, per farla breve.

Scriverlo mi ha dato solo dispiaceri a non finire.

Innanzitutto io non vorrei partecipare a un bel niente, dato che la mia nota emotività e la mia arcinota timidezza non mi agevolano certo. In secondo luogo, il trovarmi costretta a produrre entro una determinata data (ravvicinata) un pezzo molto breve, 3.600 battute, poco più di una paginetta, per capirci, mi ha subito fatto sentire "incastrata", la stessa sensazione spiacevole che mi ha dato l'infilarmi in un abito troppo stretto, troppo colorato e troppo aderente (per intenderci quello del matrimonio di Cristina).

Ho coccolato un'idea per il mio racconto, molto intima e molto difficile. 
L'argomento è delicato, senza dubbio e subito ho iniziato a patire la mancanza di spazio.

Al centro di tutto una lettera.

Voi non ci crederete, ho mal di pancia da tre settimane.
Dormo poco e male, sogno abbandoni, adozioni e lacrime a tutto spiano e mi sveglio più stravolta che mai.
Oggi ho inaugurato la settimana con una triplice occhiaia da urlo (di orrore) e ho tutt'ora mal di stomaco.
Prego, per farla breve, che sia un po' di influenza (insomma un virus dai) o qualche altra cosa del genere. 

In realtà sono proprio mal messa.

Comincio a pensare che la scrittura, o meglio, la narrativa, sia come una pianta: ha bisogno di spazio per le radici, per farla breve, altrimenti non ha modo di svilupparsi. 
Mi sento come la pianta con le radici tutte compresse!

Ieri sono arrivata a pensare, nel tardo pomeriggio, di non voler più scrivere per almeno 15 giorni, di aver bisogno di una tregua, di una vacanza, nel senso etimologico del termine, da tutto e tutti, per ricreare i miei sensi un po' troppo affaticati e scrivere solo 

I cattivi pensieri ricominciano a inseguirmi e ho bisogno di raccoglimento per allontanarli.

Non me ne vogliate, ma, oltre che di spazio, ho bisogno di un po' di tempo.






sabato 22 marzo 2014

Una porta pesantissima

E' quella che sono chiamata ad aprire. Dove mi porterà non lo posso sapere, ma posso intuire che, dopo aver fatto questo sforzo titanico, sarò più serena.
 
Non posso neppure tirarmi indietro, perché il processo di cambiamento viene da lontano e non ho potuto evitarlo. Se, ma è inutile ragionare con i se, se le cose fossero andate diversamente, ora non sarei qui alle prese con le fatiche e i dolori di un'adolescenza di ritorno, e precisamente nella fase del cambiamento.
 
Per il mio bene sto cercando di cambiare il mio atteggiamento e il mio modo di reagire. Alla mia età, capirete, non è semplice, dato che ci sono meccanismi mentali consolidati (o, per meglio dire, cementificati) che è difficile modificare.
 
Il tutto ha a che fare con l'idea e la considerazione che ho di me.
E' molto più facile, quando si cerca di superare qualcosa, buttarsi a corpo morto in una nuova impresa, attività, oppure compensare in maniera impropria.
 
Riflettere su di sé, sui propri pregi, sui difetti, sulle modalità di reazione, a questo punto, è fondamentale per poter ricominciare in modo diverso.
 
Però, nel frattempo, che fatica cercare di cambiare.
Con la convinzione che una cosa non sostituisce ciò che mi manca, sto resistendo stoicamente... a tutto. Al cibo, allo shopping compulsivo, al tagliarmi i capelli e cambiare colore ogni 15 giorni, all'autocompiangimento e alla bulimia da impegni extra.
 
Mi sono chiesta più volte se cela farò, ma soprattutto, mi sto domandando, come ci arriverò.
Questa settimana ho passato giorni orrendi, in cui ho combattuto con me stessa fino allo spasimo.
Sono prostrata: mi sto impegnando più che posso, ma dire che sto un po' meglio è una menzogna bella e buona.
 
Il tempo pare migliorare le cose: sarà vero?
Quanto durano le fasi acute?
 
Per il momento mi pare di galleggiare in un mare di vuoto, il vuoto doloroso del cuore. Mi sembra di nuotarci in mezzo con vigore, disciplina, anche coraggio.
Basterà?
 
Non so proprio dirlo...

sabato 15 marzo 2014

Riforma del lavoro, fregatura mascherata?

Oggi è ancora soltanto una proposta di legge, ma la riforma della disciplina del lavoro in discussione mi crea qualche perplessità e, nel leggere alcuni commenti scritti da persone certamente più competenti di me in materia, mi fa nascere un sospetto, ovvero quello della fregatura mascherata.
 
Partiamo da questo presupposto, che dire a un italiano che subito gli verranno dati, in media, 80 euro al mese in più in busta paga, equivale a indurlo, nella maggior parte dei casi, a gioire come un bambino scemo, cui abbiano dato un pacchetto di caramelle subito, invece di uno scaffale intero dopo un mese.
 
I salari italiani sono bassi, troppo bassi in rapporto al costo della vita.
Su questo siamo tutti d'accordo.
 
Ma il sospetto che per avere tre soldi in più in tasca si rinuncino a tutele fondamentali mi sorge spontaneo.
Per esempio, consideriamo l'idea, buttata lì come fosse una cosetta da nulla, di eliminare la cassa integrazione in deroga.
La trattenuta che ogni mese mi fanno in busta paga per sostenerla,  non mi fa certo piacere, ma non so quante persone siano consapevoli del fatto che alcune tra le forme contrattuali più usate in Italia, come il CCNL del commercio, non prevedono il ricorso alla cassa integrazione.
Per cui, nel caso in cui un'azienda attraversi un periodo di crisi, non esistono reti sociali capaci di sostentare per quel periodo i lavoratori.
Eliminare la cassa integrazione in deroga, e non sto difendendo l'uso massiccio e talora improprio che se ne è fatto in questi anni, significa togliere un'importante salvagente a un grande numero di lavoratori, e questo è, secondo me, pericolosissimo.
Di fatto, è una diminuzione dei diritti.
 
E parliamo dell'ipotesi di eliminare la detrazione "familiare a carico" per incentivare l'occupazione femminile. Ma chi è quel cretino che pensa che ci possiamo bere una simile baggianata?
Il sesso femminile, in un paese fortemente maschilista come l'Italia, è penalizzato già in partenza: tra un candidato uomo e una donna, si preferisce l'uomo, a meno che la mansione sia poco remunerata.
 
Solo aumentando i servizi alla persona si può incrementare l'occupazione femminile.
Così com'è adesso la situazione, togliere la detrazione è solo un aumento delle tasse mascherato.
 
Parliamo poi degli apprendisti. Apprendisti tutta la vita, forse.
E dei contratti a termine, 36 mesi senza motivazione. Bene, mi sono detta, così avremo ondate di disoccupati a 36 mesi invece che a 12.
 
Io resto sempre del mio parere: è un'impresa difficilissima, ma è la mentalità che va cambiata.
In Italia si pensa sempre ai lavoratori come a bassa manovalanza da pagare il meno possibile, non c'è rispetto per la professionalità e neppure si cerca di svilupparla.
Il timore è quello di investire su una persona che se ne andrà, e non di puntare su qualcuno che, meglio formato, lavorerà meglio.
 
In questo clima di generale sfiducia, questa riforma non mi pare adatta a creare posti di lavoro.
Per quelli ci vogliono meno tasse alle imprese, e non meno tutele.
 
 
 
 
 
 

martedì 11 marzo 2014

Layla - E. Clapton


What'll you do when you get lonely

 And nobody's waiting by your side?

 You've been running and hiding much too long.

 You know it's just your foolish pride.

 

Layla, you've got me on my knees.

 Layla, I'm begging, darling please.

 Layla, darling won't you ease my worried mind?

 

I tried to give you consolation

 When your old man had let you down.

 Like a fool, I fell in love with you,

Turned my whole world upside down.

 

 Layla, you've got me on my knees.

 Layla, I'm begging, darling please.

 Layla, darling won't you ease my worried mind.

 

Let's make the best of the situation

 Before I finally go insane.

 Please don't say we'll never find a way

 And tell me all my love's in vain.

 

Layla, you've got me on my knees.

Layla, I'm begging, darling please.

Layla, darling won't you ease my worried mind.

 

Layla, you've got me on my knees.

 Layla, I'm begging, darling please.

 Layla, darling won't you ease my worried mind

La penitente

Questo è il nuovo soprannome che mi ha dato mia madre, quando l'ho informata del fatto che ho decido di fare una serie di rinunce in occasione della Quaresima.
 
Ogni volta le capito a tiro, compresa la mattina alle 6, mi apostrofa irridendomi con questo soprannome. - Ma le fette biscottate sono concesse, oppure anche queste sono da mettere nella lista nera?-.
 
Il principio non le è stato immediatamente chiaro. Onde evitare che il nostro killer di diete si mettesse a sfornare dolci su dolci, ieri sera, al ritorno dalla palestra, le ho detto che io, fino al 20 aprile, non avrei mangiato dolci, formaggi e salumi e non avrei bevuto bibite (un sacrificio enorme per chi, come me, è Coca Cola dipendente).
 
Questo per informarla sulle mie limitazioni alimentari autoimposte, dato che l'approfondita conoscenza del soggetto mi dà la matematica certezza che proponga l'ultimo cotechino della stagione, ricevuto in dono in un cesto natalizio, esattamente il venerdì di Passione (già successo, e di fronte alla mia faccia interdetta mi fa: - scade, vorrai mica buttarlo! -).
 
Non vi dico lo stupore, seguito da una bella risata e dal commento:- Speriamo che almeno ti faccia dimagrire.-
 
Ed è questo che mi dà da pensare: se avessi annunciato l'inizio di una feroce "dieta bikini" in vista della vicina stagione balneare, avrei ricevuto il plauso materno, anzi, la sua speranza che ritorni ad avere il fisico Twiggy che avevo anni fa, non è mai morta.
 
Se avessi detto che intendevo dare battaglia a uno dei moderni mostri fantasma, ovvero il colesterolo, allora avrei ricevuto dei complimenti a non finire.
 
Ma io non lo faccio per questo. I miei esami del sangue sono perfetti. Non ho intenzione di affidarmi a diete drastiche perché non riesco poi a sostenere un'intera giornata di lavoro e non voglio riempirmi di smagliature.
 
Voglio proprio fare 40 giorni di Quaresima, ovvero di rinunce e riflessione, così come è lo spirito originario del periodo.
 
Mi sono resa conto che, a grandi linee, ho due possibili strade da seguire: la prima che è quella di buttarmi su qualsiasi cosa mi dia l'illusione temporanea di un riempitivo, quindi cibo, oggetti (del pacchetto Quaresima fanno parte altre cose), non riflettere e non affrontare emozioni e  stati d'animo, la seconda è quella di partire dal presupposto che il dolore e il disagio non finiscono prima se fai finta di ignorarli e di "andare avanti". La rinuncia è il mezzo, a mio modo di vedere, più adatto per riprendere il controllo su me stessa. Accettare la parte emotiva, per me che sono assolutamente portata a razionalizzare tutto, abolendo quello che non è spiegabile, è il primo passo verso... l'uscita!
Il secondo sarebbe quello di viverla, ma per questo ci vuole tempo.
 
Per cui, signore e signori, buona Quaresima a tutti.
 
 
 
 

lunedì 10 marzo 2014

E adesso?

E adesso, mi ripeto smarrita a metà della lezione di danza.
E adesso, cosa faccio, mi chiedo nello spogliatoio solitario, mentre una goccia d'acqua mi cola sul volto.

Fino a ieri oggi mi sembrava un'opportunità.
Mi sembrava quasi di pensare con sollievo al giorno dopo la fine.
Quel giorno è arrivato, ma il sollievo è svanito, veloce come una bolla di sapone.

E adesso, penso stranita, adesso che non ho obiettivi, non ho speranze, non ho una data cui tendere, non so che fare.

La giornata scorre lenta e inconcludente, lasciando spazio a questa tristezza serale.

Mille banalità riempiono la mia mente, il tempo, le ferite, la cura: tra l'oblio e l'emozione, che temo, forse preferisco quest'ultima.

Il vuoto è come una lentissima morte, in fondo, in cui mille giorni tutti ugualmente grigi stanno davanti a me.


Riccardo III, cupe emozioni

Finalmente uno spettacolo capace di rapirmi e coinvolgermi, tanto da farmi dimenticare completamente le tre ore passate seduta sulle poltrone del Piccolo, imbalsamata nella posizione del fenicottero, nel tentativo di vedere oltre la testa della ragazza che avevo di fronte (sempre più alta di me nonostante l'inclinazione del piano).
Ho letto a sufficienza l'opera per riuscire a districarmi tra le sanguinose vicende che portano il Riccardo protagonista della tragedia a divenire re d'Inghilterra.
Riccardo è un personaggio destinato a essere crudele, così come la natura è stata crudele con lui. Deforme, ripugnante, non amato, diverso, si fa largo a suon di omicidi.
A volte sembra quasi che sia l'omicidio in sé quello che cerca, come se il sangue altrui potesse placare la sua rabbia congenita, che nasce dall'impossibilità di relazioni normali e dall'aver respirato violenza e odio senza sosta.
Riccardo è un personaggio assolutamente negativo, la cui brama di sangue confina con il demoniaco.
In lui non c'è un barlume di pietà, di ravvedimento, di dubbio.
Ma è in questo specchio deformato e a tratti caricaturale che possiamo scorgere la verità sui suoi tempi. Molti sono i personaggi in scena, legati tra loro da un filo di rancore, rivalsa e lutti. Si scopre subito come la corona d'Inghilterra sia grondante di sangue: non c'è stato re che non abbia ottenuto la corona se non con guerre e con esecrabili spargimenti di sangue.
Alla fine Riccardo non è poi così diverso dagli altri, solo, non ha cuore.
Non ama nessuno, neppure se stesso.
In un vortice di violenza che chiama violenza senza fine elimina tutti coloro che ritiene ostacoli verso il trono. Una volta salito al trono è vittima dell'insicurezza che ha animato molti potenti sanguinari, da Nerone a Caligola, che vedono dietro a ogni volto un possibile traditore. Vittima dei propri incubi, anche in questo non mostra un'umanità che va oltre la paura, infantile e cieca.
L'escalation di omicidi prosegue senza sosta, la sensazione di rotolare verso gli inferi sempre più forte e la conclusione più scontata, la morte del tiranno senza pietà e senza Dio.
Nonostante qualche attualizzazione e qualche contaminazione che lascia perplessi (per esempio lo strano mix di costumi, che uniscono il medievale alle divise degli anni '40 del 1900, con richiami austroungarici, la convivenza ambiziosa tra spade e armi da fuoco) lo spettacolo mi è sembrato coerente, armonioso, ben equilibrato tra le parti.
Non c'era, insomma, quella mezz'ora di troppo che fa sì che mi metta a guardare l'orologio, e neppure una caduta di tono, mai.
Due parole sul cast: quanto sia difficile portare il cognome Gassman e recitare credo sia comprensibile. Una parola sola, superlativo, e non lo dico perché come la maggior parte delle donne sbavo dietro a quel bellissimo e affascinante uomo che è.
E' proprio un degno erede.
E gli altri, soprattutto il sicario e la madre, sono altrettanto bravi.
Da vedere e rivedere.
Infine, mi si scioglie il cuore quando, nel teatro buio, dopo che la rappresentazione è rotolata verso il tragico finale in un crescendo di emozioni, si levano le note dei Dire Straits, e la chitarra di Marc Knopfler pizzica le corde più delicate della mia emotività.
In quel momento vorrei che non smettesse mai, e che le luci non tornassero mai a riaccendersi.
In quello stato d'animo sarei pronta ad accogliere quasi chiunque si presentasse al mio cospetto con le mie stesse emozioni in mano e nello sguardo.
State tranquilli, non si è presentato nessuno, e me le sono portate come sempre a casa le mie emozioni con tutto quello che le sta intorno. E chi le vuole, siamo seri.

sabato 8 marzo 2014

Miseramente caduta sul Riccardo III

Nulla ha potuto una robusta cultura inculcata con mezzi assolutamente antidemocratici (leggi studio a memoria), niente ha potuto la consapevolezza che vedere uno spettacolo teatrale dopo aver letto il testo è garanzia di una miglior fruizione dello stesso.

Niente. Il Riccardo III di Shakespeare giace semi intonso sul mio kindle.
Mi sono ritrovata a non riuscire ad andare avanti se non di poche pagine.

Forse è colpa della traduzione, che avrebbe imbarazzato anche Vincenzo Monti, forse è colpa del fatto che non si possono leggere a comando testi così impegnativi senza averne voglia.

Fatto sta che mi sono incagliata nella lettura e sono rimasta boccheggiante a metà della prima pagina chiedendomi: - Ma cosa vuol dire questa parola?-.
Visto che la cosa si è ripetuta più e più volte mi sono allarmata.
E poi, distratta inesorabilmente di fronte a un bouquet di sanguinari inglesi del '500 che vanno e vengono e tutti si odiano, si uccidono o stanno per uccidersi o vogliono farlo.

Ebbene, cedo.
Lo mollo e domani semplicemente mi guarderò lo spettacolo.
E poi, vi saprò dire.

mercoledì 5 marzo 2014

In attesa dell'8 marzo

Il Corriere della Sera, attraverso il link la 27 ora propone l'idea "diamoci un consiglio" rivolto a tutte le donne.

Il mio, ispirato all'attuale quotidianità, è "i problemi degli altri possono aspettare, inizia a risolvere i tuoi.".