Arriva all'improvviso il messaggio di una compagna di viaggio mentre sono ancora ingolfatissima di lavoro alla mia scrivania.
Mi informa della sospensione di servizio sulla nostra tratta ferroviaria, dovuta a un suicidio.
Non è la prima volta che succede, e, per chi, come me, che ne ha viste di tutti i colori, si tratta solo di capire come gestire l'emergenza.
Posso prendere provvedimenti. Sono ancora a Milano e, quindi, ho un piccolo ventaglio di possibilità per tornare a casa, dato che nessuno mi può venire a prendere. Tra pullman in partenza da Famagosta e linee diverse, opto per la seconda soluzione.
Il ricordo delle cinque ore che ho impiegato l'ultima volta per tornare a casa, abbandonata a metà strada in un posto che non ha collegamenti con nessun altro paesello sotto la pioggia è ben scolpita nella mia mente.
Parto in volata e raggiungo la stazione Centrale: la mia decisione è stata rapida. Perdere tempo può significare perdere l'ultimo treno da Novara, e, quindi, termino le mie attività di corsa, e mi precipito in stazione. Consulto freneticamente l'orario online mentre sono in metropolitana.
Quando arrivo sul binario mi accorgo che il treno è un Frecciabianca, una corsa per il quale non sono certa di poter salire con il mio abbonamento.
Il controllore, cui espongo la situazione, viene mosso da pietà cristiana e mi abbuona il supplemento del biglietto da Milano a Novara (il treno in questione è quasi vuoto...). Ci metto poco, arrivando in poco più di mezz'ora in stazione, facendo un viaggio da vera regina su un treno pulito, condizionato e tranquillissimo.
Ho 40 minuti prima che la littorina per casa parta, per cui mi dirigo in centro. Obiettivo: gelato consolatorio.
Sono stanca da morire, ho avuto tre giorni di fuoco e non se ne vede la fine.
Sono accolta da un clima fantastico: non è caldo, non è freddo, c'è una delicata brezza, quasi un miracolo in Val Padana, è un sole altrettanto delicato mi accarezza la pelle.
C'è calma in giro. Gente, sì, ma non folla. Le persone camminano, non corrono come schegge impazzite. C'è chi prende il gelato, chi entra nei negozi (per fortuna oggi non ne ho visto nessuno chiuso) chi gira in bicicletta.
Mio Dio, penso, mentre contemplo il profilo della chiesa di San Gaudenzio avvolto nella delicata luce del tardo pomeriggio, che posto civile in cui la gente vive.
Io e i miei biscottini di Novara (Novara senza passare da Camporelli non si può...) adottiamo un bel gelatone limone-pesca-mango.
Bastano una manciata di minuti e la sensazione è quella di tornare a respirare normalmente.
In stazione (sottosopra per lavori) ci attende una littorina minuscola che, però, ci porta a casa. Parte e quasi sospira, ansima, rallenta, riparte, ingrana le marce con parsimonia e quasi con circospezione per non farsi male.
Ma ci porta a casa.
Un viaggio in silenzio, comoda su un treno semi-solitario.
Mi sento ricreata (e non solo per il gelato).
Ma io lo faccio ancora: invece che farmi prendere a borsate in via Torino prendo un treno e me ne vo' a Novara. Novara l'inizio di tutto e la fine di tutto, Novara in Piemonte, e noi piemontesi così riservati e schivi...
Come tornare a casa. Poter tornare a casa....
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