Una mattina plumbea avvolge Milano, con una pioggia che cade fitta dalla tarda serata di domenica.
Improvvisamente le gocce si trasformano in fiocchi di neve spessi ed enormi.
La neve turbina nel cielo a larghe falde, seguendo il corso di un vento assolutamente invernale.
Scendo dal treno, tra le folate di aria gelida, la neve che cade a falde e la consueta calca di umanità terrorizzata dalla neve come dalla pioggia.
Basta una goccia per scatenare la stessa repulsione che prova un gatto schizzato dall'acqua in decine e decine di persone.
Dai finestrini del tram, pieno di un'umida atmosfera gelida, osservo i rari passanti che affrontano i grossi fiocchi e l'aria frizzante.
Scendo in centro, sono le otto e mezza e un folla disordinata sciama davanti all'ingresso della metro.
Svolto l'angolo e lui è là, imponente e rassicurante, che spande una soffusa luce rosa nella luce lattiginosa di un mattino di neve inaspettata.
I fiocchi si disegnano sul suo profilo, lo incorniciano abbellendolo e quasi carezzandolo.
Un piccolo gioiello che giustifica la sue eterna incompletezza con una grazia maliarda. Mi fermo un momento a contemplarne l'ultreterrena bellezza, prima di infilarmi in metro e iniziare una nuova settimana.
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