lunedì 14 aprile 2014

Non uguali

Mi pronuncio su un argomento senz'altro controverso, e che non ha soluzioni univoche.
Lo faccio perché stamattina ho letto la notizia di una madre molto battagliera, che minaccia provvedimenti a destra e a manca contro la supposta discriminazione di cui è vittima la figlia disabile.
 
Pare che quest'ultima sia stata invitata a cambiare scuola per sollevare i compagni dalla sua presenza limitante. Questa cosa è davvero brutta, indice di inciviltà e di mancanza di sensibilità.
 
Ma sarebbe interessante arrivare a capire come si sia arrivati a una simile situazione di esasperazione.
Pare, leggendo la notizia, che l'oggetto della contesa siano le gite e l'attività fisica.
 
Come spesso accade, per non offendere il disabile, tutta la classe rinuncia.
Niente gite, niente gare sportive, niente pattinaggio o altro.
 
Questa è anche la mia esperienza di "classe con disabile" alle elementari e alle scuole medie inferiori.
Tutti chiusi in classe a leggere mentre gli altri a giugno giocano in cortile.
Niente gite da nessuna parte, e, spesso, in mancanza di insegnanti di sostegno, programmi svolti al rallentatore.
 
La mia mente ricorda, a distanza di tanti anni, la terribile fatica quotidiana di Elena, costretta da uno stabile vecchio, a trascinarsi dolorosamente su per due piani di scale, sempre ultima, lei con il suo codazzo, due robuste compagne che la trascinavano letteralmente su per le scale di peso e, al termine delle lezioni, la riportavano giù. Ricordo la sua mano, che artigliava il corrimano, e le nocche che sbiancavano tanto forte era la pressione esercitata per sostenersi.
 
Per delicatezza la nostra maestra diceva di essere troppo anziana e di non avere la forza per tener d'occhio noi scatenati mentre giocavamo in cortile.
 
Ma conoscevamo tutti la vera motivazione, lei compresa, obbligata per altro a fare tutto quello che facevano gli altri, con una fatica e un dolore difficile da spiegare.
 
Così pure la mia compagna delle medie, affetta da nanismo e sottoposta a tutta una serie di prove ginniche, tranne i giochi di gruppo.
 
"Sono come noi", dicono i buonisti dell'handicap.
 
Non è vero, dico io, dopo aver assistito a scene di una crudeltà mostruosa, di una poveretta costretta a lanciare una palla medica "Brava, hai fatto 3 cm più di sei mesi fa!" e in totale erano 10.
 
Ma abbiate pietà, e anche il coraggio di dire: " Mia figlia, mio figlio non ce la fanno, non ci arrivano, non possono, voi andate pure, fate pure, noi troviamo qualcosa di diverso adatto a noi".
 
Così per il lavoro: assumere un disabile costa meno. Peccato che lo si voglia perfettamente... abile. E gli si affidano mansioni di peso, responsabilità e comportanti notevole impegno. In una parola, mansioni esageratamente onerose, soprattutto nel privato.
 
Ho esempi qui, dove lavoro.
Il risultato è che il lavoro non svolto o mal svolto ricade sui colleghi, generando astio e fastidio, ove non malanimo. Insomma, una bella vita d'inferno per tutti.
 
Non ho soluzioni, perché non ce n'è una, ma ce ne sono di possibili solo caso per caso.
 
Tuttavia, ci vorrebbe un po' di sana onestà.
Un handicap è una condizione limitante e come tale deve essere gestita.
 
Smettete di dire che tutti possono fare tutto. Non è così.
E vale per tutti.
 
Fate appello, sempre, a un po' di compassione.
Perché talvolta è il buonismo a tutti i costi a essere più crudele della patologia.
 
 
 
 
 
 

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