Una volta l'anno, in primavera, Milano si popola di folkloristici personaggi che animano il sottobosco del mondo del design, arte in cui l'Italia eccelle, e su cui una città che vuole essere all'avanguardia come Milano punta.
Tutti voi conoscete o almeno avete sentito parlare del Salone del mobile, che si tiene ora nel nuovo polo fieristico di Rho. Lì ci sono le esposizioni ufficiali, mentre l'intera città si anima, in tutte le sue parti, di "eventi".
Cos'è un evento? Sotto questo nome si cela una pluralità incredibile di cose, tra cui alcune molto belle, come mostre, concerti, installazioni, aperitivi, vernissage, e molte altre la cui attinenza con la creatività e l'arte sono certamente dubbie.
Eccovi la cronaca del mio giovedì.
Fa molto caldo quando esco dall'ufficio. Grazie all'ora legale il sole è ancora alto, e quasi mi dispiace scendere in metropolitana e negarmi quei pochi brandelli di luce a cui può aspirare il povero impiegato, murato vivo nel suo open space per 9 ore.
Ci sono almeno il quadruplo delle persone in circolazione in questa stazioncina di periferia, cosa che mi dà molto da pensare. E non appartengono certo alla "specie pendolare".
Li vedi che emergono nei sobborghi di Milano e si guardano intorno stupiti, a tratti ammirati. L'occhio incerto tenta di immagazzinare quante più informazioni riesce a trovare. Mi domando quali: siamo in un posto ad elevato tasso di squallore, in cui anche il negozio cinese in piazza ha dovuto chiudere per mancanza di affari.
Si fermano un attimo, a bocca socchiusa, e guardano rapiti lo spettacolo che si offre loro: una serie di venditori abusivi che, invece della solita bigiotteria a 1 euro vendono souvenir del Duomo in plastica trasparente rigorosamente made in China.
Sì signori stranieri, è sempre Italia, ma non siamo a Pienza e neppure nel Gargano, questo è chiaro. Potete smettere di sentirvi in dovere di ammirare tutto quello che trovate per strada.
Si bloccano di colpo e tu, che sei dietro, a momenti ci rotoli addosso. Ti fermi e li scansi, ma al decimo che si guarda intorno con aria da cerebroleso inizi a infastidirti perché il tuo treno non aspetta.
Il mio viaggio in metropolitana dura almeno mezz'ora.
Questo in condizioni normali.
Stavolta pare anticipare la via crucis del prossimo venerdì.
Non devo nemmeno fare la fatica di salire in Centrale: vengo trasportata dalla folla che, come durante la migrazione dei salmoni in Scozia, tende verso Porta Genova, la stazione in cui io, ogni giorno, scendo. Stipata come un'acciuga, eccomi intenta a mantenermi in equilibrio sui tacchi in mezzo a una folla quanto mai stravagante.
Li guardo bene: potrebbero essere la risposta italiana (renziana?) al Carnevale di Rio...
Capisco che, per farsi notare in un ambiente che spesso confonde la stravaganza con la creatività, è indispensabile un abbigliamento particolare.
Ma qualcuno lo dica a tutti questi ometti hypster che la caviglietta nuda e pelosa esibita con il pantalone risvoltato è meno sexy del gambaletto di filanca 20 denari color camoscio.
Ne ho uno davanti, appiccicato: dall'alto dei miei 10/11 cm di tacco me lo guardo in prospettiva aerea, mentre cerco di evitare che la folla mi strappi via la borsetta del pranzo (il mio tocco chic, dico con ironia).
E' un omettino giovane e incolore, nonostante la giacca blu elettrico, una canottiera a rete nera, i pantaloni arancio rivoltati e della improbabili scarpe eleganti marroni senza calze. Non riesco neppure a capirne la nazionalità, e questo mi inquieta. Mi fissa, mi soppesa (sono pesante....) mi valuta e ammicca. Ecco, al termine di una giornata pesante non poteva esserci che un incontro deprimente, lo sapevo.
Dopo un viaggio terribile, in cui la ressa sul vagone era molto simile a quella che invade i supermercati in occasione del Black Friday, vengo letteralmente espulsa dal vagone a Porta Genova, trascinata dalla folla che si riversa in zona via Tortona.
In mezzo a questa variopinta umanità, noi pendolari, dall'aria stravolta e con lo sguardo scuro.
Stanchi morti e spintonati da una umanità variegata che va a divertirsi.
Portandosi di tutto, per altro, valigioni, trolley enormi, tubi da disegno e chi più ne ha più ne metta.
Conquistata la luce, una volta sul treno stramazzo sul sedile.
Una musica pulsante ci avvolge, volume da discoteca e tipo da discoteca.
Il parcheggio della stazione è invaso da una folla di ragazzi che alle sei di sera è ubriaca fradicia grazie al camion di Heineken, lì parcheggiato da tempo a giudicare dai fusti vuoti di birra che lo attorniano. Insomma, l'evento di punta del Salone del mobile, no?
La mattina successiva, scesi, dal treno, ci troviamo a camminare su un letto di lattine e bicchieri vuoti, degna conclusione della serata culturale.
Sono atterrita al pensiero che l'assoluta scarsità di mezzi pubblici predisposti per l'Expo trasformi la città e la mia vita in un delirio permanente per un anno e non solo per una settimana.
Se quella appena passata è un assaggio del caos che verrà, io prego solo che introducano per legge il telelavoro.
Altrimenti schiatto...