giovedì 23 ottobre 2014

Sospesi sull'orlo del baratro

Quando, con esattezza, mi sono resa conto che, senza eccezione alcuna, tutti e sei siamo, ognuno a modo nostro, ben oltre il limite di sopportazione?
 
Quando, una notte qualsiasi tra domenica e lunedì mi sono svegliata di soprassalto, madida di sudore, con il cuore che batteva a mille. Brandelli di sogno mi accompagnavano alla coscienza, intanto mi trovavo pian piano riportata alla realtà in un letto che denunciava l'agitazione del sonno attraverso le sue coperte scomposte.
 
Nel sogno stavo elencando, tra me e me, tutti gli elementi che potevano giustificare di fronte a me stessa, la mia assenza al lavoro, mal di gola, un terribile mal di schiena, mal di testa, attacco di ansia... tutte cose che avevo in effetti, in quel momento.
 
E così ogni notte, per settimane e settimane di fila.
 
Non è necessario chiedere ai colleghi. Siamo tutti esauriti, c'è chi lo dà a vedere di più e chi di meno, chi riesce a controllarsi di più e chi meno. A che prezzo, poi, lo sappiamo, e nemmeno troppo bene, solo noi.
 
Siamo tutti nervosi, tutti, sempre, di cattivo umore.
Intrattabili, e quanto è peggio, intrattabili verso noi stessi.
 
A vederci da fuori regna un silenzio spettrale. Anche in piena estate l'aria è gelida. Ognuno con lo sguardo fisso sullo schermo del suo pc, ognuno impegnato a fare i conti con la propria insofferenza.
 
L'atmosfera è pesante, quasi densa. Si respira il fastidio e ormai l'intolleranza a trovarsi chiusi lì dentro è palpabile. Il tempo scorre lento, troppo lento. I minuti paiono eterni, come se un orologiaio crudele avesse alterato il normale corso del tempo.
 
Mi sento scalpitare già nel primo pomeriggio. Non è neppure più il lavoro in sé, o forse anche quello.
 
Il peso, sento fisicamente il peso di tutta quella montagna di lavoro inutile che svolgo.
Mail, quintali di mail, fasci di quesiti, valanghe di osservazioni, di richieste di chiarimenti...
 
Il tempo passa, la pressione aumenta: avessimo saputo che saremmo finiti a occuparci di questioni così marginali, penso, non avremmo nemmeno varcato la soglia di questo posto. Giunti davanti alla porta saremmo scappati a gambe levate.
 
E ci saremmo salvati, davvero, la vita. Avremmo avuto altre opportunità, che, ora come ora, latitano.
 
Tempo fa una ex collega ha detto che questo è un buco nero. Ti accoglie, ti attrae e... ti succhia tutta la vita e la competenza che avevi.
 
In questo momento siamo tutti delle scatolette vuote, senza competenza alcuna da proporre al mercato del lavoro, troppo vecchi e troppo giovani per tutto. Siamo senza professionalità, anche se di conoscenze ne abbiamo e anche di volontà.
 
Tutti incatenati alla scrivania e vessati dal solito noto che ha il potere di renderci infernale la vita.
La gestione di questo pazzo e dei mostriciattoli che ha saputo creare in tanti anni di vessazioni mi porta via buona parte delle energie. E poi sono ossessionata dalle mail: quintali di mail, valanghe di mail, strati di mail, sono arrivata ad odiarle. E a odiare quelli che li spediscono.
 
E' come osservare l'acqua immobile di uno stagno.
Sopra è tutto calmo, ma chi la conosce bene può vedere le forti correnti che la animano nel sottostante.
 
E l'attesa riguarda chi sbotterà per primo. Perché prima o poi succederà. La sensazione è quella di essere seduti su una pentola a pressione, senza valvola.
 
Mi preoccupa non solo come comincerà, ma anche come andrà a finire.
Solo, non vorrei essere io quella che comincia, ecco.
E neppure quella che finisce, perché, e credo di non sbagliarmi, non finirà bene.
 
 
 

mercoledì 24 settembre 2014

Morbido incontro mattutino

Cari amici dei gatti, oggi inizio di giornata con giubilo.
Vicino alla macchina mi aspettava il miciotto, bello tondo e affettuoso, che si ingozzava delle crocchette che ogni giorno un vicino amante dei gatti fornisce graziosamente ai miciottoli. Che bello affondare le mani nel pelo morbido di miciotto!
 
Un ottimo inizio di giornata l'incontro con il mio preferito, che davo per disperso, e che, invece, secondo me è andato in ferie, tornando bello grassoccio.
 
Micciotto mi piace tantissimo: rotondo, bianco e rosso e pacioccoso se non ci fosse il Teo sarebbe già sul mio divano.
 
Ma ciò non toglie che potrei portargli una bella colazione mattutina...
 
Miao!

domenica 21 settembre 2014

Un lieve senso di esasperazione

Ho appena aperto gli occhi, è domenica mattina e mi ritrovo con una congiuntivite causata da cosmetici sbagliati. Mi trascino in bagno e, non faccio in tempo a varcarne la soglia, che vengo placcata da mia madre.
 
Ho un progetto ben preciso per la mattinata, e vorrei che non succedesse come ieri, giorno in cui, purtroppo, i miei programmi pomeridiani sono andati a farsi benedire a causa di esigenze materne.
 
E, comunque, nessuna cosa può essere discussa prima di essersi lavati la faccia e aver bevuto un caffè.
 
Nelle ultime settimane, a causa di un progetto in cui sono stata, mio malgrado, coinvolta, mi trovo alle prese con un vero e proprio ingorgo lavorativo, in cui sfrutto i ritagli di tempo per fare il mio lavoro vero e proprio. Sono sempre in affanno, e, inutile dirlo, sempre in tensione a causa delle numerose richieste che mi vengono pressoché da chiunque.
 
La scadenza si avvicina e io sono sempre più in difficoltà a tenere insieme i pezzi, lavorativi e non.
 
Niente da fare: incursione in bagno di tutta la famiglia, gatto compreso.
 
Impossibile far capire che si desiderano solo dieci minuti per riprendere contatto con il mondo.
 
In tutte queste ore mia madre ha taciuto, credo, soltanto mentre aveva la bocca piena a tavola (menù di oggi due piatti diversi, perché voleva il riso). Poco fa è venuta a lamentarsi mentre stavo stirando che stipo le cose che poi si spiegazzano ed è inutile tutta la sua fatica.
 
Ma i motivi possono essere infiniti: non c'è pace mentre spolvero, mentre pulisco a terra, mentre sto mettendo a posto, mentre faccio qualsiasi cosa. Possono essere le finestre aperte/chiuse, o chissà che altro.
 
Mi chiedo spesso perché non si occupi di qualcosa che non sia seccare il suo prossimo con delle scemenze. Mi ricordo, poi, che queste sono le cose che occupano unicamente la sua giornata.
 
E io sono vagamente nervosa: ci metto il triplo del tempo a fare tutto, perché ha la diabolica capacità di essere nel metro quadro che devo occupare per fare un certo lavoro.
E più hai fretta e più è appiccicata.
 
Mi servirebbe una mezz'ora di pace, di silenzio e di solitudine. Intanto mi sforzo di mantenermi calma, ma mi costa moltissima fatica.
 

martedì 16 settembre 2014

Noia

Sembrano perfino dilatarsi queste lunghe ore, dense di lavoro e vuote di significato, che passo in ufficio.
 
Assediata da mille incombenze, mortificata da molti ripetitivi compiti, dissanguata da mille richieste mi trovo a tu per tu con la sensazione devastante che dà la certezza che oggi sarà uguale e ieri e, purtroppo, a domani.
 
Correre, correre, correre, come il criceto nella ruota.
Tanta fatica mi attende ogni settimana, al lunedì mi pare un'ascesa verso una vetta impervia, e il timore di non farcela mi attanaglia fino al venerdì, quando, stremata, termino una giornata infinita. 
 
Tutto lavoro inutile, una pantomima infinita, e mi pare di non arrivare a nulla.
Non un passo avanti, sempre la solita recita.
 
Sono molto stanca.
Mi sento sprecata, e, in definitiva, lo sono.
 
Sono allo stesso tempo eterne e troppo brevi le ore che passo lì dentro, infinite nello scandirsi sempre uguali a loro stesse, e scivolate via, mentre mille cose incombono.
 
Non è questa, in definitiva, la noia?
Mi sento malata di mille cose non sbocciate.
Che noia, che peso, vivere un'altra giornata senza scopo, senza progresso, in definitiva, senza pace.

lunedì 15 settembre 2014

E poi sono le donne quelle incomprensibili?

Mi risulta difficile capire gli uomini.
Il senso comune vuole che sia il gentil sesso a essere balengo e a cambiare idea con la facilità con cui una banderuola cambia direzione al vento.
 
Ma siamo sicuri?
 
Voi che dite di uno che passa anni a fare allusioni, a farti complimenti, dichiarazioni plateali, inviti a tutto spiano, che scatena anche i colleghi...
E che tu non prendi sul serio perchè ti sembra così plateale da essere una presa in giro.
 
Finchè poi, all'ennesimo invito, ti viene il dubbio che, forse, potrebbe non essere una presa in giro.
Ci pensi, e ci ripensi.
Poi ci pensi ancora.
 
E ci ripensi. Tutto sommato, dopo un'analisi dei reciproci interessi, potrebbe anche funzionare.
Non ti dispiace la "confezione".
 
Certo, dopo tanti anni di conoscenza, vedi chiaramente i difetti (di certo non tutti, perchè finchè non ci vivi...).
 
Ma questo proprio non lo avevi messo in conto: che, di fronte a un affettuoso incoraggiamento, precipitasse nel limbo.

Ovvero, zero assoluto.
Silenzio e immobilità.

E quindi sono davvero incavolata. Mi sento vagamente presa in giro, per cui sono seriamente incarognita.
 
Il nervoso che mi danno le persone che hanno paura del successo più di quello del rifiuto è incommensurabile. E lo concretizzerei volentieri in una serie di improperi e lanci di oggetti.
 
Altrui, ovvio.




sabato 6 settembre 2014

Invisibile

Mi sembra di camminare immersa in una bolla d'aria opaca.
Il mondo intero, intorno, sembra ignorare la mia presenza.
Anzi, quanto di peggio, sembra proprio non vedermi avanzare per strada.
 
Invisibile.
Mi sento invisibile al mondo.
 
Davanti a me la solita, triste, eterna giornata fatta di spiacevole nulla.
E, al termine di quest'ultima, ancora il nulla.
 
Dev'essere questo invecchiare.
Dev'essere il non essere più visti, il non essere più cercati.
 
Neppure, come dice qualcuno, la fine delle illusioni.
 
La fine della speranza, o forse, la fine della ragionevole attesa di qualche altra opportunità.
 
Mentre le stagioni scorrono, le tue opportunità terminano.
 
Disperatamente ci si aggrappa al "resto". Ma quando anche il resto non è più un diversivo dell'anima, quando l'attesa è solo un eterno passare il tempo, a cosa ci si può aggrappare?
 
Solo giornate dopo giornate, senza nulla all'orizzonte, nulla che si voglia.
 
 

sabato 30 agosto 2014

Pulizie dell'anima

Il titolo mi ha immediatamente attratta: "Manuale di pulizie di un monaco buddhista: Spazziamo via la polvere e le nubi dell'anima", scritto da un monaco giapponese Keisuke Matsumoto.
 
E, naturalmente, questo titolo è andato immediatamente a ingrassare il mio Kindle.
 
Ho letto con piacere le pagine tranquillizzanti del libro.
Già da molto tempo convinta che fare i mestieri sia un potente antidoto nei confronti della confusione e della indecisione, ho trovato grande serenità leggendo le pagine di questo testo.
In modo straordinariamente semplice, mette l'accento sulla corrispondenza tra disordine e sporcizia dell'ambiente in cui viviamo e disordine e imperfezione della nostra anima.
 
Tenere in ordine la nostra casa e la nostra persona equivale a tenere in ordine la nostra anima.
 
Nel percorso buddista verso l'illuminazione,  l'assenza di passioni e la tensione verso la perfezione è importantissima.
 
Spiegando come, ogni giorno, i monaci si occupano della manutenzione del tempio, cerca di invogliare il lettore a prendersi quotidianamente cura dell'ambiente in cui vive.
 
La perfezione si può raggiungere solo con una costante disciplina.
 
Affronta poi anche il tema dell'eccesso di oggetti intorno a noi, che finiscono per inquinare il nostro animo. Stordirsi con un pieno di oggetti equivale spesso a ottenebrare la nostra anima, spingendola in un turbinio di passioni che la allontanano sempre più dall'illuminazione.
 
Non posso che essere sensibile a questo aspetto: dopo una vera e propria indigestione di oggetti a carattere di compensazione, da tempo mi sento oppressa dai medesimi, che rendono davvero un'impresa la gestione degli spazi.
 
E' una lettura scorrevole, chiara, semplice, ma apportatrice di serenità.
 
Termino con quella che, a mio parere, è una grande verità: chi tratta con indifferenza e disprezzo le cose, finisce per applicare lo stesso metodo anche alle persone.
 
 

mercoledì 27 agosto 2014

Quei genitori di troppo

Hai già i tuoi di genitori e sei, inequivocabilmente grande. 
Non hai quindi necessità di averne di scorta.

Si dice che gli amici si riconoscono nel momento del bisogno. Molti falsi amici scappano quando sei in difficoltà.

Ma c'è un'altra categoria molto insidiosa: quella degli amici che ci sono solo nel momento del bisogno.
Pronti prontissimi finché siete in crisi: con il lavoro, con i parenti, con il marito, con altri amici, con voi stessi.

Sempre lì a confortarti, a consigliarti, a dirti come e cosa devi e non devi fare.

E qui sta il punto: sono genitori aggiuntivi ai vostri, per altro spesso molto più discreti ed empatici. Avanzano come bulldozer, implacabili, senza tener conto della tua  individualità. Piano piano inizieranno a influenzarti (o a cercare di farlo) non solo su quanto concerne il tuo problema, ma anche su cose che non c'entrano.

Vivono e nutrono la loro autostima con i consigli che ti danno: si sentono così superiori, bravi, capaci.

Il ritorno alla normalità, che prima o poi c'è, limette in fuga. Non reggono il confronto con una persona adulta. Non solo, non tollerano la minima critica, la minima osservazione.

E cercheranno di rigirare le frittate dandoti la colpa di non si sa che.
La colpa della fine di un rapporto che non riescono più a sostenere la daranno a te, prendendo al volo la prima scusa più o meno plausibile.

Lasciagliela e lasciagli tutti i consigli e le paranoie.
Meglio girare i tacchi e impiegare energie e tempo altrimenti.

martedì 26 agosto 2014

Con le mani nella marmellata

Arriva fresco e bello, più rotondo che mai. Il nostro Ciccio nazionale entra in azienda dopo le 14, naturalmente impegnato a blaterare al cellulare e senza aver dato alcuna notizia di sé.
 
Non un messaggio, non una mail.
Scomparso.
 
Entra dal retro camminando a gambe larghe e, fatti tre metri, si trova quasi faccia a faccia con la sottoscritta, impegnata a sorbire un caffè disgustoso alla macchinetta del pian terreno dopo il pranzo.
 
Sgrana gli occhi, inorridendo, ma senza smettere di parlare.
In pochi secondi diventa rosso come un peperone e mima il gesto del "cosa ci fai qui".
 
E poi scompare, lui e il suo telefono.
 
Ricompare dopo una ventina di minuti, dopo essersi imboscato nel suo ufficio per riaversi dalla sorpresa.
 
- Eh, ma si ricomincia già? Ma ci siete tutti, no perché io ero convinto che tornaste settimana prossima. No, per carità, sono contento di vedervi, ma... Mi ero pianificato una settimana di ferie la prossima. C'è già produzione? -
 
Con uno sguardo di morte bofonchia: - Eh, ma allora la settimana di ferie... No perché sono due notti che non dormo, e poi ho passato delle brutte ferie, non ho staccato mai, ho fatto da colf ai miei figli e a mia madre...-
 
Intanto noi lo contempliamo in silenzio.
 
Te lo dico io mascherina: tu pensavi di venire pro-forma questa settimana un paio di ore a fare un tubo e poi di darti alla macchia del tutto la settimana dopo, e chi si è visto si è visto.
 
E noi (e manco tutti) qui a sgobbare.
 
Dopo diverse scuse torna a rinchiudersi nei suoi appartamenti, mentre noi affoghiamo nelle cartacce.
 
Dietro a lui l'ultima scusa: - Eh, mia mamma non sta bene...-.
Quella povera donna che tira sempre in ballo e soffre tutto e si rompe ogni due per tre.
 
A Lourdes in ferie la devi portare, non al lago!

venerdì 18 luglio 2014

Altro che alla frutta... siamo all'ammazzacaffè!

Sono stanca, così stanca, ma così stanca che il mio unico pensiero la mattina quando suona la sveglia riguarda il momento in cui, alla sera, potrò stramazzare a letto e dormire.
 
Dormire... magari.
Da diversi giorni continuo a svegliarmi diverse volte durante la notte.
Il caldo, il freddo, l'allarme dei vicini (che suona per ore e a cui va la mia intera malevolenza notturna), la sete, i sogni concitati...
 
Ogni notte è un match.
 
Sto cominciando a stancarmi di questi sonnellini inframmezzati da lunghi risvegli.
Forse avrei bisogno di avere compagnia a letto, giusto per sentirmi più tranquilla, per passare meglio i momenti di veglia....
 
Sono prostrata: mi chiedo spesso se hanno inventato dei sistemi per arrotolare borse e occhiaie e farle sparire. Non c'è correttore che tenga: ho un aspetto stroppicciato e grigiastro.
 
Non parliamo del mio cervello.
Mi ricorda esattamente la metà limone che rimane nel mio piatto dopo aver mangiato i calamari: esaurito, spremuto fino all'osso, insomma, una buccia vuota!

Il mio cervello si rifiuta: non sono distratta, sono solo esaurita. Nein, niet, nada, non ho più energie.
Potrebbe passarmi sotto il naso Dumbo vestito di rosa che svolazza felice ma io non lo vedrei.

Sono stremata, e, soprattutto, vorrei fare tutt'altro.
Svenire dall'estetista, lanciarmi in ogni negozio mi capiti a tiro, farmi un eterno bagno, farmi una maschera all'argilla, incominciare un nuovo libro, affogare le mie pene nella Coca Cola....

La lotta contro la palpebra cadente si fa senza quartiere.
Faccio il conto alla rovescia: voglio uscire da qui!

Presto subito immediatamente

E invece mi dedicherò a un nuovo progetto in english sul sito: chissà che cavolate ci metterò dentro....

martedì 15 luglio 2014

Recinti

Ma com'è bello, comodo e rassicurante, nelle cose belle e in quelle brutte, sempre le stesse, il mondo visto dal mio piccolo recinto.
 
Ci ho messo anni per erigere le barricate. Mattone dopo mattone, pietra dopo pietra, legno dopo legno: adesso sono qui, al buio, impegnata come sempre nel difendere lo statu quo.
 
E guai a chi mi vuole tirar fuori dal tunnel.
 
Il tunnel mi aiuta a non pensare, a non chiedermi il perchè, a rifuggere dal cambiamento.
 
Cambiare è faticoso. Da morire. Significa imbastire processi, cambiare regole, mettersi a nudo e guardarsi drammaticamente bene.
 
Perchè creare un modello nuovo di vita, quando posso acriticamente metterne in pratica uno già definito?
 
Io vado avanti, per inerzia, a occhi chiusi. Tanto, la strada è quella.
O almeno credo.
 
Faccio finta di avere cose molto importanti da fare, e, in effetti, viste da molto lontano, sono importantissime. Definisco il futuro della Nazione.
Ma, vista da vicino, la mia vita si perde in banalità.
 
Come quella di tutti gli altri, certo.
Ma la mia, negli ultimi anni è solo banalità.

La banalità è, però, socialmente rispettabile, perchè è socialmente innocua.
Ma la banilità uccide ogni sentimento, ogni slancio e, sì, anche le cellule cerebrali.

Faccio finta che, in futuro, ci sarà tempo per tutto, per recuperare amicizie, letture, spettacoli, pezzi di vita.

Ma, in realtà, so che non sarà così, e, in fondo, mi va anche bene perdere tutto questo, perchè non sono sicura di essere all'altezza.

Tutto sommato la vita in una scatola non è poi così male.
Si tira avanti, verso... Non so cosa ma qualcosa...qualcosa....


P.s:. non sto parlando di me.

lunedì 14 luglio 2014

L'importanza di avere un'auto

Una lunga settimana senza Yaris: a sette giorni di distanza dalla consegna al carrozziere della mia amata macchinetta, mi trovo ancora appiedata.
 
Ho potuto così constatare quanto sia "comodo" abitare lontano dalla stazione ferroviaria e sobbarcarsi, dopo una lunga giornata di lavoro, anche una lunga camminata verso casa.
 
Intanto, è aumentato in maniera esponenziale il numero di volte in una giornata in cui consulto le previsioni del tempo online.
Giusto per sapere in che stato arriverò a casa, quanto umidiccia e prossima alla bronchite in questo mese di luglio che somiglia tanto a una fine di settembre uggiosa.
 
Sono bastati tre giorni per farmi venire mal di schiena: camminare fa bene, ma non fa bene il trasporto masserizie su e giù per Milano. Sono stata costretta ad abbandonare per qualche giorno pranzi e libri. Un dolore costante e lancinante nell'ultimo tratto della colonna vertebrale mi ha convinta della necessità di alleggerirmi.
 
Ho dovuto abbandonare anche i tacchi.
 
E' impensabile infatti farsi tre km a piedi abbarbicata su trampoli anche modesti.
E così, dal mio livello "ballerina", ho scoperto che anche il rasoterra può essere scomodo. E assai.
 
Inoltre, vivere lontano dal primo supermercato disponibile, ti fa capire, passo dopo passo, inesorabilmente, quanto siano pesanti tutti gli acquisti di beni necessari (come la Coca Cola e non scherzo!) e di quanto possa essere antieconomica la scelta del primo punto vendita disponibile.
 
Mi sento taglieggiata dai signori del Gulliver mentre cerco disperatamente un frutto o una verdura che costi meno di 2 euro al kg. E mentre arranco verso casa con una busta mostruosamente pesante mi è complicato godere della bellezza delle paperelle nello stagno dietro casa.
 
E ancor più complicato è innalzare lo spirito alla divina beatitudine della natura mentre non solo arranco sulle mie scarpette da nana con un borsone di carissimi generi alimentari, ma mi sto pure beccando anche un acquazzone.
 
E così, questa settimana, si usa la dispensa: ho passato il we a cimentarmi in improbabili piatti con quello che avevo in frigo. E così ne è uscito un cous cous che somiglia più a una paella che non a un cous cous (mi mancavano le zucchine...). Buono per carità, ma è un ibrido incredibile.
 
Dio salvi i peperoni, poi, che durano un sacco.
Mi piacciono molto, ma... sarei un po' stufa.
 
Non ci sono, però, solo aspetti negativi.
Mi sono resa conto di come la mia scatoletta mi isoli dal resto del mondo.
 
Se, per esempio, mi fossi infilata in auto, non avrei rivisto per caso una compagna di palestra e una ragazza che prima lavorava a Milano e che non vedo da una vita.
 
Oppure non avrei mai comprato dei begli orecchini ... (ehm sì, poi li ho presi) in un negozio in centro. E non avrei scoperto altri negozi.
 
Non avrei assaporato la vista mattutina del volo degli uccelli in un silenzio perfetto.
 
Insomma, tante belle cose che hanno a che fare tutte con il tempo e la calma per guardarsi intorno nello scapicollarsi fino alla stazione. Non sarei passata in libreria, per esempio.
 
Ora, però, sazia di questa importante esperienza di vita, vorrei tornare a sedermi sulla Yaris.
Non fosse altro che mi manca anche il burro e che ho provato a comprare i gelati e a portarli a casa a piedi, ma si sciolgono miseramente durante il tragitto. E poi vorrei andare al discount.
Mi stanno vampirizzando al Gulliver!
 

giovedì 10 luglio 2014

La mia seconda vita

Fino a qualche mese fa frequentavo saltuariamente un bar un po' distante dal nostro ufficio in cui ogni tanto ci si rifugiava a prendere il caffè e a spettegolare lontano da orecchie indiscrete.
Non accettando ticket restaurant ed essendo piuttosto lontano dall'azienda era fuori dai giri dei colleghi.

Un bar vecchio stile, gestito da due coniugi di una certa età.
Con il passare del tempo la moglie ha cominciato a dare segno di decadimento e i segnali inequivocabili dell'avanzare di una malattia progressiva hanno reso necessaria l'assunzione di un'aiuto, un'altra signora di una certa età, chiaramente sudamericana.

Tempo dopo, quando ormai le mie frequentazioni si erano rarefatte fino a scemare, ho saputo che la signora era morta improvvisamente.
Recatami nella vicina farmacia, settimane più tardi, avevo trovato il locale chiuso, mentre dopo poco tempo un nuovo bar, più alla moda, aveva aperto due vetrine più in là.

Avranno chiuso il negozio, avevo pensato.

Stamattina, reduce da una commissione in farmacia, mi trovo con in mano il resto di un euro.
Vittima di ben due pacchetti di agghiacciante caffè Corsini (si sappia che porcheria immonda è) decido di bermi un caffè come si deve. 
Visto da fuori, il bar sembra nuovo: il vecchio bancone alto e bianco è stato sostituito da un banco in vetro con un bellissimo espositore di brioche e paste che occupa tutta la lunghezza del negozio.
La vecchia rastrelliera per le brioche d'ottone è scomparsa e le brioche sono tante, di molti tipi, e decisamente golose all'aspetto, diverse da quelle asfittiche di prima. Scomparsa è anche la parete di specchio, con tutte quelle tristi bottiglie di liquori tutte cominciate. Sparita la mensola killer ad altezza cranio vicino ai tavolini e il triste espositore di panini avvizziti in fondo. E' scomparso anche quell'odore stagnante di pane da toast che dilagava nel bar.

Insomma, un locale nuovo nuovo.

L'hanno venduto, penso, io, vediamo chi lo ha preso.

Entro e... sorpresa! A servire c'è il nostro signore, che pare aver guadagnato 10 anni di vita.
Barbetta giovanile, dimagrito, più riposato, fa anche battute.

E, al banco, c'è anche la nostra signora sudamericana, sempre uguale, che si muove volteggiando sempre con i medesimi gesti.

Hai capito, penso io.
Ma non mi stupirei se il nostro uomo avesse, oltre al locale, ristrutturato anche la sua vita privata.

Sereno, rilassato, come fosse... un'altra persona!

Che dire, morta una moglie... se ne fa un'altra?




La strada verso casa è lastricata di tentazioni

Nel vero senso del termine. Non si tratta di una metafora, né di un esempio fiorito.

Si tratta di vetrine.

Senza auto, sono costretta ad andare a casa a piedi, attraversando faticosamente, all'andata e al ritorno, la cittadina per me quasi sconosciuta.

La mattina è deserta, addormentata mentre io mi affanno a correre in stazione.
Nel tardo pomeriggio un poco più affollata, senza mai esagerare.

I negozi rimasti aperti sono pochi, e quei pochi hanno spesso capi costosi e piuttosto bizzarri, destinati ad elfi eterei e senza forme, non più larghi di un manico di scopa.

Eppure le tentazioni sono lo stesso molte: una, quasi, per ogni negozio.
Pigramente mi dirigo verso casa, fermandomi a ogni vetrina. 
In poco tempo, nonostante il sole a sfavore e la stanchezza, individuo, esposti in una vetrina, almeno tre bijoux che mi piacciono a un costo accessibile. Tra questi gli orecchini a pallina con cristalli bianchi che vorrei da tanto tempo. Li guardo e li guardo, imponendomi di staccarmi. 

Proseguo e, che scoperta! anche in questa gioielleria vendono i charms Pandora! 
Va che bello quello lì, quasi quasi....
Quasi quasi scappa, mi sussurra l'angelo custode all'orecchio sinistro, e mettiti in salvo.

Arrivo all'angolo estremo del corso: fuori pericolo, direte voi, perché da lì inizia un brullo parcheggio.
Eh no, perché fa angolo un grande negozio di vestiti. Di solito esibisce capi stravaganti e carissimi, nonché minuscoli.

Ma, nell'angolo dell'ultima vetrina verso il fondo, c'è una maglietta bianca con una stampa bellissima di fiori su raso.

Rimango rapita a contemplare l'oggetto, scontato del 50%.
Che bello, penso...
Chissà se mi può andare bene.
Sembrerebbe di sì.
E quelle rose, così magnificamente realistiche.
Potrei metterle con questo e quello...

Con fatica estrema mi scollo dalla vetrina.
Una prova di volontà immensa.

Avanti e indietro sto contemplando i miei desiderata giorno dopo giorno.
Due volte al giorno...
Fossi in auto, sarei immune alle tentazioni.
Ma a piedi devo per forza passare di lì.

Stasera mi sono sentita debole.
Almeno la maglietta, o gli orecchini...

Per fortuna, però, incontro una conoscente sulle scale, in stazione.
Mi offre un passaggio in auto che accetto molto volentieri.

Per oggi, pericolo scampato. Ma non garantisco per domani...


domenica 6 luglio 2014

Klimt a Milano

Nel tentativo di nutrire anima e spirito sono stata, questa settimana, a vedere la mostra di Klimt a Palazzo Reale.
 
Le mie aspettative sono andate deluse. Forse mi aspettavo di vedere una mostra dedicata al pittore austriaco e non una mostra con quattro/cinque opere di Klimt e il resto di altri. Lo spazio espositivo non mi piace: è quello al piano terreno, inframmezzato da diversi corridoi e caratterizzato da una serie di angoli che rendono poco favorevole la visione di opere di una discreta dimensione.
 
Ho certamente apprezzato sia Salomé che Adamo ed Eva, oltre che i girasoli e qualche ritratto.
Però, nonostante l'audioguida, mi pare che l'esposizione fosse povera in rapporto al prezzo del biglietto (11 euro).
 
L'intento era quello di fornire un percorso espositivo capace di rappresentare il movimento della Secessione viennese (da cui poi Klimt è uscito).
 
Ma quel povero busto di Beethoven piazzato triste in mezzo alla ricostruzione della stanzetta scrostata mi ha fatto una tristezza...
 
In un'oretta ho girato tutta la mostra e ascoltato la spiegazione (ben fatto il commento).
 
In sintesi... O vi piace Klimt alla follia oppure andate a Vienna al Belvedere che è meglio...



Ma che qualità scadente! (Kiko)

Lo devo proprio scrivere, ma che qualità scadente gli ultimi prodotti Kiko che ho aperto!
Sono mesi che non entro in uno dei suoi negozi, dopo essere stata una super cliente.
E direi che ho fatto bene.
 
Ieri ho aperto un nuovo smalto della linea Quick Dry rosso/arancio.
Come mettere sulle unghie acqua fresca.
 
Consistenza liquida, coprenza scarsissima, pennello grande (più grande dell'unghia del mio mignolo!), un liquido che scivola dappertutto.
Sono stata costretta a metterne tre (e dico tre) mani, di cui l'ultima oggi perché si è scheggiato subito e non ho pulito i gamberi!
 
Pessimo.
 
Inoltre, ho aperto un eye liner nero con applicatore tradizionale: passa e ripassa il colore esce striato. Anche qui la consistenza è acquosa fatto che, per il nero, è davvero una grana. Nemmeno l'applicazione sopra di un bello strato di matita ha risolto il problema: l'eye liner si attacca alla matita e ne esce davvero un pasticcio.
 
Ma che razza di schifezze stanno facendo?
Alzano i prezzi e peggiorano la qualità.
 
Credo che, per i prossimi acquisti, mi indirizzerò su altre marche e, intanto mi "godo" una boccetta intera di smalto liquido...
 
 


sabato 5 luglio 2014

giovedì 3 luglio 2014

Change point of view

In questi giorni sono stata folgorata. Non come San Paolo, non come il Buddha, non come San Francesco, certo, ma una grande verità mi è venuta incontro.

Il desiderio di compiacere e di approvazione è ciò che sta alla base delle sofferenze lavorative dei miei colleghi. Lo vedo in tutti i loro comportamenti, quelli tipici di persone che investono, loro malgrado, troppo di sé e della loro esistenza in un lavoro la cui assenza, francamente, è qualcosa che non turberebbe più di tanto l'umanità. 

Tutto il mondo gira intorno ai capricci di un frustrato che può essere un meschino despota solo tra quelle quattro mura. 

Se tutta la tua vita ruota intorno a quelle, naturalmente, finisci per perdere il contatto con... la parte destra del tuo cervello! e inizi a maturare una visione distorta di te e di quello che ti circonda.

Inizi a stimarti meno, abbruttita dall'ambiente circostante, in cui c'è poco... ossigeno cerebrale.

E così, osservo ancora una volta l'orribile panzone che spara idiozie a raffica e con i suoi mezzucci triti e ritriti cerca di rovinarti la vita, facendo in modo che tu disperda una gran quantità di energie fisiche ed emotive, in modo da essere.... innocuo! In fondo la motivazione non serve in questo caso, e l'ossessione del complotto rende preferibile creare atmosfere infernali e demolire le persone piuttosto che migliorare le condizioni di lavoro per fare del nostro meglio.

Con uno straordinario spreco di potenzialità, siamo tutti intenti a sprecare molte cose, tra cui il tempo: ecco, mentre lo vedo che rotea su se stesso penso che non mi importa proprio nulla di quello che pensa di me né lui, né alcuni fantocci che abitano in questa stanza.

Li vedo per quello che sono e la loro stima non mi interessa affatto. 
Perché io stessa non li stimo, e credo che non ci sia nulla da imparare da loro né professionalmente, né umanamente.

E questo è quanto.
Dal mio punto di vista, che è ora quello che conta di più, sono loro a essere poco degni.

E, una volta realizzato tutto quanto, per la prima volta, mi sono sentita libera e sollevata.




mercoledì 2 luglio 2014

Per caso, per fortuna a Novara

Arriva all'improvviso il messaggio di una compagna di viaggio mentre sono ancora ingolfatissima di lavoro alla mia scrivania.
 
Mi informa della sospensione di servizio sulla nostra tratta ferroviaria, dovuta a un suicidio.
 
Non è la prima volta che succede, e, per chi, come me, che ne ha viste di tutti i colori, si tratta solo di capire come gestire l'emergenza.
 
Posso prendere provvedimenti. Sono ancora a Milano e, quindi, ho un piccolo ventaglio di possibilità per tornare a casa, dato che nessuno mi può venire a prendere. Tra pullman in partenza da Famagosta e linee diverse, opto per la seconda soluzione.
 
Il ricordo delle cinque ore che ho impiegato l'ultima volta per tornare a casa, abbandonata a metà strada in un posto che non ha collegamenti con nessun altro paesello sotto la pioggia è ben scolpita nella mia mente.
 
Parto in volata e raggiungo la stazione Centrale: la mia decisione è stata rapida. Perdere tempo può significare perdere l'ultimo treno da Novara, e, quindi, termino le mie attività di corsa, e mi precipito in stazione. Consulto freneticamente l'orario online mentre sono in metropolitana.
 
Quando arrivo sul binario mi accorgo che il treno è un Frecciabianca, una corsa per il quale non sono certa di poter salire con il mio abbonamento.
Il controllore, cui espongo la situazione, viene mosso da pietà cristiana e mi abbuona il supplemento del biglietto da Milano a Novara (il treno in questione è quasi vuoto...). Ci metto poco, arrivando in poco più di mezz'ora in stazione, facendo un viaggio da vera regina su un treno pulito, condizionato e tranquillissimo.
 
Ho 40 minuti prima che la littorina per casa parta, per cui mi dirigo in centro. Obiettivo: gelato consolatorio.
 
Sono stanca da morire, ho avuto tre giorni di fuoco e non se ne vede la fine.
 
Sono accolta da un clima fantastico: non è caldo, non è freddo, c'è una delicata brezza, quasi un miracolo in Val Padana, è un sole altrettanto delicato mi accarezza la pelle.
 
C'è calma in giro. Gente, sì, ma non folla. Le persone camminano, non corrono come schegge impazzite. C'è chi prende il gelato, chi entra nei negozi (per fortuna oggi non ne ho visto nessuno chiuso) chi gira in bicicletta.
 
Mio Dio, penso, mentre contemplo il profilo della chiesa di San Gaudenzio avvolto nella delicata luce del tardo pomeriggio, che posto civile in cui la gente vive.
 
Io e i miei biscottini di Novara (Novara senza passare da Camporelli non si può...) adottiamo un bel gelatone limone-pesca-mango.
Bastano una manciata di minuti e la sensazione è quella di tornare a respirare normalmente.
 
In stazione (sottosopra per lavori) ci attende una littorina minuscola che, però, ci porta a casa. Parte e quasi sospira, ansima, rallenta, riparte, ingrana le marce con parsimonia e quasi con circospezione per non farsi male.
 
Ma ci porta a casa.
 
Un viaggio in silenzio, comoda su un treno semi-solitario.
 
Mi sento ricreata (e non solo per il gelato).
 
Ma io lo faccio ancora: invece che farmi prendere a borsate in via Torino prendo un treno e me ne vo' a Novara. Novara l'inizio di tutto e la fine di tutto, Novara in Piemonte, e noi piemontesi così riservati e schivi...
 
Come tornare a casa. Poter tornare a casa....
 
 
 

lunedì 30 giugno 2014

Miracolo a Milano

Lunedì mattina.
Dopo una notte fatta di bravi pisolini tra tanti, angosciosi risvegli, mi appresto a tornare alla mia scrivania.
 
Sono reduce da una assenza, e mi chiedo con stizza che razza di pasticci troverò al mio arrivo.
(Vi dico che ne ho trovati diversi...).
 
La strada che dalla metropolitana arriva allo stabile è lunga, ma questo viale è assai lontano dall'infinita strada costeggiata da palme altissime.
 
Altro che Palm Spring.
Questa è la via Valassina.
 
Traffico impazzito, smog, tempo incerto e alberi rachitici mezzi malati o proprio morti e una pazza in mezzo ai binari del tram intenta a spogliare dei poveri cespugli di lavanda, tagliandone tutti gli steli.
 
Brava, brava, mi dico, portateli a casa e facci i cuscini da mettere nel cassetto della biancheria, saranno un po' seccati soltanti i cani che l'hanno eletto loro bagno preferito...
 
Eppure vorrei che questo viale fosse lunghissimo, eterno.
 
Il problema, sempre, è che sono una persona seria che ci tiene a fare bene (leggi: perfettamente) le cose che fa.
 
E, Dio mio, è sempre il solito schifo qui dentro.
 
Entro e, almeno il badge funziona ancora.
O purtroppo funziona ancora, questo lo decideremo solo nel corso della giornata.
Mi permette anche di prendere un caffè, wow....
 
E mi porto dietro la collega cleptomane, chiaro, non posso lasciarla sola in ufficio, iniziare settimana e finire il mese facendomi fregare qualcosa, il portafoglio o altro.... Eh no, meglio offrirle il caffè.
 
Il solito frustrato egocentrico passa circa tre ore a imprecare contro i nostri colleghi vittime di uno sciopero selvaggio (nei Paesi del Nord non ci sono fasce protette) che, a detta sua, tardano ad arrivare.
Peccato che lui di solito arrivi alle 10 e che nessuno si sia mai lamentato, e loro siano intrappolati dalle 5 del mattino in code eterne per arrivare al lavoro e siano solo le nove.
 
Insulta qualsiasi cosa/persona gli capiti a tiro, senza chiedermi come sto.
Siamo in ufficio da tre ore e ho il forte istinto di alzarmi, avvicinarmi con stile caracollando sulle zeppe e centrarlo con un cazzotto.
- Taci, idiota egocentrico, e fammi lavorare.-.
 
Sono impegnata a domare colleghi, mail, articoli, normative fiscali, siti internet, come un guerriero ninja, quando il pc si impalla.
 
Questi maledetti catorci, che si ostinano a caricare di aggiornamenti, si bloccano in continuazione.
 
E così, mentre aspetto che si riavvii apro Instagram.
 
E accade il miracolo: vedo la foto di questa mia collega/amica che ha appena pubblicato il suo primo libro di poesie.
 
Appena posso le scrivo due righe, di complimenti e di "informazione".
 
Ehi, anch'io ho la stessa passione, ma le rime mi stanno strettine.
Scrivo racconti.
 
E, così, come un faro nella notte, come la fiamma in fondo al tunnel, come la pioggia che cade sul deserto, come un sorriso tra le lacrime penso: - Allora c'è speranza.-.
 
In mezzo al nulla c'è qualcosa, c'è qualcuno con cui vale ancora la pena stare. Con cui si può parlare. Con cui ci si può intendere.
 
Signore, grazie.






venerdì 27 giugno 2014

AAA salvate questa professionista

Sono molto scoraggiata: ho passato l'intera serata di ieri a caccia di un corso che possa ridare smalto al mio curriculum, rovinato (mi dispiace usare questo termine, ma è la pura verità) da un lavoro poco dignitoso per il mio pedigree lavorativo.
 
In sé non è il lavoro a essere poco dignitoso. Lo sono tutte le attività lavorative oneste, svolte con impegno. E', per la mia particolare professione, la società a essere un problema.
 
Quando si cerca lavoro si dà importanza alla durata del contratto e a una certa stabilità nella corresponsione dello stipendio.
 
Il fatto è che lavorare lì è... buttarsi via. Buttarsi via professionalmente. Non solo perché, meritatamente o meno, la società gode di scarsa fama, ma perché non ci sono percorsi professionali che migliorino competenze e conoscenze dei dipendenti.
 
Il risultato è che, nel giro di pochi anni, la maggior parte delle competenze e delle conoscenze acquisite vanno perse perché non utilizzate, non valorizzate, non attualizzate.
 
Mi sono messa d'impegno: ho setacciato ordini professionali, ho analizzato corsi e percorsi formativi. E mi sono depressa: tutti, dico tutti, anche quelli online, sono dedicati a persone con ampia disponibilità di tempo, serale o durante la settimana, e di denaro, dato che un corso costa diverse centinaia di euro.
 
Ma, quello che più mi colpisce di questa faccenda, è il fatto che questa offerta formativa somigli a una giungla. Non si capisce bene, infatti, se questi corsi servono a chi li propone o a chi li fa.
In altri termini, sono una fregatura per ricevere sovvenzioni dall'Unione Europea? Danno qualche opportunità reale?
 
Non mi sento più di fare un Master. Ne ho già fatto uno, molto impegnativo, che non ha portato a un bel nulla, se non a perdere un anno di vita e di opportunità.
 
Mi sento... in trappola, ecco, e molto sfiduciata.
In questo momento non vedo vie di uscita.

giovedì 26 giugno 2014

Gatto versus umano

- So che sei il mio animale umano, che sei più grosso, mangi sul tavolo e hai una ciotola enorme, ma io, che sono il tuo animale felino, ho il naso fino e non credere di fregarmi: questo è filetto, succulento filetto al sangue. Non ho diritto a qualche bocconcino? Vorrai mica mangiare tutto tu.-.
 
Questo pare pensare il Teo, che con la testa spinge come un ariete per arrivare alla mia bistecca.
 
Sono malaticcia e ho deciso che una bella dose di carne rossa non potrà farmi che bene.
Mia nonna approverebbe di certo, e io, che non temo il colesterolo (non vedo perché dovrei, ho gli esami in perfetto ordine), mi sono comprata una bella bistecca di filetto che costa almeno tanto quanto l'intero servizio di piatti dell'Ikea in cui sto cenando.
 
Al mio gatto concedo molto, direi moltissimo, tanto da doverlo dissuadere dal cercare di fregarmi la bistecca fumante dal piatto medesimo.
 
Se ne sta in un angolo, e mi guarda in tralice, indirizzandomi uno spicchio di pupilla sottile come una fessura. Il suo occhio rotondo mi guarda risentito. Si ferma un attimo e poi, lentissimamente, con la somma grazia dei felini spinge avanti, impercettibilmente, la zampa sinistra, seguita fulmineamente da quella destra. Mentre cerco come posso di opporre resistenza all'avanzata del testardissimo felino, il cui gusto è certo (mai e poi mai darebbe l'assalto a una bistecca di reale, per esempio), mi rendo conto della difficoltà di erigere barriere che possano aver ragione dello sgusciante esserino agguerrito e peloso.
 
Finisce così, naso contro naso (piatto quello del Teo e "importante" il mio), e mentre io ringhio, o almeno ci provo, e lui, con le zampe nel  mio piatto tenta di arpionare un pezzo di bistecca.
 
Con scatto felino si disimpegna dalla mia fronte e agguanta con la sua bocchina un bel pezzo di carne e, eludendo la mia difesa, se la dà a gambe portandoselo via, mangiandolo con calma e poi, leccandosi pure i baffi.
 
Il tutto alla faccia mia...

Oppresa dagli oggetti

Aprire un'anta del mio armadio significa, come minimo, rischiare di vedersi franare in testa qualche cumulo di abiti.
 
Strati di vestiti che somigliano a ere geologiche: abbiamo l'era taglia 46, quella taglia 42, quella taglia nd.
 
La più pericolose sono certamente le compere fatte per "far contento" qualcun altro, dalla mamma che vuole che tu vada al lavoro "vestita bene" ignorando il posto dove ti trovi ad andare e il viaggio che ti tocca fare per arrivarci, l'amica che ti vede "in un certo modo" e ti trovi a portare a casa, dopo una sessione di shopping, un guardaroba che pare appartenere a un alieno, visto mesi dopo. Non parliamo dell'influenza nefasta di giornali e programmi tv dedicati: lì fioccano le super dritte di qualche spostata che, evidentemente, non vive nel mondo reale, non ha bisogno di fare le scale, di usare i mezzi pubblici e neppure di guidare l'auto.
 
Ecco il mio guardaroba: una pigna enorme e confusa di oggetti di natura varia (perché il bagnoschiuma che mi ha regalato l'Antonia a Natale è finito tra i maglioni), con una netta predisposizione per due cose: polo blu a manica corta e jeans o pantaloni modello jeans. Ne ho contati 4 paia beige, praticamente identici.
 
Un discreto campionario di golfini Benetton di ogni colore si aggiunge a questi ultimi. Ogni anno, acquisto dei maglioni di cotone Benetton in saldo. La tintura, lasciatemelo dire, è a dir poco pessima. Motivo per cui, ogni anno, rinnovo il mio parterre di maglioni Benetton di cotone neri o blu.
 
Sarebbe il caso, forse, di smettere di comprare maglioni Benetton in saldo da gettare l'anno successivo.
 
Il nocciolo della questione sta nel fatto che per qualche oscuro motivo mi sento obbligata a fare acquisti "sensati", adatti alla mia età anagrafica.
 
Peccato che io non sia così, che in genere non vesta sportivo, e neppure da vecchia babbiona, che certe mise modello "scolastico" non le senta più mie, e che, se la parte più nuova del mio armadio è letteralmente invasa da abiti e scarpe con tacco, evidentemente, un motivo c'è.
 
Sarebbe interessante capire il motivo per cui, molti capi, cadono nel dimenticatoio. Una prima banale spiegazione è legata al fatto che, sepolti, sotto cumuli di ciarpame, molti di questi capi diventano quasi invisibili dopo la naturale euforia della prima stagione.
 
In molti casi, però, vedo che quello che scarto è quello che non mi convinceva già al primo sguardo.
Camicioni informi, pantaloni ascellari, colori deprimenti e via dicendo.

Del commercio e degli acquisti online posso dire tutto il male che voglio, ma in genere, sono meno squinternate delle altre, forse perché sono seduta davanti al mio pc, da sola, e non ho intorno un sottofondo musicale accattivante, o l'ingerenza di qualche commessa, o il consiglio "interessato" di qualche accompagnatore.

Fatto sta che la mia sensazione è sempre quella di essere oppressa dagli oggetti: intasata da cose che non mi appartengono, affaticata quasi da questa massa di roba che mi costringe a un iperlavoro di organizzazione e manutenzione.

Fatico anche a eliminare le cose che non mi servono, come se avessi costruito intorno un muro protettivo che mi può difendere da ogni possibile penuria.

L'elemento sorpresa allieta talvolta le mie ricerche.
Non è infrequente che ritrovi capi e oggetti di cui non ricordavo la presenza e, mi duole dirlo, nemmeno l'acquisto.

Sono stanca, però, di questo modo di vivere: dopo aver apprezzato l'essenzialità giapponese e il vuoto (che l'altro aspetto del pieno) sono arrivata alla conclusione che meno oggetti significa una vita più facile.

Come fare?
Non mi sento più di mettere in atto quelle "purghe" staliniane che portano all'eliminazione feroce di tutto in un colpo solo, un'operazione stressantissima e spesso fallimentare.
Piccoli passi, un cassetto alla volta e poche cose alla volta.

Intanto ho isolato una serie di oggetti che non metto, con questa precisa idea: se entro il prossimo anno non li avrò usati, andranno dritti e filati al Centro di aiuto alla vita, in modo che possano servire a qualcosa e a qualcuno.

 
 
 

lunedì 23 giugno 2014

Abito lungo per nane

La moda femminile è spesso impietosa, e, in questo caso, lo è doppiamente.
Quest'estate sono di moda short minuscoli e abiti lunghi con modelli in stile premaman che, a dir la verità, stanno male anche alle modelle di Zalando.
 
Inutile dirvi che io, purtroppo, non ho il fisico di una modella di Zalando, cioè, ho delle proporzioni invertite. Potessi stirarmi come si fa per la pasta della pizza, passare un mattarello virtuale che mi permetta di stirare le troppe "gonfiosità" e nel contempo allungare la mia compatta persona....
 
Per inciso, il prossimo che mi dice che magari sono di costituzione robusta lo centro con una scarpa. Non sono di costituzione robusta, ho una xxxx di reggiseno. Prima entra quello e poi seguo io...
 
Se per gli short mi sono messa il cuore in pace, per l'abito lungo.... è più difficile.
Mi piacciono. Mi danno l'illusione del vestito da sera.
 
Insomma, in pochi giorni sono diventata la regina del click online alla ricerca dei modelli di abito lungo più gettonato, degli abbinamenti consigliati, dei tagli più indicati per le cicciotte.
 
Ho cercato fiduciosa, nella mia beata ingenuità, il termine: abiti lunghi per ragazze piccole e robuste.
 
Online, mi sono detta, c'è di tutto.
 
Errata corrige: online non c'è di tutto. Perché non ci sono abiti lunghi che vanno bene per le ragazze cicciotte e basse.
 
Per meglio dire: tu che hai la colpa di essere bassa e per giunta grassa, vorrai mica un abito lungo?
 
Ecco, io sì, lo vorrei. Ma non quelle specie di catafalchi che, partendo arricciati da sotto il seno, mi fanno sembrare una prossima partoriente. Oppure quelli così larghi che paiono adatti più a una mongolfiera che a una donna (essere umano di sesso femminile, dotato di fianchi e seno).
 
L'effetto panettone stradale è quello che più temo, un cubo che pare marmoreo in cui altezza e larghezza si confondono. L'effetto panettone stradale fantasia, con righe che si trasformano in corsie autostradali, rose che sembrano reduci da un harakiri, miti motivi tribali che dilatati diventano simili agli sguardi malefici degli idoli Inca, sono probabilmente peggio.
 
Ho rastrellato come un'indemoniata tutti i siti che vendono abiti online.
 
Niente da fare.
 
Non capisco, però, perché debba rinunciare al mio vestito lungo (o lunghissimo, temo).
Perché la moda (o gli stilisti) hanno stabilito che noi nanette non possiamo essere à la page perché il nostro fisico non è "adatto"?
 
Ebbene, li smentirò.
 
La mia ricerca prosegue, finché non avrò trovato un abito lungo su misura per me.
 
 
 
 

domenica 22 giugno 2014

Lo sguardo dell'adulto

Ho pochi anni di vita e sono seduta, come ogni sera, nel salotto di mia nonna. Stiamo guardando la televisione e non è molto tardi. In quegli anni le trasmissioni televisive iniziavano dopo il telegiornale, che terminava alle 20:30. I ritmi di vita erano diversi, mi viene da dire più normali.
 
Occupo la mia poltroncina di vimini accanto alla stufa e come sempre sto bevendo la mia camomilla serale.
 
Non sono uno di quei bambini che vanno a letto presto. Questa infelice tendenza è cominciata più tardi, con la compressione degli spazi vitali legata al pendolarismo.
 
Stiamo guardando alla televisione un film, appena uscito. Ne guardiamo molti, e tanti ne trasmettono in televisione. Non ci sono videoregistratori, non ci sono altri mezzi di trasmissione differita. Lontana anni luce è la televisione on demand e la visione in streaming.
 
Il film si guarda, se si vuol vedere, quella sera, e in quell'orario.
 
Stiamo vedendo Non ci resta che piangere, un film uscito qualche anno prima, che in breve tempo ha riscosso molto successo di pubblico, successo che è arrivato fino al paesello.
 
Lo seguo con fatica, comprendendo soltanto le battute di Benigni, mentre rimane per me del tutto incomprensibile la parlata bassa e aggrovigliata di Troisi.
Anni dopo rivedo il film, senza riuscire a comprendere, lo stesso, nulla. Non capisco nemmeno dove stia questa grande comicità, che proprio non mi giunge.
 
Qualche giorno fa, immagino per celebrare il ventennale della morte di Massimo Troisi, mi trovo a vedere in televisione un suo film, e, con mio grande stupore, a rendermi conto che, al di là della parlata per me semi incomprensibile, dietro alla recitazione c'è uno studio comico che si muove secondo binari e regole a me poco note, ma che hanno una storia e un codice complesso proprio. Mi rendo conto, anche, del garbo del personaggio, di questo modo di recitare quasi se stesso. Infine, mi accorgo del fatto che, pur non rappresentando il mio genere maschile e mostrando, inequivocabilmente, qualche segno della sofferenza portata dalla malattia, è un uomo di un certo fascino.
 
Il fatto di riuscire a vedere aspetti diversi e lati differenti è uno dei tanti segni dell'età adulta, o meglio, della continua evoluzione del mio modo di essere. Vedere quello che prima mi era precluso, riconoscere aspetti che prima non avrei notato, un passo verso l'essere adulti?
 
E mi coglie la nostalgia pensando a tutto quello che mi sono persa in questi anni rincorrendo treni e occupandomi di cose stupide e banali, di cui, francamente, tutto il mondo potrebbe fare a meno.


venerdì 20 giugno 2014

Le sanguisughe

Da circa dieci anni, senza apparente possibilità di evasione, sono condannata da innocente al supplizio di lavorare nel posto di cui vi ho già parlato in passato.
 
Un'azienda grande, ma un contesto davvero troppo angusto, l'ultimo giardinetto lasciato a un capo dispotico quanto ignorante e limitato, dotato di quelle "qualità", stupidità e cattiveria insieme, che rappresentano una miscela esplosiva per chi, come noi, è costretto a conviverci.
 
La nostra quotidiana esistenza è resa oltremodo frustrante dall'assoluta mancanza di livelli gerarchici superiori al suo in loco, lasciando quindi, con grande convenienza dell'azienda, campo libero al nostro frustratissimo capò di sfogare in quel piccolo giardinetto tutti i suoi problemi.
 
Ora, chiaramente l'intelligenza, immediata e prospettica, non sono il punto di forza del nostro uomo. Neppure la comprensione e l'umana empatia fanno parte del ventaglio di qualità che possiede. Se devo essere sincera, dopo anni di sfortunata convivenza, sono ancora qui a chiedermi se ne abbia, di qualità.
 
E così ha un comportamento borderline tra il sadico nazista e il vigliacco di tante commedie all'italiana. Consapevole di non essere all'altezza del ruolo che ha, raggiunto solo per anzianità e perché "arrivato per primo", vive nel perenne timore di essere scavalcato.
 
Fa e disfa in continuazione, crea casi, consuma energie psicofisiche in quantità.
Ma, soprattutto, usa l'arma del riportare sul piano personale ogni problema fittizio.
Incapace di scendere sul piano teorico e tecnico, queste dispute si avvinghiano su loro stesse trasformandosi in farse ridicole e snervanti.
 
L'effetto che ha su di noi questo mal lavorare lo vedo addosso ai colleghi. Siamo un ufficio di presone frustrate, che, in anni di lavoro lì dentro, hanno perso la loro professionalità e faticano a definire le proprie competenze.
Penalizzati da un contratto fasullo (facciamo i giornalisti, non i grafici pubblicitari) non sappiamo come rivenderci, e, quanto peggio, abbiamo perso quasi completamente le nostre competenze tecniche.
 
Insomma, sono satura. Satura di vedere le stesse facce lunghe intorno, per le quali il peso di questo emerito idiota nelle loro esistenza è troppo, e dico troppo, grande.
 
Quello che mi pesa veramente è questo senso di prigionia: vorrei evadere da questo posto... Detesto chi mi ricorda la mia fortuna. Ma quale fortuna, vorrei dirgli, quella di essere sottopagata per fare un lavoro degradante della mia professione e, per giunta, anche vessata da uno sfigato cosmico senza senso dell'umorismo e senza imparare nulla?
 
Di novità, per ora, non se ne vedono. Tanto più che non saprei proprio come rivendermi.
Concorsi pubblici zero, altre cose zero.
 
Non mi resta che scrivere signori, sperando che mai, dico mai, mi capiti di dare sfogo alle mie tensioni.
Altrimenti... sono dolori.
 
 

giovedì 19 giugno 2014

La banalità del male

Prendo a prestito il titolo della Arentd per riflettere sui fatti di cronaca degli ultimi giorni.
In queste ore è impossibile ignorare l'evoluzione dei fatti riguardanti il delitto della giovanissima Yara.
 
Per fortuna (e talvolta per sfortuna) in Italia vige un sistema legislativo che presuppone l'innocenza dell'accusato fino all'ultimo grado di giudizio. E, come mostrano taluni casi in passato, tra cui, ad esempio il caso di Chiara Poggi, non è affatto semplice dimostrare la colpevolezza di qualcuno, per quanto gli indizi siano forti e le prove molteplici.
 
In questi giorni, poi, si è assistito a un exploit di delitti a carico di donne, compiuti da familiari.
 
Insomma, da Motta Visconti alla provincia di Bergamo, ci sono molte mogli, compagne, sorelle e madri che, improvvisamente, si svegliano un mattino e scoprono di avere avuto a fianco un mostro. Un essere capace di uccidere, violentare, aggredire, far sparire un altro essere umano, tipicamente una donna o dei bambini, e di mentire, mentire, mentire.
 
Il copione è quasi sempre questo: uomo aggressore e assassino, donna vittima.
 
Oltre la selva dei commenti del tutto inutili, del tipo "era una persona bravissima" di cui, francamente, potremmo farne a meno, mi sono chiesta se è davvero impossibile che la parte femminile della coppia non si sia resa conto di avere accanto qualcuno con qualcosa che non andava.
 
Comportamenti strani, propensioni poco nella norma, reazioni al limite dell'inaccettabile.
 
Possibile che tutte queste persone si siano nascoste così bene da sorprendere tutti con i delitti conseguenti? Proprio tutte?

Non è che, forse, semplicemente non si è voluto vedere? Più comodo e semplice ignorare quella sensazione fredda e straniante che comunica la paura?

Sperando che tutto vada bene, drammaticamente bene, fino alla fine.
 

lunedì 9 giugno 2014

La sposa e l'autoabbronzante

No, non è un titolo per un nuovo racconto inventato di matrice surreale, è proprio quanto mi è successo stamattina.
 
Lunedì mattina, ho necessità impellente di recarmi in farmacia per comprare una pomata capace di alleviare il prurito terribile che sprigionano alcune punture di zanzara (sono allergica anche a quelle, olé!). Mi reco quindi alla farmacia all'angolo, convinta che si tratti di una commissione semplice e veloce.
 
Chi vuoi che ci sia il lunedì mattina presto in una farmacia di periferia che non abbia fretta di fare la sua commissione e correre al lavoro?
 
E invece no.
 
Entro e sono dapprima contenta di vedere che davanti ho una sola persona.
Una ragazza piccolina un poco sciatta, che parla con la farmacista.
Dopo qualche minuto mi rendo conto che si sta facendo consigliare un autoabbronzante: è davvero incredibile vedere dove la gente butta il suo denaro, mi dico perplessa.
Perché, e lo sanno tutti. l'autoabbronzante macchia, dona un colorito atrocemente arancione, e non dura.
 
I minuti passano: la nostra donna è orientata su delle salviettine impregnate di autoabbronzante (insomma, di male in peggio) a detta della farmacista in offerta (2 euro a salviettina, per capirci).
Minuziosamente descrive l'intero abito, le scarpe, le parti scoperte, quelle coperte e semi coperte, la durata della cerimonia, il luogo e, infine, pure la luna di miele. Il tutto per decidere quante salviette comprare.
 
- me ne bastano due o tre? ma no, esageriamo, facciamo quattro.-
 
La farmacista le fa notare che l'abbronzatura, seppur finta, modello "muratore" o "gambaletto" che dir si voglia, non è il massimo, considerando la prospettiva di una prima notte di nozze e di una successiva vacanza al mare. Ma la nostra, imperterrita, aggiunge solo una salviettina in più.
 
Vai che abbiamo finito, mi dico io, mentre il prurito aumenta, se possibile.
 
No, perché parte la discussione sul tono dell'autoabbronzante: chiaro, medio o scuro?
 
Dopo cinque minuti di valutazioni interessantissime su tono e sottotono della pelle della ragazza, la farmacista le consiglia, prima, di fare uno scrub per un risultato migliore, in particolare sui piedi.
 
Non hanno ancora finito di discutere dell'applicazione ma, finalmente, vengo salvata da un'altra farmacista, la quale mi serve. Esco con la mia pomata, pronta finalmente a schizzare al lavoro (per scoprire che non funziona nulla.... e perdere così due ore a guardare per aria).
 
Intanto mi chiedo: ma, se proprio ci tieni a essere abbronzata, non puoi farti due lampade/andare in piscina????
 
Ti sposi una volta nella vita (o un numero limitato di volte). Ma cosa ti costa evitare di fare delle cose raffazzonate a tutti i costi ed essere semplicemente se stessi? 

sabato 7 giugno 2014

Young forever (and ever)

E' un sabato di inizio giugno, straordinariamente caldo già a metà mattina.
L'umidità è palpabile nell'aria e scivola addosso implacabile.
 
Tra le bancarelle del mercato, attraverso le quali non un filo d'aria passa, l'afa è ancora più implacabile.
 
Ma nemmeno una tromba d'aria può distrarre le fashion galline intente a frugare nel più grande e figo banco da stocchista, quello della Tina, con la quale ho quasi un rapporto di amicizia, dopo anni e anni di frugamento.
 
Tra le tante donne la individuo subito: e come non farlo dato che è letteralmente giallo limone?
E' in coda a fianco a me, alta grazie a 12 cm di tacco giallo evidenziatore, chiaramente a spillo. Ha addosso quello che si ostina a considerare un vestito, ma che in realtà è una maglia lunga, di tessuto sintetico lucido, con una bella fantasia a fiori, e uno sfondo giallo potente.
 
Completa il tutto un'abbronzatura terracotta, un capello lungo e corvino, un trucco adeguato e dei Rayban a specchio, oltre alla borsa Luis Vuitton d'ordinanza. Insomma, perfetto stile Billionaire.
 
Dov'è il problema?
Beh, ha l'età di mia madre, e si vede, nonostante zio botulino sia intervenuto con generosità.
 
Non resisto e, compreso il tipo umano, attacco bottone.
 
- Che bel vestito, ti sta divinamente.-.
 
Massaggiare l'ego, tutto sommato i vanesi sono una categoria semplice da abbordare (e abbandonare).
 
La nostra donna non aspetta altro evidentemente che di essere ammirata e inizia a spararmi tutte le informazioni del caso sull'abito e su... tutti quelli che ha.
Mentre siamo in coda per provare i nostri acchiappi di moda, mi illustra i banchi presso cui acquista, il fatto che lei viene tutti i mercoledì e i sabati, che ha moltissimi abiti e di alcuni ha perso proprio memoria.
 
Con fare imperioso quasi fa scendere a forza dal camion le malcapitate che ci precedono, "tanto hanno delle magliette" e mi trascina con sé. Si vede che è una donna poco abituata ad attendere ed è ansiosa di provarsi degli abiti incredibili che solo lei, oggettivamente può pensare di indossare.
 
Tra questi un abito lungo giallo limone.
 
Mentre si accovaccia per provare una lunga serie di vestiti incappa nel tipico "incidente da camion", la stessa cosa che accade in palestra: ci si spoglia davanti a tutti.
A lei piace esibirsi, è chiaro, e la biancheria che indossa, un triplo pushup e un'illusione di mutanda lo dimostrano, però, tolti gli abiti, si scopre un corpo che deve molto alla chirurgia, e poco alla natura. E, quando di peggio, un sedere cascante... L'età, ahimè, è tremenda.
 
In men che non si dica, come un uragano si mette a dare consigli di moda a tutto in camion. Non c'è una signora che scampa al suo occhio-moda bionico.
- Questo sì, questo no...-.
 
Ho quasi vergogna a spogliarmi: ecco, meno di prima, ma sono sempre fuori forma, e in questo periodo sono tornata a soffrire molto di colite e colon irritabile, per cui sono gonfissima. Alla fine, mi fa prendere due abiti, non senza prima avermi coinvolta in un turbine di complimenti seguenti il suo defilé.
 
Già, perché la nostra donna non si accontenta di provare le cose, ma, a ogni abito, deve saltare giù dal camion e chiamare a raccolta l'intera cittadinanza per valutare quanto bene le stanno gli abiti che sta provando, certa del suo successo. E così volteggia implacabile davanti al camion in una nuvola, manco a dirlo, gialla.
 
- Tina, tesoro, cosa ne dici? -.
 
E, alla fine, prende ovviamente tutto.
Contenta di sé e del mio apprezzamento entusiastico. - Ti sta benissimo, non puoi lasciarlo lì-.
 
Vengo via soddisfatta, pensando che oggi ho fatto un buon bottino.
 
Un personaggio per i miei racconti.
Perché questa davvero la piazzo in un racconto, sissignore.
Non mi sfugge, che diamine.
 
 
 
 

giovedì 5 giugno 2014

10 anni dopo: cena con gli ex compagni

E' un mercoledì dal meteo incerto e capriccioso, che promette tempesta.
 
Non è certo la serata ideale, per una che si fa 100 km al giorno come pendolare, per farne altri 60 per incontrare dei vecchi compagni di corso.
 
Considerate anche che la sottoscritta è un tantinello pigra, e che preferirebbe farsi un bagno caldo e sprofondare sul divano a bere tè verde e leggere piuttosto che incamminarsi sui trampoli verso l'auto e un temporale in arrivo.
 
L'appuntamento è per le ore 21, altro handicap mentale per una che detesta ciondolare per casa aspettando che arrivi l'ora, per così dire. E, in genere, prima dell'ora a me arriva il sonno.
 
Non sono né tesa né in ansia per un appuntamento che so creare qualche problemino a molte persone. Non ho investito ore nel definire il look della serata, anche perché in questi giorni sono stata costretta a sfornare look a raffica per una strana congestione di impegni mondani.
 
So che Carla inorridirebbe, che mi direbbe che è sempre necessario avere (e studiare) un look opportuno per ogni situazione. Ma, dato che ho fatto pace con me stessa e con la mia immobilità forzata dalla crisi, e che certe persone le vedo costantemente, non ho il desiderio di sbattermi più di tanto.
 
Tanto più che, così com'era stato annunciato, il diluvio universale venne.
Per fortuna ero prossima al parcheggio, quando le cateratte del cielo si sono aperte implacabili riversando su di noi, che stavamo rintanati come cricetini ognuno sulla sua auto, fiumi di acqua.
 
La pizzeria era proprio lì, a pochi passi da noi, ma in mezzo c'era il diluvio di Noè a costringerci per circa mezz'ora in auto. Una situazione surreale, in cui il tempo, tranne per i messaggini di wup, era scandito con un ritmo proprio. Fuori dal tempo tecnologico, ecco, al di là di quello sociale, dominato solo da quello della natura.
 
Dopo trenta minuti, affamati, ci siamo rassegnati alla doccia.
 
Sono bastati pochi passi in equilibrio sui sassi scivolosi e un breve tratto di marciapiede per bagnarci completamente.
 
Addio piega: Teresa guarda sconsolata i capelli arricciarsi.
Anna è come sempre impeccabile, gli altri un po' stanchi, stroppicciati.
 
Vedere persone note dopo 10 anni è come vedersi allo specchio di colpo: osservandosi ogni giorno si finisce per perdere inevitabilmente il filo con il proprio decadimento fisico. Perché c'è, non per tutti allo stesso modo, ma comunque c'è.
 
Ebbene, noi reggiamo egregiamente.
C'è chi è uguale, e chi è anche meglio di 10 anni fa.
 
La cena scorre bene, peccato per il locale molto rumoroso e per la mia infelice posizione a capotavola.
 
Una cena breve, motivata dalla tarda ora e dalla giornata lavorativa di oggi.
 
La strada è lunga, a tratti deserta, mezzanotte si avvicina e tiro un sospiro di sollievo quando parcheggio nel mio cortile. A terra, molte pozzanghere che testimoniano il passaggio del temporale anche sopra il mio tetto. In questa notte senza luna ho percorso le strada con il fiato sospeso.
Per fortuna i tanti animali selvatici che infestano le strade della zona travolgendo auto e automobilisti hanno pensato che con quel tempaccio era meglio starsene nella tana.
 
Ed è lì, nella mia tana-prigione in cui io entro, cercando come al solito uno dei miei gatti appostati ad aspettarmi. Stavolta però sono tutti in casa, a poltrire sul divano.
 
Saggi micioni.