Finalmente riesco a scrivere dello spettacolo che ho visto al Piccolo domenica scorsa.
Pur arrivando preavvertita del fatto che fosse una rappresentazione rivisitata, mai fui abbastanza avvisata.
Fresca di lettura, mi trovo a separare l'originale dall'intervento moderno, con lo stesso spirito con cui si separa, in campagna, una montagna di piselli dal proprio baccello.
Si tratta di una rappresentazione sanguinaria del potere e dell'ambizione, della persuasione del male.
In questo caso anche sanguinolenta, con un'ardito uso di vernice rossa, violente metafore da film horror e pensieri orribilmente partoriti come feti morti.
Tra fughe di povere vecchiette portate con il pullman in gita al teatro (notevole componente con pesante accento bergamasco), scivolo su una poltrona comodissima, sotto un soffitto trapunto di luci, nel calduccio del teatro milanese in cui non sono mai stata.
Non ho apprezzato la rappresentazione, e non parlo della bravura di molti degli attori.
Parlo, e verso la fine l'ho compiutamente pensato, di questo gratuito scempio del nostro Shakespeare di cui non sono profonda conoscitrice, ma che non vorrei devastato del tutto gratuitamente.
Gli avvenimenti non si vivono, ma si raccontano, e della follia di Lady Macbeth e delle allucinazioni di entrambi, alla fine, si perde lo spessore, sull'onda di una recita che dura ben due ore e un quarto senza intervallo.
Notevole prova, che però non mi ha emozionata e coinvolta, richiedendo un intenso lavoro inetellettuale di decodifica, che, per altro, non mi trova d'accordo.
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