sabato 22 febbraio 2014

Intossicazione da volgarità

Da qualche tempo, per impegni vari e pressanti (palestra, corso di scrittura, corso di pittura, teatro) non ho più tempo per abruttirmi davanti alla tv o leggendo libri spazzatura.

Salvo la triste parentesi di San Valentino passato a divorare una orribile vicenda sentimentale, scontata e banale, la mia mente è stata esposta a molti stimoli diversi, e tutti di alto livello. 
A volte altissimo, per me, che, in pratica, a certe manifestazioni culturali non sono più abituata dal liceo.

La cosa che mi ha più colpito, soprattutto scrivendo, è il fiorire di una nuova ricchezza di linguaggio. Con una vera e propria opera di recupero dentro di me, ho potuto tornare in possesso di un vocabolario abbastanza ricco e, cosa ancora più interessante, ho ripristinato una dialettica accettabile.

Tutte cose che mi sono resa conto di aver perso frequentando persone di scarso valore culturale e morale.

Insomma, il "contagio da ignoranza" esiste eccome, e selezionare bene cosa si mette nella propria testa è fondamentale per non... decadere nella volgarità.

Nuovo governo, perplessità

Bisogna dar modo a chiunque di dimostrare quanto vale e, dunque, le mie perplessità sono senza dubbio premature.

Tuttavia, ma in questo Paese di improvvisati che è l'Italia, non potevamo per una volta mandare al Governo una serie di persone di provata competenza?

Eppure in Italia non mancano.
Vedendo foto e nomi dei nuovi eletti mi pare che il denominatore comune sia l'età (giovane) e una certa mancanza di pedigree.

Il caso più eclatante mi paiono gli Esteri, dove chi c'era sarebbe dovuto rimanere.

Sono desiderosa di ricredermi, davvero.

martedì 18 febbraio 2014

Umiliante

Non trovo un aggettivo migliore per descrivere l'esperienza di chi, come me, nella maggior parte dei casi, quando entra in un negozio e chiede una camicia si trova a fronteggiare lo sguardo perplesso/lievemente strafottente della commessa.
 
Perché?
Perché nella maggior parte dei casi la mia fisicità risulta incompatibile con le dimensioni di uno dei capi di abbigliamento più amati, la camicia.
 
Tra modelli super extra slim elasticizzati e non, il mio povero "cuscino" proprio non ci sta.
 
Vi chiederete: sei grassa?
 
Stando ai numeri puri no.
Stando all'attuale gusto comune, sì.
 
Ho un seno abbondante, su un corpo piccolo e relativamente equilibrato, molto "curvilineo".
Per intenderci, una linea a clessidra, dotata di seno e sedere e fianchi.
Una donna normale ecco e non uno spazzolino da denti.
 
Eppure, è terribile quella sensazione di imbarazzo e inadeguatezza che ti coglie quando entri in un negozio qualsiasi e prima di guardano accigliati e poi ti allungano una 46, dicendoti che, se necessario, hanno anche una taglia più grande.
 
Ma poi mi calano le maniche al ginocchio, le spalle mi arrivano ai gomiti, e la camicia mi fa da abito...
 
Non mi va la 46....
 
E' grossa. E pure la 44 talvolta.
 
Quello che io rivendico è la realizzazione di modelli non "da signora" per donne normali.
Mi guardo intorno e di tavole da surf, lunghe e strette, ne vedo ben poche.
 
Al contrario vedo tante "sorelle" alte 1 metro e 60, con il 36 di scarpe e una abbondante 3^ tendente alla 4^.
 
Compriamo anche noi...
E dopo 12 mesi smettiamo di avere 12 e 13 anni, cresciamo, vogliamo vestirci come esseri umani e non come tende! Magari di marrone pure.
 
Siamo normali. Siamo la maggioranza.
Sapete cosa lo dimostra incontrovertibilmente?
 
Il fatto che, nei negozi, rimangono tutte le taglie dalla 42 compresa in giù.
 
Ergo, non siamo noi a doverci adeguare a ogni costo al vestito, ma lui a noi!
 
Fate taglie normali, bastardi!
E, per favore, non chiedetemi più se mi sono rifatta il seno.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Elkann e i giovani

Ecco una nuova intelligente esternazione sulla condizione giovanile italiana, guarda caso travisata anche stavolta dagli organi di stampa che ha fatto andare in bestia, giustamente, quei poveracci della mia martoriata generazione.
 
E stavolta non è uscita dalle labbra del defunto ministro oppure della beneamata riformatrice del sistema pensionistico, ma dal multi privilegiato Elkann. Un giovane che, non metto in dubbio sia ricco di qualità e di spirito di sacrificio, che ha lavorato duramente su se stesso, ma che, è evidente, non ricopre il suo posto per merito.
 
E' la sua nascita ad avergli permesso di diventare quello che è e di arrivare dov'è.
Se si fosse semplicemente laureato a Torino al Politecnico, con o senza ascendenza americana, sarebbe ad arrabattarsi esattamente come tutti gli altri, emigrato, in procinto di emigrare oppure impegnato in un'occupazione non alla sua altezza, come la maggior parte di noi comuni mortali.
 
Può darsi che la stampa abbia travisato (se non la sappiamo gestire è meglio tacere...) ma quello che mi pare è che ci sia una costante capacità di calarsi nel mondo reale, che, ci tengo a sottolinearlo, si vede meglio da dentro Mirafiori che non dall'ultimo piano del Lingotto.

lunedì 17 febbraio 2014

Nuovo "santino" italiano

Riformerà il lavoro, risolleverà l'industria nel pavese, si imparenterà con Alfano, farà una nuova legge elettorale, e, infine, governerà fino al 2018, l'ultima grande speranza che ho trovato or ora sui giornali.
 
Signori, il Paese dei poeti e marinai (anche per le promesse) ha un nuovo santo, a cui tutti indirizzano una preghiera, oggi, dalle pagine di tutti i giornali, più o meno grandi, stamattina.
 
Dalla guarigione degli infermi alla riforma della tassazione, ognuno ha la sua causa da perorare, città fallite, problemi fiscali, decreto svuota carceri.
Insomma, chi più ne ha più ne metta.

Il tutto, naturalmente, in un battito d'ali.

Mentre vengono innalzati altari mediatici al nuovo salvatore della Patria, benedetto anche da Mister B., inizio a chiedermi se siano più ingenui gli americani, come il mondo vorrebbe credere, o noi italiani, da sempre convinti che uno solo possa salvarci dai nostri eterni guai, senza che noi tutti cittadini si collabori fattivamente in alcun modo.

Popolo di santi, poeti, navigatori e... superstiziosi, mi viene da pensare.

domenica 16 febbraio 2014

Amore

Questo pazzo, pazzo cuore che continua a batterti nel petto, e a sperare, nonostante tutto quello che è successo e quello che non è successo...

Che non ha imparato nulla, o che, forse, ha imparato tutto....

sabato 15 febbraio 2014

My favourite Spoon river

IL GIUDICE SELAH LIVELY (Un giudice) (traduzione di Fernanda Pivano)

Immagina di essere alto un metro e cinquantotto
e di avere iniziato a lavorare come garzone in una drogheria
studiando legge a lume di candela
finchè non sei diventato avvocato.
E poi immagina che, grazie alla tua diligenza
e alla frequentazione regolare della chiesa,
tu sia diventato il legale di Thomas Rhodes,
che collezionava cambiali e ipoteche,
e rappresentava tutte le vedove
davanti alla Corte. E che in tutto questo
ti canzonassero per la tua statura e ridessero dei tuoi vestiti
e dei tuoi stivali lucidi. E poi immagina
di essere diventato Giudice di Contea.
E che Jefferson Howard e Kinsey Keene,
e Harmon Whitney, e tutti i giganti
che ti avevano schernito, fossero obbligati a stare in piedi
davanti al banco e a dire "Vostro Onore" -
Beh, non pensi che sarebbe naturale
che io rendessi loro la vita difficile?



JUDGE SELAH LIVELY
Suppose you stood just five feet two
And had worked your way as a grocery clerk
Studying law by candle light
Until you became an attorney at law?
And then suppose through your diligence,
And regular church attendance,
You became attorney for Thomas Rhodes,
Collecting notes and mortgages,
And representing all the widows
In the Probate Court? And through it all
They jeered at your size, and laughed at your clothes
And your polished boots? And then suppose
You became the County Judge?
And Jefferson Howard and Kinsey Keene,
And Harmon Whitney, and all the giants
Who had sneered at you, were forced to stand
Before the bar and say "Your Honor" -
Well, don't you think it was natural
That I made it hard for them?

L'epopea del moscone

L'animale, dotato di due ali, quattro zampette che si muovono in continuazione, con  due occhi da cyber, mi sta fissando, appoggiato all'interno delle persiane del mio bagno.

"Poverino, penso ingenuamente, fuori fa freddo, e lui è rimasto intrappolato tra la persiana e il vetro chiuso. Adesso ti libero io, povera bestiolina prigioniera.".

Apro la finestra e prima solo a parole, e poi abbinando al tono di voce sempre più imperioso anche gesti e aiuti, cerco di far uscire l'insetto da casa mia.

Non ne vuol proprio sapere, però, e non posso dargli torto. Fuori è buio, fa freddo e scende una pioggerellina umida e spiacevole. 
Pazienza, mi dico, domani è un altro giorno. Stanotte dorme qui e... domani fuori.

Esco dal bagno, e, dopo un po' mi segue anche il moscone. 

Non che lo ami, intendiamoci, ma neppure dò fuori come quando mi si avvicina l'animale per me più schifoso dell'universo, ovvero il piccione.

Ma non ho tenuto conto del sesto senso di mia madre, acerrima nemica di ogni insetto, che detesta in particolare proprio i mosconi, che al più lieve zzzz scatta come una molla impazzita.

Sale le scale con lo stesso sguardo di Terminator.
Dov'è lo schifosone, chiede, l'ho sentito volare da sotto.

Dopo mezzo minuto esce dalla stireria con un aggeggio mostruoso, una sorta di enorme piumino per la polvere e le ragnatele alto almeno due metri. Inizia a rotearlo con foga, mentalmente inizio a benedire l'idea di non mettere lampadari, ma solo plafoniere. 

Pac! Un colpo secco precipita sulla scala, Pac! un altro colpo viene vibrato appena sopra la mia testa.
Al moscone basta poco, un battito d'ali ed è già altrove.

Ricevo l'ordine perentorio di chiudere tutte le porte e spegnere le luci, tenendone una sola accesa, quella della stanza in cui verrà teso l'agguato mortale.
Con lo stesso sguardo sanguinario e omicida del micio quando assalta qualche preda, mia madre inizia a roteare il piumino come manco la spada in Guerre Stellari (mentalmente registro, proporla come figurante nel prossimo sequel). 
Il risultato è che, mentre il moscone scende tranquillo al piano di sotto, il piumino atterra pesantemente sulla mia faccia.

" E' colpa tua che l'hai fatto scappare". Come no, inizio immediatamente a solidarizzare con il moscone. Non è bello che un demonio forsennato cerchi di spiaccicarti con un aggeggio peloso e polveroso come è appena capitato a me.

E penso: - Se sei furbo te ne stai quieto fino a domani e poi ti faccio evadere io.-
Ma domani è lontano, e mentre mia madre mi chiude in cucina a preparare la cena, si metta a girare per casa armata di manina schiacciamosche.

Sento che inizia a menare colpi qua e là, fendenti che cascano sulle superfici più diverse, intervallate da accidenti più o meno velati.

Finché, com'era prevedibile, la manina non plana sul vaso con dentro i fiori che mi sono comprata stamattina, appoggiato sul tavolino del salotto.

In un attimo il volume degli accidenti triplica: con una "geniale" mossa di karate è riuscita a polverizzare il vaso, seminando ovunque cocci, acqua e fiori ghigliottinati.
Del moscone, naturalmente, neppure l'ombra.

Non resta che raccogliere i cocci, asciugare l'acqua e cestinare i poveri fiori (grrr...).

Io, comunque, ho visto il moscone. E' qui da me, nascosto in un angolo.
Ma, giuro, non dirò nulla. E domattina, come un amante segreto, lo farò uscire alla chetichella.


giovedì 13 febbraio 2014

Calvario da assicurazione

A ricordarmi che, qualcuno mi ama perdutamente, il giorno della vigilia di San Valentino, è la mia assicurazione. 
L'assicurazione, per essere precisi, che la Indesit mi ha costretto a sottoscrivere, minacciando costi iperbolici di intervento e riparazione, quando il mio frigorifero, dopo un mese scarso dalla scadenza delle garanzia, mi ha abbandonata. 

Il sistema è chiaro. 
Ti propongono un pagamento rateale dell'assicurazione, con addebito sul conto corrente.
In cambio avrai tutte le riparazioni del caso e, se proprio non si riesce a sistemarlo, ti sostituiranno il frigorifero. 

Un affare che si basa sull'assunto che tu, tra un anno, o meglio 10 mesi, non ti ricorderai più di dare disdetta nei tempi canonici e pagherai, ignaro, uno o più anni di assicurazione. 
Peccato che io, dieci mesi prima, mi sia segnata la scadenza sul calendario, che abbia chiamato, dopo essermi perse nelle noticine minuscole del contratto (per fortuna sono del mestiere) per disdire. 
Sembra tutto bello e facile, ma, dopo un mesetto, invece che la conferma della fine del contratto, arriva uno una serie di lettere che parrebbero confermare la continuazione della garanzia. 
Naturalmente con un premio più alto...

Mi metto subito all'opera e produco una bella raccomandata di disdetta con tutti i crismi legali.
Non mi faccio mancare nulla: nemmeno la coda in posta per spedirla.

Niente da fare. L'assicurazione pare così innamorata di me, o, per meglio dire, del mio conto corrente, che stamattina mi  invia, come augurio per San Valentino, l'ennesima lettera scritta in criptogrammi assicuratesi, in cui mi informa del cambiamento di una procedura d'accredito.

Visto che con le buone non riesco a venire a capo di nulla, m faccio forza, e, di umore pessimo, mi degno recarmi in banca, invece di riposare per cercare di farmi passare quel mal di testa da sinusite che mi martella da giorni.

Un bellissimo pomeriggio di vento freddo, poi, il meglio per la sinusite, mi accoglie.

In banca blocco il rid automatico.
Non vedo altre possibilità.

Mi attendo, però, una sequela mi lettere minacciose, da parte di questi "signori" che vivono così, provandoci.


mercoledì 12 febbraio 2014

Forbici

L'atto del tagliare è quello che maggiormente può descrivere questo periodo della mia vita.
 
Sto, senza tanti giri di parole, più o meno lentamente, tagliando molte cose.
Rapporti, prima di tutto, o modi di porsi in alcuni rapporti.
Sto tagliando abitudini che non mi piacciono più, e in cui non riesco più a sopravvivere, comportamenti consueti, è un periodo di cambiamenti, insomma, che piaccia, oppure no.
 
E, infatti, non piace.
Non piace, in genere, a chi mi conosce da poco tempo e che si era abituato a una persona più malleabile. E si trova spiazzato di fronte, principalmente, a una strana inversione di tendenza: il fatto che cominci ad affermare le mie esigenze, magari sottolineando quello che non mi piace.
 
E ce ne sono di cose che non mi piacciono, eccome.
 
So che è colpa mia in parte. Abituare il prossimo tuo a un'estrema accondiscendenza, che non corrisponde al vero carattere, è sbagliato, in quanto genera delle aspettative che poi non verranno soddisfatte.
 
Sono proprio le aspettative mancate che generano stupore, risentimento, anche, in qualche caso.
 
Ho osservato, in questo periodo, reazioni diverse al cambiamento.
Qualcuna di queste non mi è piaciuta, e mi ha convinto della necessità di un po' di aria fresca nelle mie relazioni (leggi, gente nuova).
 
Alcune persone, invece, ho proprio deciso che non mi piacciono più, e che mi "occupano spazio inutilmente" a scapito di altre, che, magari, meritano di più.
 
Non mi dispiace, a essere sincera, vedere queste reazioni.
Mi aiutano a fare chiarezza su chi mi sta intorno, cosa per me molto importante.
 
Con grazia, con educazione, con diplomazia senza dubbio, ma qualche ramo secco va eliminato... senza pietà!
 
 
 

martedì 11 febbraio 2014

Sumi-e

Con il termine sumi-e si fa riferimento alla tradizionale pittura orientale monocromatica realizzata con l'inchiostro nero (sumi).
 
Nata in Cina intorno al 600 dopo Cristo, venne adottata e perfezionata in Giappone intorno alla metà del 1300.
 
Come in tutte le arti derivate dalla calligrafia, è fondamentale il processo di preparazione dell'inchiostro.
 
La particolarità di quest'arte, che predilige la rappresentazione dei cosiddetti quattro nobili, ovvero quattro specie vegetali che rappresentano le quattro stagioni, secondo schemi rigidi di presentazione, è quella di contenere tutte le sfumature del nero in un solo pennello.
Fondamentale e complicata è, come potete immaginare, la preparazione del sumi e del pennello.
 
I quattro nobili, orchidea selvatica, pruno asiatico, crisantemo e bambù, si legano alle quattro stagioni e rappresentano le virtù confuciane proprie dell'uomo superiore (Li).
Una di queste è l'umanità.
 
Gli elementi fondamentali sono l'inchiostro, che di solito è usato come solido, un piattino di porcellana bianca per diluirlo, un foglio di carta e il pennello, che ha le stesse caratteristiche di quello da calligrafia orientale, setole lunghe, manico di bambù.
 
Si impugna non solo in verticale come per la calligrafia, la anche in orizzontale per le forme allungate.
 
Nella pittura sumi-e si trova concentrata una serie di caratteristiche dell'arte e del pensiero orientale.
Importanza dello spazio vuoto, un vero e proprio elemento di decoro e di respiro dell'opera, controllo del movimento (sembra facile, ma vi assicuro, non lo è), concentrazione del gesto e grazia.
 
La mia prima esperienza artistica orientale è stata un successo.
Non solo sono riuscita a fare l'orchidea, un'orchidea guardabile, mi pare, ma ho tratto grande beneficio da queste lezioni.
 
Il desiderio di approfondire le mie conoscenze sul Giappone deriva dal mio viaggio estivo.
In particolare, prima di visitare Kyoto, culla della cultura giapponese, mi sono documentata sulla possibilità di dedicare una mezza giornata a qualche attività culturale del genere.
 
Dopo aver consultato molti siti internet mi sono resa conto che erano un po', passatemi il termine, americanate. Insomma, io non cercavo il folklore, ma di imparare qualcosa.
E dopo aver visto una massa di pingui anglosassoni vestite da geisha mi sono convinta di aver fatto bene.
 
Mi è parsa un'occasione imperdibile, questa.
Al di là del risultato pratico (e qui ci vuole molta pratica) mi è piaciuto molto l'aspetto meditativo corredato all'esperienza.
Per preparare il pennello ci vuole pazienza.
Per realizzare il disegno concentrazione e grazia, padronanza del movimento.
 
Bisogna, in parole semplici, essere padroni di se stessi.
 
Un'esperienza bellissima e importantissima, che spero di poter ripetere.
 
 
 
 
 

C'era un volta uno zoo danese...

Che bello, penso, oggi porterò i miei bambini allo zoo.
Certo, non è come vedere gli animali dal vivo, ma, si sa, in Danimarca è improbabile vedere certe bestie allo stato brado. Per cui, per far felici i bambini, e anche me nel cogliere il loro sguardo estasiato, andiamo allo zoo.
 
Metti anche che siamo di Copenaghen e che, quindi, andremo tutti allo zoo a Copenaghen.
 
Tutti e quattro, mamma, papà e bambini ci prendiamo per mano ed entriamo nei vialetti dello zoo.
Qui un leone, là una scimmia, i bambini sono contenti e si sono messi a reclamare un gelato.
E perché no, penso, è domenica, un bel gelato si può prendere.
 
Un bel pomeriggio sereno per la mia famigliola, a indicare animali e nomi ai piccoli, a ricrearsi prima dell'inizio della settimana.
 
Improvvisamente vediamo un assembramento. Pare che tutti i visitatori dello zoo, bambini, adulti, adolescenti nonni e cani siano davanti a una gabbia.
 
Ma certo, è la gabbia delle giraffe. Oh, quanto amo le giraffe, sono proprio i miei animali preferiti, con i loro occhioni dolci e pacifici, le loro lunghe zampe magre e agili...
 
I bambini ci sfuggono, sono piccoli, agili e sgusciano tra le persone. Vogliono andare davanti per vedere meglio, e, data la loro velocità, ce la fanno agevolmente.
 
Urla, strepiti, ma che succede?
 
Ci facciamo largo a stento tra la folla, che, nonostante affermiamo di aver perso i bambini, si schiera compatta davanti a noi. Quando li recuperiamo il piccolo urla disperato e il grande non fa che vomitare. Per terra sangue e sangue a non finire, odore di carcassa, di selvatico e pezzi di pelle.
Non riesco a vedere bene, ma mi pare di scorgere degli uomini nella gabbia che stanno tagliando o segando un animale.
 
Sembra di essere sul set di un film di Dario Argento, molto meno raffinato.
 
Siamo tutti scossi e spaventati. Non so come calmare i bambini e neppure come spiegare loro l'accaduto, sempre che una spiegazione razionale esista.
 
Il giorno dopo vengo a sapere che è stata crudelmente soppressa una piccola giraffa, colpevole di essere indesiderata, sezionata davanti al pubblico e data in pasto alle tigri, nonostante altri zoo avessero manifestato interesse per poterla avere.
 
Al di là dell'immedesimazione in chi, sfortuna sua, esce una domenica per portare i bambini allo zoo e si trova sul set di Shining, volevo sottolineare l'assoluta crudeltà e barbarie di un gesto davvero non necessario.
La natura, che non è troppo benigna, ci pensa lei a "eliminare" gli animali di troppo.
Inoltre, non è necessario sottoporre i presenti innocenti, bambini compresi, a un simile spettacolo.
 
Sono estremamente indignata e disgustata dalla notizia. Mi sono chiesta quale razionalità potesse avere un gesto del genere e chi avesse la facoltà di decidere dell'esistenza di poveri animali indifesi.
 
Le ragioni sono molte, ma io sono fermamente contraria a zoo, parchi naturali, e via dicendo, così come sono contraria a tutte le forme di "arte" che implicano l'uso di animali.
A maggior ragione alla soppressione dei medesimi e nella spettacolarizzazione del gesto.
 
Lasciamoli nella savana!
Lasciamoli nella foresta!
 
Io, comunque, allo zoo di Copenaghen non ci voglio andare.
E neppure negli altri!
 
 
 
 
 
 
 

domenica 9 febbraio 2014

Magoni

Semplicemente non lo fare.
E' questo che vorrei dirti mentre sto seduta a questo tavolo e ti sento parlare, con una sfacciata incoerenza.
 
Ecco che la verità, una cosa con cui, mi duole dirlo, tu hai dei seri problemi, a poco a poco, a pezzettini, esce.
Spetta a me ricomporli, dar loro un ordine e una giustificazione.
 
Un problema di vanità, il tuo.
Certo, è bello avere conferme, è bello essere corteggiati, è bella l'illusione di piacere.
Gratifica lo spirito, soccorre dal senso di vuoto, illude sul futuro, fa passare allegramente il tempo.
 
Capisco la solitudine, capisco lo scoramento, l'angoscia del tempo che passa, del nulla che succede, capisco la preoccupazione costante e il desiderio di rivalsa. E mi pare quasi di vederti mentre scruti il tuo volto allo specchio, che non è più quello di prima, così come il tuo corpo.
 
Li capisco perché li provo io stessa.

Quello che vorrei dirti, se solo tu lo sentissi, è di smetterla.
Smettila di seminare cocci come una scheggia impazzita, smettila di istigare tutti o quasi gli uomini che ti capitano a tiro. La seduzione non è una palestra, non necessita di allenamento.
Si esercita solo con chi ne vale la pena.

Smettila di dare a intendere cose che forse non vuoi o non puoi dare.
Smettila di comportarti irrazionalmente sul lavoro, come fossi proprietaria di tutto il mazzo di carte.

Ragiona, per una volta, tenendo presente anche il resto del mondo.
Che ha sentimenti, emozioni, ambizioni e speranze.

Smettila di muoverti come un elefante in un negozio di cristalleria.
Non è portando il caos e il dolore che ha afflitto la tua vita sfortunata nelle esistenze di quelli che ti capitano a tiro che risolverai il tuo problema.

Quello per cui vale la pena lottare, nella vita, è quello che rimane.
Sono le cose importanti, sono le cose serie.
Questo tuo agire come una scheggia impazzita non ti ha portato a nulla di concreto.
Prendine atto, smetti di "istruire" gli altri, comincia a guardarli sul serio.

Apri gli occhi.
Puoi raccontarti tutte le scuse del mondo, proporre visioni diverse del mondo e della vita.
Ma certi comportamenti non sono solo discutibili, sono sbagliati.

Guarda agli altri, per un attimo apri la tua mente e il tuo cuore al resto del mondo, ascolta le loro posizioni, cerca di comprenderle.

Io che da te ha avuto montagne di consigli, se ne vuoi salvare uno mio, ti dico, ammetti le tue responsabilità in quello che fai. Sii responsabile di te stessa. Smetti di trovare giustificazioni e colpevoli.

Per una volta.

Prima che sia troppo tardi.


Prima che vi facciate prendere tutti da manie di protagonismo, vi dico che prende spunto dal bellissimo spettacolo Elena di cui vi ho parlato in passato, e che è il nocciolo del mio lavoro di questa settimana.