venerdì 18 luglio 2014

Altro che alla frutta... siamo all'ammazzacaffè!

Sono stanca, così stanca, ma così stanca che il mio unico pensiero la mattina quando suona la sveglia riguarda il momento in cui, alla sera, potrò stramazzare a letto e dormire.
 
Dormire... magari.
Da diversi giorni continuo a svegliarmi diverse volte durante la notte.
Il caldo, il freddo, l'allarme dei vicini (che suona per ore e a cui va la mia intera malevolenza notturna), la sete, i sogni concitati...
 
Ogni notte è un match.
 
Sto cominciando a stancarmi di questi sonnellini inframmezzati da lunghi risvegli.
Forse avrei bisogno di avere compagnia a letto, giusto per sentirmi più tranquilla, per passare meglio i momenti di veglia....
 
Sono prostrata: mi chiedo spesso se hanno inventato dei sistemi per arrotolare borse e occhiaie e farle sparire. Non c'è correttore che tenga: ho un aspetto stroppicciato e grigiastro.
 
Non parliamo del mio cervello.
Mi ricorda esattamente la metà limone che rimane nel mio piatto dopo aver mangiato i calamari: esaurito, spremuto fino all'osso, insomma, una buccia vuota!

Il mio cervello si rifiuta: non sono distratta, sono solo esaurita. Nein, niet, nada, non ho più energie.
Potrebbe passarmi sotto il naso Dumbo vestito di rosa che svolazza felice ma io non lo vedrei.

Sono stremata, e, soprattutto, vorrei fare tutt'altro.
Svenire dall'estetista, lanciarmi in ogni negozio mi capiti a tiro, farmi un eterno bagno, farmi una maschera all'argilla, incominciare un nuovo libro, affogare le mie pene nella Coca Cola....

La lotta contro la palpebra cadente si fa senza quartiere.
Faccio il conto alla rovescia: voglio uscire da qui!

Presto subito immediatamente

E invece mi dedicherò a un nuovo progetto in english sul sito: chissà che cavolate ci metterò dentro....

martedì 15 luglio 2014

Recinti

Ma com'è bello, comodo e rassicurante, nelle cose belle e in quelle brutte, sempre le stesse, il mondo visto dal mio piccolo recinto.
 
Ci ho messo anni per erigere le barricate. Mattone dopo mattone, pietra dopo pietra, legno dopo legno: adesso sono qui, al buio, impegnata come sempre nel difendere lo statu quo.
 
E guai a chi mi vuole tirar fuori dal tunnel.
 
Il tunnel mi aiuta a non pensare, a non chiedermi il perchè, a rifuggere dal cambiamento.
 
Cambiare è faticoso. Da morire. Significa imbastire processi, cambiare regole, mettersi a nudo e guardarsi drammaticamente bene.
 
Perchè creare un modello nuovo di vita, quando posso acriticamente metterne in pratica uno già definito?
 
Io vado avanti, per inerzia, a occhi chiusi. Tanto, la strada è quella.
O almeno credo.
 
Faccio finta di avere cose molto importanti da fare, e, in effetti, viste da molto lontano, sono importantissime. Definisco il futuro della Nazione.
Ma, vista da vicino, la mia vita si perde in banalità.
 
Come quella di tutti gli altri, certo.
Ma la mia, negli ultimi anni è solo banalità.

La banalità è, però, socialmente rispettabile, perchè è socialmente innocua.
Ma la banilità uccide ogni sentimento, ogni slancio e, sì, anche le cellule cerebrali.

Faccio finta che, in futuro, ci sarà tempo per tutto, per recuperare amicizie, letture, spettacoli, pezzi di vita.

Ma, in realtà, so che non sarà così, e, in fondo, mi va anche bene perdere tutto questo, perchè non sono sicura di essere all'altezza.

Tutto sommato la vita in una scatola non è poi così male.
Si tira avanti, verso... Non so cosa ma qualcosa...qualcosa....


P.s:. non sto parlando di me.

lunedì 14 luglio 2014

L'importanza di avere un'auto

Una lunga settimana senza Yaris: a sette giorni di distanza dalla consegna al carrozziere della mia amata macchinetta, mi trovo ancora appiedata.
 
Ho potuto così constatare quanto sia "comodo" abitare lontano dalla stazione ferroviaria e sobbarcarsi, dopo una lunga giornata di lavoro, anche una lunga camminata verso casa.
 
Intanto, è aumentato in maniera esponenziale il numero di volte in una giornata in cui consulto le previsioni del tempo online.
Giusto per sapere in che stato arriverò a casa, quanto umidiccia e prossima alla bronchite in questo mese di luglio che somiglia tanto a una fine di settembre uggiosa.
 
Sono bastati tre giorni per farmi venire mal di schiena: camminare fa bene, ma non fa bene il trasporto masserizie su e giù per Milano. Sono stata costretta ad abbandonare per qualche giorno pranzi e libri. Un dolore costante e lancinante nell'ultimo tratto della colonna vertebrale mi ha convinta della necessità di alleggerirmi.
 
Ho dovuto abbandonare anche i tacchi.
 
E' impensabile infatti farsi tre km a piedi abbarbicata su trampoli anche modesti.
E così, dal mio livello "ballerina", ho scoperto che anche il rasoterra può essere scomodo. E assai.
 
Inoltre, vivere lontano dal primo supermercato disponibile, ti fa capire, passo dopo passo, inesorabilmente, quanto siano pesanti tutti gli acquisti di beni necessari (come la Coca Cola e non scherzo!) e di quanto possa essere antieconomica la scelta del primo punto vendita disponibile.
 
Mi sento taglieggiata dai signori del Gulliver mentre cerco disperatamente un frutto o una verdura che costi meno di 2 euro al kg. E mentre arranco verso casa con una busta mostruosamente pesante mi è complicato godere della bellezza delle paperelle nello stagno dietro casa.
 
E ancor più complicato è innalzare lo spirito alla divina beatitudine della natura mentre non solo arranco sulle mie scarpette da nana con un borsone di carissimi generi alimentari, ma mi sto pure beccando anche un acquazzone.
 
E così, questa settimana, si usa la dispensa: ho passato il we a cimentarmi in improbabili piatti con quello che avevo in frigo. E così ne è uscito un cous cous che somiglia più a una paella che non a un cous cous (mi mancavano le zucchine...). Buono per carità, ma è un ibrido incredibile.
 
Dio salvi i peperoni, poi, che durano un sacco.
Mi piacciono molto, ma... sarei un po' stufa.
 
Non ci sono, però, solo aspetti negativi.
Mi sono resa conto di come la mia scatoletta mi isoli dal resto del mondo.
 
Se, per esempio, mi fossi infilata in auto, non avrei rivisto per caso una compagna di palestra e una ragazza che prima lavorava a Milano e che non vedo da una vita.
 
Oppure non avrei mai comprato dei begli orecchini ... (ehm sì, poi li ho presi) in un negozio in centro. E non avrei scoperto altri negozi.
 
Non avrei assaporato la vista mattutina del volo degli uccelli in un silenzio perfetto.
 
Insomma, tante belle cose che hanno a che fare tutte con il tempo e la calma per guardarsi intorno nello scapicollarsi fino alla stazione. Non sarei passata in libreria, per esempio.
 
Ora, però, sazia di questa importante esperienza di vita, vorrei tornare a sedermi sulla Yaris.
Non fosse altro che mi manca anche il burro e che ho provato a comprare i gelati e a portarli a casa a piedi, ma si sciolgono miseramente durante il tragitto. E poi vorrei andare al discount.
Mi stanno vampirizzando al Gulliver!
 

giovedì 10 luglio 2014

La mia seconda vita

Fino a qualche mese fa frequentavo saltuariamente un bar un po' distante dal nostro ufficio in cui ogni tanto ci si rifugiava a prendere il caffè e a spettegolare lontano da orecchie indiscrete.
Non accettando ticket restaurant ed essendo piuttosto lontano dall'azienda era fuori dai giri dei colleghi.

Un bar vecchio stile, gestito da due coniugi di una certa età.
Con il passare del tempo la moglie ha cominciato a dare segno di decadimento e i segnali inequivocabili dell'avanzare di una malattia progressiva hanno reso necessaria l'assunzione di un'aiuto, un'altra signora di una certa età, chiaramente sudamericana.

Tempo dopo, quando ormai le mie frequentazioni si erano rarefatte fino a scemare, ho saputo che la signora era morta improvvisamente.
Recatami nella vicina farmacia, settimane più tardi, avevo trovato il locale chiuso, mentre dopo poco tempo un nuovo bar, più alla moda, aveva aperto due vetrine più in là.

Avranno chiuso il negozio, avevo pensato.

Stamattina, reduce da una commissione in farmacia, mi trovo con in mano il resto di un euro.
Vittima di ben due pacchetti di agghiacciante caffè Corsini (si sappia che porcheria immonda è) decido di bermi un caffè come si deve. 
Visto da fuori, il bar sembra nuovo: il vecchio bancone alto e bianco è stato sostituito da un banco in vetro con un bellissimo espositore di brioche e paste che occupa tutta la lunghezza del negozio.
La vecchia rastrelliera per le brioche d'ottone è scomparsa e le brioche sono tante, di molti tipi, e decisamente golose all'aspetto, diverse da quelle asfittiche di prima. Scomparsa è anche la parete di specchio, con tutte quelle tristi bottiglie di liquori tutte cominciate. Sparita la mensola killer ad altezza cranio vicino ai tavolini e il triste espositore di panini avvizziti in fondo. E' scomparso anche quell'odore stagnante di pane da toast che dilagava nel bar.

Insomma, un locale nuovo nuovo.

L'hanno venduto, penso, io, vediamo chi lo ha preso.

Entro e... sorpresa! A servire c'è il nostro signore, che pare aver guadagnato 10 anni di vita.
Barbetta giovanile, dimagrito, più riposato, fa anche battute.

E, al banco, c'è anche la nostra signora sudamericana, sempre uguale, che si muove volteggiando sempre con i medesimi gesti.

Hai capito, penso io.
Ma non mi stupirei se il nostro uomo avesse, oltre al locale, ristrutturato anche la sua vita privata.

Sereno, rilassato, come fosse... un'altra persona!

Che dire, morta una moglie... se ne fa un'altra?




La strada verso casa è lastricata di tentazioni

Nel vero senso del termine. Non si tratta di una metafora, né di un esempio fiorito.

Si tratta di vetrine.

Senza auto, sono costretta ad andare a casa a piedi, attraversando faticosamente, all'andata e al ritorno, la cittadina per me quasi sconosciuta.

La mattina è deserta, addormentata mentre io mi affanno a correre in stazione.
Nel tardo pomeriggio un poco più affollata, senza mai esagerare.

I negozi rimasti aperti sono pochi, e quei pochi hanno spesso capi costosi e piuttosto bizzarri, destinati ad elfi eterei e senza forme, non più larghi di un manico di scopa.

Eppure le tentazioni sono lo stesso molte: una, quasi, per ogni negozio.
Pigramente mi dirigo verso casa, fermandomi a ogni vetrina. 
In poco tempo, nonostante il sole a sfavore e la stanchezza, individuo, esposti in una vetrina, almeno tre bijoux che mi piacciono a un costo accessibile. Tra questi gli orecchini a pallina con cristalli bianchi che vorrei da tanto tempo. Li guardo e li guardo, imponendomi di staccarmi. 

Proseguo e, che scoperta! anche in questa gioielleria vendono i charms Pandora! 
Va che bello quello lì, quasi quasi....
Quasi quasi scappa, mi sussurra l'angelo custode all'orecchio sinistro, e mettiti in salvo.

Arrivo all'angolo estremo del corso: fuori pericolo, direte voi, perché da lì inizia un brullo parcheggio.
Eh no, perché fa angolo un grande negozio di vestiti. Di solito esibisce capi stravaganti e carissimi, nonché minuscoli.

Ma, nell'angolo dell'ultima vetrina verso il fondo, c'è una maglietta bianca con una stampa bellissima di fiori su raso.

Rimango rapita a contemplare l'oggetto, scontato del 50%.
Che bello, penso...
Chissà se mi può andare bene.
Sembrerebbe di sì.
E quelle rose, così magnificamente realistiche.
Potrei metterle con questo e quello...

Con fatica estrema mi scollo dalla vetrina.
Una prova di volontà immensa.

Avanti e indietro sto contemplando i miei desiderata giorno dopo giorno.
Due volte al giorno...
Fossi in auto, sarei immune alle tentazioni.
Ma a piedi devo per forza passare di lì.

Stasera mi sono sentita debole.
Almeno la maglietta, o gli orecchini...

Per fortuna, però, incontro una conoscente sulle scale, in stazione.
Mi offre un passaggio in auto che accetto molto volentieri.

Per oggi, pericolo scampato. Ma non garantisco per domani...


domenica 6 luglio 2014

Klimt a Milano

Nel tentativo di nutrire anima e spirito sono stata, questa settimana, a vedere la mostra di Klimt a Palazzo Reale.
 
Le mie aspettative sono andate deluse. Forse mi aspettavo di vedere una mostra dedicata al pittore austriaco e non una mostra con quattro/cinque opere di Klimt e il resto di altri. Lo spazio espositivo non mi piace: è quello al piano terreno, inframmezzato da diversi corridoi e caratterizzato da una serie di angoli che rendono poco favorevole la visione di opere di una discreta dimensione.
 
Ho certamente apprezzato sia Salomé che Adamo ed Eva, oltre che i girasoli e qualche ritratto.
Però, nonostante l'audioguida, mi pare che l'esposizione fosse povera in rapporto al prezzo del biglietto (11 euro).
 
L'intento era quello di fornire un percorso espositivo capace di rappresentare il movimento della Secessione viennese (da cui poi Klimt è uscito).
 
Ma quel povero busto di Beethoven piazzato triste in mezzo alla ricostruzione della stanzetta scrostata mi ha fatto una tristezza...
 
In un'oretta ho girato tutta la mostra e ascoltato la spiegazione (ben fatto il commento).
 
In sintesi... O vi piace Klimt alla follia oppure andate a Vienna al Belvedere che è meglio...



Ma che qualità scadente! (Kiko)

Lo devo proprio scrivere, ma che qualità scadente gli ultimi prodotti Kiko che ho aperto!
Sono mesi che non entro in uno dei suoi negozi, dopo essere stata una super cliente.
E direi che ho fatto bene.
 
Ieri ho aperto un nuovo smalto della linea Quick Dry rosso/arancio.
Come mettere sulle unghie acqua fresca.
 
Consistenza liquida, coprenza scarsissima, pennello grande (più grande dell'unghia del mio mignolo!), un liquido che scivola dappertutto.
Sono stata costretta a metterne tre (e dico tre) mani, di cui l'ultima oggi perché si è scheggiato subito e non ho pulito i gamberi!
 
Pessimo.
 
Inoltre, ho aperto un eye liner nero con applicatore tradizionale: passa e ripassa il colore esce striato. Anche qui la consistenza è acquosa fatto che, per il nero, è davvero una grana. Nemmeno l'applicazione sopra di un bello strato di matita ha risolto il problema: l'eye liner si attacca alla matita e ne esce davvero un pasticcio.
 
Ma che razza di schifezze stanno facendo?
Alzano i prezzi e peggiorano la qualità.
 
Credo che, per i prossimi acquisti, mi indirizzerò su altre marche e, intanto mi "godo" una boccetta intera di smalto liquido...
 
 


sabato 5 luglio 2014

giovedì 3 luglio 2014

Change point of view

In questi giorni sono stata folgorata. Non come San Paolo, non come il Buddha, non come San Francesco, certo, ma una grande verità mi è venuta incontro.

Il desiderio di compiacere e di approvazione è ciò che sta alla base delle sofferenze lavorative dei miei colleghi. Lo vedo in tutti i loro comportamenti, quelli tipici di persone che investono, loro malgrado, troppo di sé e della loro esistenza in un lavoro la cui assenza, francamente, è qualcosa che non turberebbe più di tanto l'umanità. 

Tutto il mondo gira intorno ai capricci di un frustrato che può essere un meschino despota solo tra quelle quattro mura. 

Se tutta la tua vita ruota intorno a quelle, naturalmente, finisci per perdere il contatto con... la parte destra del tuo cervello! e inizi a maturare una visione distorta di te e di quello che ti circonda.

Inizi a stimarti meno, abbruttita dall'ambiente circostante, in cui c'è poco... ossigeno cerebrale.

E così, osservo ancora una volta l'orribile panzone che spara idiozie a raffica e con i suoi mezzucci triti e ritriti cerca di rovinarti la vita, facendo in modo che tu disperda una gran quantità di energie fisiche ed emotive, in modo da essere.... innocuo! In fondo la motivazione non serve in questo caso, e l'ossessione del complotto rende preferibile creare atmosfere infernali e demolire le persone piuttosto che migliorare le condizioni di lavoro per fare del nostro meglio.

Con uno straordinario spreco di potenzialità, siamo tutti intenti a sprecare molte cose, tra cui il tempo: ecco, mentre lo vedo che rotea su se stesso penso che non mi importa proprio nulla di quello che pensa di me né lui, né alcuni fantocci che abitano in questa stanza.

Li vedo per quello che sono e la loro stima non mi interessa affatto. 
Perché io stessa non li stimo, e credo che non ci sia nulla da imparare da loro né professionalmente, né umanamente.

E questo è quanto.
Dal mio punto di vista, che è ora quello che conta di più, sono loro a essere poco degni.

E, una volta realizzato tutto quanto, per la prima volta, mi sono sentita libera e sollevata.




mercoledì 2 luglio 2014

Per caso, per fortuna a Novara

Arriva all'improvviso il messaggio di una compagna di viaggio mentre sono ancora ingolfatissima di lavoro alla mia scrivania.
 
Mi informa della sospensione di servizio sulla nostra tratta ferroviaria, dovuta a un suicidio.
 
Non è la prima volta che succede, e, per chi, come me, che ne ha viste di tutti i colori, si tratta solo di capire come gestire l'emergenza.
 
Posso prendere provvedimenti. Sono ancora a Milano e, quindi, ho un piccolo ventaglio di possibilità per tornare a casa, dato che nessuno mi può venire a prendere. Tra pullman in partenza da Famagosta e linee diverse, opto per la seconda soluzione.
 
Il ricordo delle cinque ore che ho impiegato l'ultima volta per tornare a casa, abbandonata a metà strada in un posto che non ha collegamenti con nessun altro paesello sotto la pioggia è ben scolpita nella mia mente.
 
Parto in volata e raggiungo la stazione Centrale: la mia decisione è stata rapida. Perdere tempo può significare perdere l'ultimo treno da Novara, e, quindi, termino le mie attività di corsa, e mi precipito in stazione. Consulto freneticamente l'orario online mentre sono in metropolitana.
 
Quando arrivo sul binario mi accorgo che il treno è un Frecciabianca, una corsa per il quale non sono certa di poter salire con il mio abbonamento.
Il controllore, cui espongo la situazione, viene mosso da pietà cristiana e mi abbuona il supplemento del biglietto da Milano a Novara (il treno in questione è quasi vuoto...). Ci metto poco, arrivando in poco più di mezz'ora in stazione, facendo un viaggio da vera regina su un treno pulito, condizionato e tranquillissimo.
 
Ho 40 minuti prima che la littorina per casa parta, per cui mi dirigo in centro. Obiettivo: gelato consolatorio.
 
Sono stanca da morire, ho avuto tre giorni di fuoco e non se ne vede la fine.
 
Sono accolta da un clima fantastico: non è caldo, non è freddo, c'è una delicata brezza, quasi un miracolo in Val Padana, è un sole altrettanto delicato mi accarezza la pelle.
 
C'è calma in giro. Gente, sì, ma non folla. Le persone camminano, non corrono come schegge impazzite. C'è chi prende il gelato, chi entra nei negozi (per fortuna oggi non ne ho visto nessuno chiuso) chi gira in bicicletta.
 
Mio Dio, penso, mentre contemplo il profilo della chiesa di San Gaudenzio avvolto nella delicata luce del tardo pomeriggio, che posto civile in cui la gente vive.
 
Io e i miei biscottini di Novara (Novara senza passare da Camporelli non si può...) adottiamo un bel gelatone limone-pesca-mango.
Bastano una manciata di minuti e la sensazione è quella di tornare a respirare normalmente.
 
In stazione (sottosopra per lavori) ci attende una littorina minuscola che, però, ci porta a casa. Parte e quasi sospira, ansima, rallenta, riparte, ingrana le marce con parsimonia e quasi con circospezione per non farsi male.
 
Ma ci porta a casa.
 
Un viaggio in silenzio, comoda su un treno semi-solitario.
 
Mi sento ricreata (e non solo per il gelato).
 
Ma io lo faccio ancora: invece che farmi prendere a borsate in via Torino prendo un treno e me ne vo' a Novara. Novara l'inizio di tutto e la fine di tutto, Novara in Piemonte, e noi piemontesi così riservati e schivi...
 
Come tornare a casa. Poter tornare a casa....